Rita Atria

26 Luglio 1992, Roma 17 anni

Rita Atria nasce a Partanna (Tp) il 4 settembre 1974 da Giovanna Cannova e Don Vito Atria (ufficialmente allevatore di pecore, in realtà piccolo boss locale). Negli anni dell'ascesa al potere dei Corleonesi, Partanna, Alcamo e altri comuni del Belice, fungono da scenario alle lotte per il potere tra vari clan rivali. Rita cresce in un comune che da centro di pastori si trasforma nel tempo in un luogo di traffico di denaro proveniente dal giro della droga.

Vito Atria è un mafioso vecchio stampo, fa parte di quella mafia che non vuole sporcarsi le mani con la droga e questo, all'epoca, significa mettersi contro i Corleonesi che stanno invadendo il trapanese di "raffinerie" di eroina.

Nel 1985, due giorni dopo le nozze del figlio Nicola con Piera Aiello, don Vito viene ucciso in un agguato dei Corleonesi. Rita ha soltanto 11 anni, è una bambina. Alla morte del genitore, il fratello Nicola assume il ruolo di capofamiglia e l'amore e la devozione per quel padre mafioso, ma pur sempre padre, si riversa su quest'unica figura maschile a lei vicina e su Piera, sua cognata. Nicola è un pesce piccolo che con il giro della droga acquista rispetto e potere. Il loro rapporto si fa intenso e complice, al punto da trasformare la "picciridda" (bambina) Rita in una confidente. È in questi momenti di intimità fraterna che Nicola rivela tanti segreti: i nomi delle persone coinvolte nell'omicidio del padre, il movente, chi comanda a Partanna, chi decide la vita e la morte. Lo stesso fidanzato di Rita, Calogero Cascio, un giovane del suo paese impegnato nella raccolta del pizzo, le dà l'opportunità di venire a conoscenza di fatti che non dovrebbe sapere.

Il 14 giugno 1991 due uomini con fucili a canne mozze fanno irruzione a casa di Nicola Atria e lo uccidono davanti alla moglie Piera. Quest’ultima decide di collaborare con la giustizia. Dopo il trasferimento in località segreta di Piera e dei suoi figli, Rita resta a Partanna sola, rinnegata dal fidanzato (perché cognata di una pentita) e da sua madre, con cui non ha mai avuto un buon rapporto, che lamenta il perduto onore della famiglia a causa di Piera.

Il 5 Novembre 1991, Rita esce di casa per andare a scuola ma invece prende un autobus e si presenta al cospetto del giudice Paolo Borsellino, allora Procuratore di Marsala, chiedendo giustizia per l'omicidio del padre e del fratello.

Le deposizioni di Rita e Piera consentono alla giustizia di fare luce sui meccanismi che regolano le cosche mafiose del trapanese e della Valle del Belice: vengono denunciati più di 30 omicidi e le loro dichiarazioni consentono, inoltre, di avviare un'indagine su Vincenzino Culicchia, sindaco di Partanna per più di trent'anni.

Con Borsellino Rita instaura un rapporto confidenziale. Per lei diventa "zio Paolo", e sotto la sua protezione “la picciridda”, come la chiama il giudice, si sente al sicuro.

La ragazza viene trasferita a Roma sotto falso nome insieme alla cognata Piera. Lì continua gli studi ma si sente sola. Assiste alla Strage di Capaci del 23 Maggio 1992, lontana dalla sua Sicilia e il 5 giugno dello stesso anno sceglie di svolgere questa traccia per il tema di maturità:

TEMA

La morte del giudice Falcone ripropone in termini drammatici il problema della mafia. Il candidato esprima le sue idee sul fenomeno e sui possibili rimedi per eliminare tale piaga.

La morte di una qualsiasi altra persona sarebbe apparsa scontata davanti ai nostri occhi, saremmo rimasti quasi impassibili davanti a quel fenomeno naturale che è la morte del giudice Falcone, per chi aveva riposto in lui fiducia, speranza, la speranza di un mondo nuovo, pulito, onesto, era un esempio di grandissimo coraggio, un esempio da seguire. Con lui è morta l'immagine dell'uomo che combatteva con armi lecite contro chi ti colpisce alle spalle, ti pugnala e ne è fiero. Mi chiedo per quanto tempo ancora si parlerà della sua morte, forse un mese, un anno, ma in tutto questo tempo solo pochi avranno la forza di continuare a lottare. Giudici, magistrati, collaboratori della giustizia, pentiti di mafia, oggi più che mai hanno paura, perché sentono dentro di essi che nessuno potrà proteggerli, nessuno se parlano troppo potrà salvarli da qualcosa che chiamano mafia.

Ma in verità dovranno proteggersi unicamente dai loro amici: onorevoli, avvocati, magistrati, uomini e donne che agli occhi altrui hanno un'immagine di alto prestigio sociale e che mai nessuno riuscirà a smascherare. Ascoltiamo, vediamo, facciamo ciò che ci comandano, alcuni per soldi, altri per paura, magari perché tuo padre volgarmente parlando è un boss e tu come lui sarai il capo di una grande organizzazione, il capo di uomini che basterà che tu schiocchi un dito e faranno ciò che vorrai.

Ti serviranno, ti aiuteranno a fare soldi senza tener conto di nulla e di niente, non esiste in loro cuore, e tanto meno anima. La loro vera madre è la mafia, un modo di essere comprensibile a pochi. Ecco, con la morte di Falcone quegli uomini ci hanno voluto dire che loro vinceranno sempre, che sono i più forti, che hanno il potere di uccidere chiunque. Un segnale che è arrivato frastornante e pauroso. I primi effetti si stanno facendo vedere immediatamente, i primi pentiti ritireranno le loro dichiarazioni, c'e chi ha paura come Contorno, che accusa la giustizia di dargli poca protezione. Ma cosa possono fare ministri, polizia, carabinieri? Se domandi protezione, te la danno, ma ti accorgi che non hanno mezzi per rassicurare la tua incolumità, manca personale, mancano macchine blindate, mancano le leggi che ti assicurino che nessuno scoprirà dove sei. Non possono darti un'altra identità, scappi dalla mafia che ha tutto ciò che vuole, per rifugiarti nella giustizia che non ha le armi per lottare.

L'unica speranza è non arrendersi mai. Finché giudici come Falcone, Paolo Borsellino e tanti come loro vivranno, non bisogna arrendersi mai, e la giustizia e la verità vivrà contro tutto e tutti. L'unico sistema per eliminare tale piaga è rendere coscienti i ragazzi che vivono tra la mafia che al di fuori c'è un altro mondo fatto di cose semplici, ma belle, di purezza, un mondo dove sei trattato per ciò che sei, non perché sei figlio di questa o di quella persona, o perché hai pagato un pizzo per farti fare quel favore. Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognare. Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.

La speranza di Rita riposta nell’ultima frase del tema si spegne il 19 Luglio quando anche Paolo Borsellino viene ucciso nella dolorosa Strage di via D’Amelio.

Il 26 luglio, una settimana dopo la morte dello "zio Paolo", Rita Atria si suicida gettandosi dal settimo piano del palazzo in cui vive.

Ecco cosa scriverà prima di suicidarsi:

"Ora che è morto Borsellino, nessuno può capire che vuoto che ha lasciato nella mia vita. [...] Prima di combattere la mafia devi farti un auto-esame di coscienza e poi, dopo aver sconfitto la mafia dentro di te, puoi combattere la mafia che c'è nel giro dei tuoi amici, la mafia siamo noi ed il nostro modo sbagliato di comportarsi. Borsellino, sei morto per ciò in cui credevi ma io senza di te sono morta".

Attilio Bolzoni, giornalista di Repubblica racconta l’arrivo della salma di Rita a Partanna nella calda giornata dell’1 Agosto 1992. Sono presenti solo alcune donne di Partanna ed alcune vedove di mafia come Michela Buscemi sorreggono la bara.

Né la madre né il paese partecipano alla commemorazione di questa giovane testimone di giustizia. A distanza di qualche mese la stessa Giovanna distrugge con un martello la lapide della figlia posta sulla tomba di famiglia, per cancellare la presenza scomoda di una "Fimmina lingua longa e amica degli sbirri" che non è riuscita ad allinearsi ad una condotta d'onore.