Chiesa di San Clemente, comunemente detta di Sant’Annedda. è un piccolo luogo sacro perennemente pervaso da un suggestivo misticismo che forse gli proviene, come vedremo a suo tempo, anche dal fatto che ormai da secoli si configura quale Sepolcro di Gesù. Sorge nel cuore del centro storico, in un contesto particolarmente ricco di chiese e stabilimenti religiosi, alcuni dei quali ormai non più aperti al culto, quali: la Chiesa ed il Collegio dei Gesuiti, la Chiesa ed il Convento degli Agostiniani, S. Bartolomeo, S. Giovanni, Madonna del Rosario, S. Giuseppe, Maria SS. della Concezione, Sant’Anna (diversa da Sant’Annedda), Chiesa Madre, Santa Caterina ed altre da tempo sconsacrate e trasformate in dimore borghesi quali: Santa Margherita, poi casa Toscano, San Giovanni Evangelista, poi casa Torralta, Santa Maria dell’Alto, poi casa Favara e Santa Maria, poi casa Di Blasi. Inizialmente non era che un piccolo vano donato da Don Francesco Bruno alla Congregazione dei Mortificati, comunemente detta “del Martedì“ o di “Sant’Annedda“, i cui adepti, in mancanza di una sede propria, a partire dal 1650, anno della fondazione, ogni martedì erano soliti riunirsi nei locali della sagrestia della vicina Chiesa del Rosario. Nel 1734 ottenevano da Caterina Lo Vesco altri locali limitrofi che, con un singolare contratto stipulato tra le parti, per metà pagarono in contanti e per metà considerarono quale anticipato pagamento di messe ed altre cerimonie sacre da celebrarsi, dopo la sua morte, in suffragio della donatrice. La chiesetta vera e propria è composta da un’unica navata e da due altri piccoli locali adiacenti uno dei quali funge da sagrestia mentre l’altro ospita il simulacro della Madonna Addolorata e, collocato in un’apposita bara di vetro, quello del Cristo deposto dalla Croce. Nel vano sottostante l’unico ma prezioso Altare barocco, sovrastato da un mirabile Crocifisso ligneo del Milanti, giace lo scheletro pressoché integro di San Clemente a cui la Chiesa è intitolata. I Congregati, in numero costante di 72 e sempre sotto la guida di un Superiore eletto a scrutinio segreto ma la cui carica durava un solo anno, oltre al pagamento di una quota annua di 1 tarì e 16 grani erano tenuti a condurre una vita irreprensibile e di riunirsi, per l’appunto, ogni martedì per fare penitenza sia in pubblico che in privato: in quest’ultimo caso potevano disporre di apposite cellette per la pratica dell’autoflagellazione. L’Oratorio era aperto al pubblico solo tutti i di martedì dell’anno ed inoltre: il Giovedì Santo, il 26 luglio, festa di Sant’Anna e l’8 settembre, giorno in cui la Chiesa celebra la Nascita della Vergine. Il Venerdì Santo vi si celebrava poi, ed ancora oggi vi si celebra sebbene con minore impatto scenografico, la traslazione del corpo di Gesù dopo la sua Deposizione dalla Croce che, con un’altra cerimonia assai toccante, era stata poco prima effettuata nella Chiesa Madre. Sulle pareti laterali della chiesetta si ammirano 12 tele di cm. 170 X 230 di Felice da Sambuca, al secolo Gioacchino Viscosi, raffiguranti altrettanti episodi della vita di Gesù. Nato a Sambuca Zabut, in provincia di Agrigento, il 13 agosto 1734 da Antonio e Laura Gullotta, penultimo di sette fratelli, a vent’anni entrò nel Convento Francescano di Monte S. Giuliano assumendo il nome, per l’appunto, di Fra’ Felice ma apponendo nell’atto di accettazione un segno di Croce perché analfabeta. Diventato famoso dopo avere dipinto i Quattro Dottori ed i Quattro Evangelisti nel Convento francescano di Palermo, fu chiamato persino a Roma per dipingere in Vaticano una serie di tele celebrative in occasione della beatificazione del confratello Bernardo da Corleone. Sue opere si trovano a Sciacca, Corleone, Caltabellotta, Giuliana, Monreale, Termini Imerese ed a Salemi dove prima della sua morte avvenuta a Palermo nel 1805, stando al Cognata, il frate pittore a più riprese dimorò. Lungo le pareti dell’Oratorio le mirabili tele non sono disposte secondo lo stretto ordine cronologico degli episodi così come riportati dai Vangeli ma, in senso orario, secondo la seguente disposizione: “Lavanda dei piedi”, “Orazione all’orto”, “Flagellazione”, “Incoronazione di spine”, “Gesù cade sotto la Croce”, “Gesù inchiodato sulla Croce”, “Maria Bambina con Sant’Anna”, “Maria adolescente con San Gioacchino”, “Natività”, “Adorazione dei Magi”, “Fuga in Egitto”, “Sacra Famiglia con visione della Croce”. Presso la porta d’ingresso si ammirano altre due tele di mirabile fattura che raffigurano, rispettivamente, “Gesù e la Samaritana” e “ Gesù ed il paralitico in barella”, pure attribuite al Frate da Sambuca. Di Felice conosciamo i titoli, ma non la ubicazione, di altri nove quadri facenti parte del ciclo della vita di Gesù perché citati da Pasquale Sarullo nel suo “Dizionario degli artisti siciliani”. Essi sono: “Nascita di Gesù”, “Adorazione dei Magi”, “Fuga in Egitto”, “Gesù Bambino a Nazareth”, “Agonia di Getsemani”, “S. Giuseppe che lavora con la pialla”, “Flagellazione”, “Coronazione di Spine” e “Crocifissione”. Nella scheda illustrativa delle operazioni di restauro magistralmente eseguite a cura della Soprintendenza dei BB.CC. di Trapani nei primi anni ’80, Giulia Davì così annota: “Il ciclo pittorico di Sant’Annedda", opera estrema, costituisce la sintesi della cultura di Fra’ Felice espressa con un lucidissimo linguaggio che non indulge al mero accademismo formale. Notevole la varietà di schemi compositivi che vanno dai più semplici ai più complessi basati su giochi di diagonali, mentre la presenza di maschere grottesche e caricaturali ha il compito di sdrammatizzare gli schemi ricchi di pathos emotivi altrimenti troppo realistici nel “Cristo alla colonna” o nella “Crocifissione”. Degno di nota un piccolo mezzo busto con cui uno sconosciuto scultore ha voluto rappresentare un realistico “Hecce Homo” le cui labbra sono socchiuse perché, secondo la tradizione, avrebbe risposto al Parroco Roello che lo aveva implorato di rafforzare la sua fede divenuta vacillante.