La basilica paleocristiana di San Miceli, dedicata all’arcangelo San Michele, fu scoperta nel 1893 da Antonio Salinas su segnalazione di due illustri Salemitani appassionati di archeologia: Giovanni Baviera e Antonio Lo Presti. Si tratta di una basilica a tre navate, divise da due file di cinque pilastri (dimensioni stimabili 14,50 x 14,75 m.), con abside sul lato ovest e nartece sul lato est. Si presume che questa Basilica sia stata la prima chiesa Cristiana in Sicilia, in quanto il Battistero era posizionato nel retro della chiesa, quando, di solito, si trovava nei pressi dell'entrata. Nello spiazzale, si trova una casetta in legno, costruita circa nel 2014 che dovrà essere utilizzata come biglietteria. Questa chiesa aveva uno scopo cimiteriale infatti, sono state ritrovate molteplici tombe dei primi cristiani. Furono esplorate in tutto 58 tombe a fossa, con rivestimento di pietrame a secco coperto da rozze lastre di tufo. All'interno vi erano corredi molto preziosi: fibbie, orecchini d'oro, anelli, piastre d'oro che in origine formavano una collana, forme in vetro. La basilica, col passare degli anni è stata ricostruita ben 3 volte, quindi si parla di 3 fasi distinte di vita della struttura. La pavimentazione all'interno della Basilica, era con mosaici, particolarmente significativi per il coesistere dello stile decorativo della tradizione geometrica classica e floreale. Purtroppo adesso ne sono rimasti soltanto piccoli pezzi, dove si possono decifrare delle scritte in latino e altre in greco. Molti danni sono stati causati dai “Tombaroli”, che scavando in maniera clandestina, per trafugare oggetti preziosi, hanno rovinato gran parte del mosaico.
Gli scavi hanno messo in luce tre livelli di pavimento in mosaico dal più recente al più antico, rispettivamente contraddistinte dalle lettere A,B e C.
FASE A: Si presume che il pavimento della fase più recente sia riferito al VI secolo per la prevalenza delle iscrizioni in latino. Il pavimento superiore venne gravemente danneggiato all'atto della scoperta e anche successivamente. Ne sopravvive, un lacerto al centro della navata principale, la parte destra di un’iscrizione in latino, in cui si legge: MPORIBUS NTIFICIS PATRIS EPISC OMINUSDO NORISF IOLICE. Si tratta quasi certamente dell’epigrafe dedicatoria della basilica. Questo pavimento superiore, al momento della scoperta, giaceva sotto uno strato di materiale di colmata, con frammenti di coppi e tegole della tettoia, e tracce di terra bruciata con carboni, resti forse delle travi che sostenevano la tettoia, e cioè, con buona probabilità, il tetto a spioventi che copriva la basilica devastato da un incendio. La distruzione dei luoghi di culto erano molto frequenti per le persecuzioni dei cristiani in quel periodo storico. Le costruzioni, soprattutto i tetti, anche di alcuni templi greci, erano costruite con il tetto in legno.
FASE B: (la prevalenza delle iscrizioni in greco, fanno pensare che si riferisce al V secolo) Il pavimento musivo è caratterizzato nella sua metà occidentale da uno schema geometrico di ottagoni e quadrati includenti motivi floreali stilizzati, e nella sua metà orientale da quadrilateri irregolari e losanghe. Nella metà occidentale si trovano cinque importanti iscrizioni musive, di cui quattro greche e una latina, in cui sono menzionati alcuni benefattori della chiesa: - Kobouldeus e Maxima - Zosimos - Saprikios - Makarios – Dionisius. L’iscrizione di Kobouldeus dice: “Kobouldeus e Maxima sciolsero il voto per la salvezza loro e dei figli”. Si tratta dell’iscrizione dedicatoria della chiesa o, almeno, del pavimento musivo. Il nome Kobouldeus era molto diffuso presso le comunità cristiane del nord Africa. La seconda iscrizione dice: “il presbitero Macario per la salvezza di Kobouldeus”. La forma dell’iscrizione induce a ritenerla funeraria. L’iscrizione potrebbe riferirsi alla tomba di Kobouldeus, costruita dal presbitero Macario, oppure ad un restauro del pavimento, voluto da Macario per ricordare il fondatore della chiesa. La terza iscrizione recita: “ricordati, Signore, del tuo servo Sapricio”. Sapricio (dal greco sapròs) vuol dire “putrido”, ed è uno dei nomi dispregiativi assunti dai primi cristiani per umiltà. Si tratta forse di un’epigrafe funeraria. L’unica iscrizione sicuramente funeraria è quella di Dionisius: “il presbitero Dionisio visse in pace 55 anni”.
FASE C: è la più antica e la costruzione risale all'incirca all'inizio del IV secolo. Mentre la distruzione con incendio si può datare nel corso del VII secolo. I resti sono molto scarsi, poichè il pavimento si trova coperto da quello della fase B. L’elemento più interessante è il frammento musivo trovato nella parte orientale della navata, dove è possibile individuare i colori predominanti ovvero il bianco ed il rosso. Le tessere sono molto grossolane e disconnesse.