Ida Castelluccio, Antonino Agostino e la bimba mai nata

5 agosto 1989, Palermo

Antonino Agostino è un agente di 28 anni entrato a far parte della Polizia di Stato il 15 settembre 1985. Nino, ha sposato una giovane ragazza di nome Ida e la coppia aspetta un bambino.

Il 5 agosto 1989, Ida e Nino si recano a Villagrazia di Carini, in provincia di Palermo per festeggiare il 18°compleanno della sorella Flora. I due giovani stanno per aprire il portone quando due killer li uccidono davanti agli occhi della famiglia Agostino.

Nino ha il tempo di gridare a Ida: "corri" prima che tre proiettili lo raggiungano al corpo. Ida prova a mettersi al riparo insieme alla bimba che porta in grembo ma un proiettile la colpisce e cade a terra. Strisciando Ida si avvicina al marito mentre i due killer fuggono su una moto di grossa cilindrata. Il padre di Nino, Vincenzo, assiste alla scena dalla finestra. Si ipotizza la solita pista passionale e le indagini sono confuse e ostruite da depistaggi. Vincenzo Agostino trova un foglietto dentro il portafogli del figlio: "Se mi uccidono, cercate nel mio armadio", ma del contenuto delle carte custodite nell'armadio nessuno ha più saputo niente perché coperte dal segreto di Stato.

Per capire la ragione dell'omicidio della coppia bisogna risalire al 21 giugno 1989, quando davanti la villa dell'Addaura affittata dal Giudice Falcone due poliziotti, Nino Agostino e Emanuele Piazza trovano 58 candelotti di dinamite e sventano l'attentato contro il giudice.

"Io a quel ragazzo gli devo la vita", si lasciò sfuggire il magistrato proprio durante il funerale di Agostino. È per questo motivo che Agostino venne ucciso in quel pomeriggio d'estate del 1989? Perché insieme a Piazza aveva disinnescato l'esplosivo piazzato tra gli scogli dell'Addaura? Sono domande alle quale gli inquirenti cercano di rispondere da anni.

Per l'omicidio dei coniugi D'Agostino vengono accusati Nino Madonia, Gaetano Scotto e Giovanni Aiello, quest'ultimo è soprannominato "Faccia da mostro" per una profonda cicatrice sul volto. Per anni è stato solo un personaggio senza nome, quasi un fantasma evocato da alcuni pentiti, che non ne avevano mai svelato l'identità. Faccia da mostro è un ex poliziotto della mobile accusato di essere il killer con tessera dei servizi segreti in tasca, che tra la fine degli anni '80 e i primi anni '90 si muove sullo sfondo di tutti gli omicidi eccellenti targati Cosa nostra.

Il ruolo di Aiello nell'omicidio dei coniugi Agostino fu quello di prelevare con una macchina pulita Madonia e Scotto, che avevano eseguito l'omicidio, e di aiutarli a bruciare la motocicletta usata nell'attentato", ha raccontato il pentito Vito Lo Forte. Aggiungendo che "in più occasioni Scotto mi parlò in termini entusiastici del suo rapporto con Giovanni Aiello, descrivendolo come una persona molto valida, esperto in rapine ai caveau delle banche e in attentati con l'utilizzo di esplosivi. Lo definiva un terrorista e diceva che si era addestrato in Sardegna in una struttura paramilitare".

Vincenzo Agostino continua a combattere per ottenere delle risposte e ha deciso di non tagliare barba e capelli fino a quando non riceverà giustizia per la morte del figlio, della nuora e della bimba che portava in grembo. Dopo 27 anni, nel Febbraio 2016, il gip Maria Pino nel bunker del carcere Ucciardone di Palermo ha ordinato un confronto all'americana e Vincenzo, in mezzo ad altri due uomini camuffati ha riconosciuto Giovanni Aiello

"Ho riconosciuto Faccia da mostro anche se era ben truccato: erano in tre per il confronto ma l'ho riconosciuto subito. Come ho detto in tutti questi anni quella faccia è indimenticabile. È l'uomo che tra l'8 e il 10 luglio del 1989 venne a cercare mio figlio a casa mia, disse di essere un suo collega", ha detto Agostino, che poi è stato colto da un piccolo malore. "Io ho fatto il mio dovere. Ora tocca alla magistratura. Mi sono sentito male perché io e la mia famiglia in questi 27 anni abbiamo dovuto combattere con una serie di depistaggi nelle indagini sulla morte di nostro figlio". A quasi trent'anni di distanza si apre una piccola speranza nell'indagine dei pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.

Una scia che conduce alla cosca dell'Acquasanta a Palermo: è lì che negli anni '80 i

killer di Cosa nostra avevano posto la loro base. "Da lì partirono i commando che uccisero Rocco Chinnici, Ninni Cassarà e Natale Mondo, ed è lì che mio padre incontrava persone importanti", ha raccontato il pentito Vito Galatolo, facendo riferimento all'ex superpoliziotto Bruno Contrada e all'ex capo della mobile Arnaldo La Barbera: il fortino di vicolo Pipitone, insomma, era una zona franca dove mafia e Stato sedevano allo stesso tavolo. Ed è sempre da lì che passava lo stesso Aiello. "Mio padre mi diceva, quando facevo il monello: faccio venire il mostro", ha detto Galatolo, che già un anno fa aveva indicato nell'ex poliziotto la vera identità del killer col volto deturpato.

Aiello è morto il 21 agosto 2017 a 71 anni. È morto tra i bagnanti mentre cercava di portare a riva la propria barca. Si trovava sulla costa ionica in provincia di Catanzaro, dove da anni si era ritirato a vivere a Montauro.

"Quando lo vidi, lo scorso anno, non mi sembrò un uomo di 70 anni ma un atleta - dice oggi Vincenzo Agostino - non capisco perchè avrebbe avuto un infarto. Che qualcuno lo abbia tolto di mezzo? Mi sembra doveroso che venga disposta un'autopsia vera e il sequestro degli immobili per evitare che possibili reperti utili vengano eliminati".

"Giovanni Aiello è morto da innocente, da mesi la Procura di Palermo aveva archiviato le indagini a suo carico" dicono i suoi avvocati Eugenio Battaglia e Ugo Custo ma Aiello è finito al centro delle indagini di quattro procure: Palermo, Caltanissetta, Catania e Reggio Calabria dove Nino Lo Giudice detto Il Nano, pentito e capo di uno dei clan più potenti di Reggio Calabria, ai magistrati che indagano sulle stragi dice: "è stato il poliziotto Giovanni Aiello a far saltare in aria Paolo Borsellino e i 5 agenti di scorta. Fu lui a schiacciare il pulsante in via D'Amelio. Me lo confidò Pietro Scotto quando eravamo in carcere all'Asinara. E anni dopo me lo confermò Aiello in persona… Ma quando ho raccontato tutto sono stato minacciato dai servizi". Rivelazioni verbalizzate dai pm di Reggio Calabria e condivise con i magistrati siciliani.

Patrick YSEBAERT - Ida Castelluccio. Biennale di Venezia 2011