Nel 1820 Salemi aderì ai primi moti rivoluzionari dell’Isola con una “Deputazione di Pubblica Utilità e Sicurezza” presieduta, addirittura, dall’Arciprete Vito Ansaldi. Fu tra le prime città siciliane a rispondere all’insurrezione di Palermo del 12 gennaio 1848 e ad organizzare un Consiglio Civico presieduto dal Notaio Onofrio Favara i cui due figli, Vito e Gaspare, istituivano la Guardia Nazionale. E questo non ostante solo pochi anni prima, nel 1837, la città fosse stata flagellata da un virulento colera che aveva contagiato circa un terzo della popolazione uccidendone circa 600: cosa che aveva indotto le autorità del tempo ad approntare in tutta fretta un apposito cimitero in Contrada Serrone. Fallita la rivolta, in regime di restaurazione i Borboni punirono Salemi che pagò la sua fede rivoluzionaria con la perdita di una parte del suo territorio ed in particolare i suffeudi di Pionica, Zafferana e Fiumegrande, a tutto vantaggio del limitrofo agro di Santa Ninfa, cittadina che in quella circostanza non si era apertamente schierata. L’11 maggio del 1860, un piccolo esercito guidato da Garibaldi, sbarcò a Marsala e invece di proseguire come sarebbe stato logico alla volta di Palermo, dopo pochi chilometri di marcia deviò verso Salemi dove, come è storicamente accertato, lo Stato Maggiore di Garibaldi era a conoscenza della presenza di uomini e mezzi tali da garantire al meglio l’esito dell’impresa. Dopo avere bivaccato nella fattoria di Rampingallo, feudo gestito dal salemitano Alberto Mistretta situato a metà strada tra Salemi e Marsala, i Garibaldini entrano in Salemi accolti da una folla entusiasta ed esultante. I cittadini, così come le autorità, si offrono di collaborare a tutti i livelli. Persino l’Arciprete Francesco Paolo Tibaudo, assieme a Simone Corleo e ad Ignazio Lampiasi, dichiarano la loro disponibilità senza riserve. Garibaldi è ospite del Marchese di Torralta, Francesco Crispi è alloggiato in casa di Simone Favara. A tutti i graduati vengono messe a disposizione le dimore più confortevoli, la truppa si accontenta delle abitazioni del popolo, meno lussuose ma altrettanto accoglienti. Nel Piano di San Francesco, attuale Piazza Libertà, Garibaldi accoglie le squadre di volontari che a centinaia vanno arrivando da Alcamo, Erice e Castelvetrano; riorganizza e passa in rassegna la milizia di cui fa parte anche un centinaio di “Picciotti” salemitani. Le Signore Granozzi e De Stefano Perez di Santa Ninfa confezionano una Bandiera Tricolore che un corteo di cavalieri scorta fino a Salemi per essere consegnata a Garibaldi: è la prima Bandiera del Risorgimento italiano. Nella sala consiliare del Municipio fervono intanto altre attività e si scrivono altre importanti pagine di Storia. Simone Corleo ed Alberto Mistretta, d’intesa con Francesco Crispi, convocano con il rito d’urgenza il Decurionato che il 14 maggio, dopo breve e pacata discussione, delibera di aderire, in nome di tutta la popolazione, al movimento di liberazione e di unificazione nazionale invitando Garibaldi ad assumere la Dittatura in nome e per conto di Vittorio Emanuele. Alle prime luci del 15 successivo, rifocillati, meglio armati ed organizzati ma, soprattutto, pieni di ritrovata fiducia ed entusiasmo, i Mille marceranno verso Calatafimi e sulle balze del Colle di Pianto Romano, così chiamato dai locali per la forma romboidale data ai filari delle viti, detta, appunto, “alla romana”, affronteranno vittoriosamente le soverchianti forze borboniche. Alcuni volontari salemitani quali il Maggiore Domenico Mistretta, il trombettiere Antonino D’Antoni, il Capitano Luigi Torres, Bartolomeo D’Angelo e il geometra Nicolò Favuzza seguiranno Garibaldi anche nelle successive battaglie di Palermo, di Milazzo e sul Volturno. A Milazzo perderà la vita il giovane Paolo Oliveri. Dopo la partenza dei Mille Alberto Mistretta, sia pure solo per pochi mesi visto che già il 4 ottobre 1860 il prodittatore Mordini lo sostituirà col palermitano Gaetano Del Serro, assumerà la carica di Governatore del distretto di Mazara Mentre Simone Corleo, docente universitario, filosofo e medico, dovrà accontentarsi di ricoprire “solo” la carica di Presidente del Consiglio Civico. Il Corleo, umiliato, in una lettera al Luogotenente Generale afferma di ritenere “ cosa stupida che il Mistretta, un guardiapecore, fosse governatore a fronte di lui”. A questo punto quella sorta di rivalità strisciante che anche per motivi personali e familiari già da tempo covava tra i due, esplode in forma pubblica e violenta. Il Mistretta, ritornato a Salemi, si pone in netta contrapposizione politica col Corleo. Si delineano così in Città due opposti schieramenti politici. Ci fu la devastazione nel Circolo “Gaspare Favara”, nel Circolo “Buoni Amici”, nella Banca Popolare e nello studio del Notaio Leonardo Baviera, distruggendo ed incendiando suppellettili e documenti. Il fermo intervento dell’esercito poneva fine ai disordini mentre i maggiori responsabili delle intemperanze venivano condannati a pene detentive anche severe: Per garantirsi la necessaria organizzazione elettoralistica ognuna delle due fazioni fonda un circolo che sotto l’apparente funzione associativa e ricreativa non nasconde chiare finalità politiche. Il Mistretta già nel 1866 aveva dato vita al circolo denominato “Salemi e la Dittatura del 1860” dal quale gemmerà l’associazione “Democratica”; di contro nel 1883 il Barone Domenico Villaragut fonderà la “Società Operaia di Mutuo Soccorso Lavoro e Fratellanza” attiva ancora oggi. Intanto in Sicilia si faceva sempre più incontenibile il malcontento popolare nei confronti del Governo centrale colpevole di avere provveduto all’ “annessione” dell’Isola come si fosse trattato di una colonia e non, piuttosto, della terra da cui era nata l’Italia contemporanea; ma colpevole, altresì, di non avere mantenuto la promessa di abolire alcune tra le imposte più odiate come quella sui diritti di macina del frumento o l’imposta di famiglia detta “focatico”. A Salemi si riscontrano poi ulteriori motivi di inquietudine per via di vere o presunte irregolarità sulla riscossione del dazio perpetrate dagli appaltatori Girolamo Favara e Giacomo Giacomazzi i quali avevano istituito veri e propri posti di blocco in tutte le strade di accesso alla città perché nessun prodotto dell’agricoltura, della zootecnia o dell’artigianato potesse sfuggire all’imposizione daziaria. Questo movimento, rimasto famoso nella storia col nome di ”Fasci dei Lavoratori “, anche a Salemi trovò terreno fertile. Fondati dal medico socialista Alessandro Catania, i Fasci dei Lavoratori a Salemi erano stati inquadrati grazie ad uno statuto che regolava i diritti ed i doveri degli associati. Vi erano ammessi tutti i lavoratori di ambo i sessi di età compresa fra i 14 ed i 55 anni. Gli iscritti erano soliti portare all’occhiello una sorta di distintivo consistente in una monetina, il “guranu”, rivestita da un pezzetto di stoffa rossa. Nella nostra Città ebbero la durata solo di poche settimane, e precisamente dal 10 dicembre 1893, giorno dell’inaugurazione della sede sociale, al 4 gennaio 1894, data della proclamazione dello stato d’assedio ritenuto necessario dalla polizia dal momento che la sera del 31 dicembre un migliaio di scalmanati, sfuggiti al controllo del Catania che invano aveva tentato in ogni modo di farli ragionare, dopo avere dato alle fiamme gli odiati “casotti” del dazio che assediavano la città quasi strozzandola, si erano riversati nella via Conte Umberto, oggi Via Amendola, con l’intendimento di devastare gli uffici del “Municipio vecchio”, allora ospitati nei locali di S. Agostino. Intanto, tramontati i Mistretta ed i Corleo, dalla fine dei Fasci dei Lavoratori all’avvento del Fascismo l’amministrazione comunale resterà ininterrottamente nelle salde mani delle famiglie Lampiasi e Lo Presti, non senza gustosi episodi di accesa rivalità tra gli adepti dell’uno e dell’altro schieramento: al punto da dare vita a due contrapposte bande musicali soprannominate, rispettivamente, “degli sbracati” e “ degli sfiduciati” o dal preferire non fumare piuttosto che accettare lo zolfanello offerto dal “nemico”. Tra i meriti del Sindaco Lampiasi quello di avere saputo fronteggiare con fermezza ed umanità gli episodi di violenza causati dai più facinorosi in occasione dei Fasci dei Lavoratori. A lui si devono anche i festeggiamenti organizzati a Salemi nel 1910 in ricorrenza del cinquantenario della Spedizione dei Mille cui partecipò, benché ormai avanti negli anni, Giuseppe Cesare Abba il quale, venuto appositamente da Brescia, come scrisse lui stesso poco dopo, non aveva saputo “dire di no alla voce di Salemi che lo chiamava”. Da non trascurare il merito di avere pubblicato a spese del Comune “Salemi e i Mille” di Francesco La Colla e, soprattutto, di avere dato alle stampe, su segnalazione del fratello Ignazio, l’opera: “Della fondazione e stabilimento degli Studi Generali di Torino”, opera manoscritta del grande concittadino Francesco D’Aguirre redatta nel 1715 e rimasta fino ad allora inedita negli archivi dell’Università torinese. A Baldassare Lo Presti, sindaco in carica a partire dal 1910, toccò il difficile compito di affrontare le straordinarie esigenze venutesi a determinare anche nella nostra città con lo scoppio della I Guerra Mondiale: un immane flagello cui Salemi diede il suo tributo di dolore e di sangue con centinaia di feriti e con 103 caduti, fra i quali il giovanissimo volontario Vito Favara ed il Tenente Giuseppe de Arcangelo, entrambi decorati con Medaglia d’Argento al Valor Militare. Dopo la disfatta di Caporetto il Sindaco Lo Presti, onde evitare la carestia, ottenne dalle autorità militari di potere distribuire ai concittadini, in regime di monopolio comunale, parte del frumento destinato all’esercito ed ammassato nelle chiese di S. Agostino, Santa Chiara e del Collegio per l’occasione adibite a deposito. Nel dicembre 1923, con l’avvento del Fascismo, l’amministrazione comunale veniva dichiarata decaduta, Baldassare Lo Presti destituito dalla carica ed il Comune affidato all’ericino Rocco Genovese con le funzioni di Commissario Prefettizio.