Giuseppe Di Matteo

11 Gennaio 1996, Palermo, 13 anni

Giuseppe ha 13 anni ed è figlio di Santino Di Matteo, uomo di mafia vicino ai corleonesi. Il 4 giugno 1993 Santino è stato arrestato per associazione mafiosa ed accusato di aver preso pare ad almeno dieci omicidi ma decide di diventare collaboratore di giustizia. Questo non piace agli uomini d’onore di Corleone che decidono di rapire il figlio per “tappargli la bocca”.

Il 23 Novembre dello stesso anno, Giuseppe prende il motorino per andare a fare equitazione presso il maneggio dei fratelli Vitale che si trova a Villabate.

Giuseppe ha una grande passione per l’equitazione, sogna di fare il fantino, ha anche vinto qualche premio ma sarà l’ultima volta che monterà in sella al suo amato cavallo: da quel pomeriggio, Giuseppe non tornerà più a casa.

Giovanni Brusca dichiarerà: “A prendere la decisione del sequestro siamo stati io, Messina Matteo Denaro, Leoluca Bagarella e Giuseppe Graviano.”

L’organizzazione non lascia nulla al caso: sono quasi le 17 quando una Croma e una Punto con a bordo uomini travestiti da poliziotti si presentano al maneggio di Villabate senza aver idea di che faccia avesse Giuseppe Di Matteo. Sarà il ragazzino a precipitarsi verso di loro pensando di poter finalmente rivedere il padre.

Uno dei sequestratori si rivolge a Giuseppe chiedendogli: “Sei tu il figlio di Di Matteo?” “Sangu di me patri” risponde lui, così sale sulla Croma.

I sequestratori spiegano a Giuseppe di dover usare un passamontagna perché proteggevano i collaboratori e nessuno doveva riconoscerli. La Croma si dirige verso un rudere di Misilmeri e Giuseppe aspetta chiuso dentro una stanzetta di rivedere suo padre, ignaro dell’incubo che si apprestava a vivere per i prossimi 779 giorni di prigionia.

Da Misilmeri arriva l’ordine di spostare Giuseppe a Lascari, così il ragazzo viene trasportato su un Fiorino e sbattuto in un magazzino. Lì capisce di essere stato sequestrato e scoppia a piangere. Giuseppe viene legato, incappucciato e lasciato in un locale freddo e buio.

I primi di dicembre a casa Di Matteo viene recapitata una foto di Giuseppe con un giornale di quei giorni e la scritta “tappaci la bocca”. La famiglia sporge denuncia solo il 14 dicembre 1993.

Dopo Lascari, il ragazzo viene consegnato a Giovanni Brusca al Ponte Cinque Archi che si rivolge ai “fedelissimi” di Agrigento per trovare luoghi in cui custodire Giuseppe. Secondo le indagini della Direzione distrettuale antimafia di Palermo, sono state almeno quattro le località agrigentine dove il ragazzo fu tenuto prigioniero per circa sei mesi. Le pressioni sui familiari continuano e Brusca fa recapitare lettere e messaggi scritti spesso dal pugno di suo nipote al fine di far convincere il figlio a tacere. Piddu di Matteo è un vecchio uomo d’onore e dalle indagini si scoprirà che più volte aveva tentato di contattare Brusca direttamente, offrendo la sua vita in cambio di quella del nipote ma a nulla varrà il rispetto del codice mafioso perché il boss dichiarerà:

“Gli abbiamo detto di no in attesa che noi aspettavamo un qualche risultato. Per dire, lui faccia il dovere nei confronti del figlio e noi siamo a disposizione.”

Dopo Gangi, in provincia di Agrigento, Giuseppe viene condotto a Castellamare del Golfo (Trapani) dove rimane per circa un mese rinchiuso sentendo solo il rumore dello spioncino da cui i carcerieri gli passavano il cibo, senza parlare per paura di essere riconosciuti.

Quando Castellamare comincia ad essere un luogo insicuro perché meta vacanziera di molti turisti, Brusca decide di spostare il ragazzo a Giambascio, in provincia di Palermo. Lì gli vengono forniti nuovi indumenti e lo stesso Brusca gli taglia i capelli con la macchinetta perché dichiarerà “da quando era stato rapito non gli erano stati mai tagliati” e, per non lasciare traccia poi li brucia. Qui Giuseppe viene trattato con più cura, gli era permesso di fare anche la doccia. Enzo Chiodo, durante l’udienza dichiarerà infatti che Giuseppe, quando ha capito che sarebbe stato trasferito di nuovo avrebbe affermato: “è un peccato, qui confronto a dove ero stato, è villeggiatura”.

L’ostaggio rimane a Gambascio per circa tre settimane per poi essere trasferito a Tre Fontane, in località Campobello di Mazara (Trapani) in una stanzetta angusta di 3x4 mt. Durante questa permanenza non si ferma l’idea di far ritrattare Santino Di Matteo e vengono fatte delle riprese di pochi minuti in cui Giuseppe cerca di convincere la famiglia a salvarlo. Il settimo nascondiglio sarà Purgatorio, sempre in provincia di Trapani in cui Giuseppe sarà spostato pere l’esigenza di ristrutturare la stanza di Giambascio. Gli inquirenti dichiareranno che, in quest’ultima fase sarà Giovanni Brusca ad assumere il controllo totale della gestione dell’ostaggio, coadiuvato dai suoi uomini.

In previsione del trasferimento, si era proceduto allo scavo di un bunker sotto la struttura preesistente creando due stanze di circa cinque metri con servizi igienici.

Ultimate le opere, la sera del 14 agosto 1995 Giuseppe viene trasferito nuovamente a Giambascio legato e incappucciato all’interno del portabagagli di un’auto guidata da Giuseppe Monticciolo.

Durante il processo sono stati raccolti molti racconti in merito a quest’ultima fase di prigionia ed anche molte descrizioni del bunker. Giovanni Brusca si sente ormai il fiato sul collo ed anche i suoi collaboratori cercano di convincerlo a sbarazzarsi dell’ostaggio. L’11 Gennaio 1996, Brusca apprende dal telegiornale di aver ottenuto l’ergastolo per l’omicidio di Ignazio Salvo, a questo punto ordina a Monicciolo: “Vai lì a Giambascio e sbarazzati du cagnuleddu.”

Cagnuleddu, così viene chiamato Giuseppe ormai debole e stremato dal lungo periodo di prigionia. I terribili momenti dell’uccisione del ragazzo vengono descritti nell’udienza del 28 luglio 1998 nell’agghiacciante dichiarazione di Vincenzo Chiodo che, insieme a Enzo Brusca e Giuseppe Monticciolo, esegue il delitto.

Giuseppe, la notte dell’11 Gennaio 1996 viene strangolato e sciolto nell’acido, di lui non rimane alcuna traccia salvo la corda che gli era rimasta messa al collo. Giovanni Brusca dice scherzando a Vincenzo Chiodo di tenerla per trofeo.

Non ci sono parole che riescano a commentare l’atroce racconto di questi fatti. Sembra quasi impossibile credere che si possa letteralmente cancellare il corpo di un ragazzino con una tale disinvoltura. Giovanni Brusca conosceva Giuseppe sin da quando era piccolo. La sua «colpa»? Quella di essere il figlio di un pentito.

Oggi il bunker di Giambascio, a Monte Jato è diventato “Il Giardino della Memoria” per i bimbi uccisi dalla mafia.


per approfondire

Il Corriere, Giuseppe ha vinto, la mafia ha perso. Inaugurazione del Giardino della Memoria

La Stampa, C’era una volta un bambino che amava i cavalli

La Repubblica, Il racconto di Santino Di Matteo

Live Sicilia, Il racconto di Vincenzo Chiodo

Giuseppe Monticciolo,Vincenzo Vasile, Era il figlio di un pentito. Bompiani, 2007.

Martino Lo Cascio, Il giardino della memoria. I 779 giorni del sequestro Di Matteo, Mesogea, 2017.

La storia ha ispirato anche il film Sicilian Ghost Story, frutto di una coproduzione tra Italia, Francia e Svizzera.