i tesori della sicilia occidentale

STORIA DI SALEMI

di Paolo Cammarata

ORIGINI

Quando nell’agosto dell’830 gli Arabi, subito dopo essere sbarcati nel litorale di Mazara, conquistarono Halicyae, trovarono una terra desolata al punto che dovette apparire loro abbandonata da Allah e dagli uomini. Tanto per cominciare, com’è opinione comune, le cambiarono il nome in “Salemi”: secondo alcuni in onore di Saleiman, figlio del generale caduto durante il breve assedio, secondo altri per similitudine con un vocabolo maghrebino che suonerebbe “Terra di delizie”. Sembra abbastanza plausibile, invece, che il toponimo “ Salemi ”, altro non sia che la trasposizione latina del precedente toponimo greco “Halicyae”. Il primo, infatti, contiene la radicale “sal”, il secondo la radicale “als”che in entrambe le lingue indica il sale. E ciò non perché a Salemi, in realtà, abbondasse il cloruro di sodio ma perché il suo territorio era molto ricco di solfato di calcio, o gesso, i cui cristalli in un primo momento forse furono scambiati per quelli, del resto morfologicamente assai simili, del sale. Ma il nome non fu la sola cose che gli arabi cambiarono al loro arrivo. Oltre alla coltura degli agrumi introdussero, infatti, nuove tecniche d’irrigazione quali la canalizzazione sotto traccia ancora oggi dai più anziani, con termine di derivazione araba, chiamata “cafésa” e la conservazione dell’acqua per i momenti di siccità in più o meno capienti invasi che anche oggi chiamiamo “gébbia”. In pochissimo tempo trasformarono, insomma, quel vastissimo agro in qualcosa che, allora sì, dovette apparire davvero come un “Luogo di delizie”. E così lo descrive in effetti il geografo arabo Abu Abdallàh Muhammad ibn Muhammad Idrìs il quale, incaricato da Ruggero il Normanno di redigere una carta descrittiva del Regno, quel “Libro di Ruggero” che possiamo definire la prima guida turistica della Sicilia, già nel 1154 così si esprime: “Salemi è un casale molto vasto e popolato sovrastato da un fortilizio situato in eccelsa posizione. In questa località, vero tripudio di alberi e giardini, le acque sorgive sono copiose ed è diffuso per ogni dove il benessere”. Con la conquista normanna, forse per la sua posizione strategica ma verosimilmente anche per la presenza di una grande via di comunicazione, detta localmente“Via di li jenchi” perché utilizzata anche per la transumanza del bestiame ma che Fra’ Michele da Piazza identifica con quel “recto tramite” che in pratica si sovrappone all’ ”Itinerarium Antonini” il quale provenendo dal centro della Sicilia attraversava gran parte del nostro territorio rendendo più agevole il trasferimento delle derrate dall’entroterra siciliano verso i porti di Marsala, Mazara e Trapani, Salemi non fu concessa in feudo ma rimase legata al Demanio Regio. Condizione di considerevole vantaggio che i cittadini avrebbero difeso ad ogni costo contro i reiterati tentativi d’infeudazione perpetrati nei secc. XVI e XVII sotto il Viceregno spagnolo. Per ben tre volte, infatti, nonostante un “Privilegio” rilasciato da Carlo V recitasse che Salemi non sarebbe stata mai venduta ad alcun feudatario “quantacumque necessitate urgente”, cioè neanche in caso d’imprescindibili esigenze economiche, la Città rischiò di perdere la propria demanialità ma ogni volta i salemitani, avvalendosi di un “Capitolo”, cioè di una legge emanata molti anni prima da Federico III d’Aragona, per cui le città in predicato di essere vendute potevano riscattarsi, preferirono pagare di tasca propria migliaia e migliaia di scudi pur di non perdere le elementari ma importanti garanzie di legalità e democrazia che solo l’autorità del Re, e non certo la prepotenza di un feudatario, potevano offrire. Essi sapevano bene che passare dallo stato giuridico di Città Demaniale a quello di Città Feudale avrebbe significato per Salemi non solo un evidente declassamento in termini di dignità politica e sociale ma anche la perdita di vantaggi più squisitamente pratici e concreti quali il mantenimento della proprietà allodiale e il diritto ad essere amministrati da Baiùli, Giurati e Capitani di Giustizia graditi alla Corte ma quasi sempre eletti tra i notabili del luogo. Le fonti storiche di Salemi relative al periodo che va dal XIV al XIX secolo, oltre che dalle Opere di Tommaso Fazello, Rocco Pirri, del Di Giovanni, di Biagio Amico e molti altri ancora, ma, in maniera più specifica, del Cremona, del Baviera e del Passalacqua, in maniera diretta o riflessa si possono trarre dal “Rollus Rubeus Officii Spectabilium Juratorum, Baronum, Regiarum Secretiarum hiuis Fidelis Civitatis Salem”. Si tratta di una raccolta di documenti sovrani medioevali di concessione di diritti e prerogative, di immunità ed esenzioni da tributi e prestazioni, di Capitoli, Assisi, Statuti, Consuetudini e Deliberazioni della Corte Baiulare, Giuratizia e del Pubblico Consiglio che quasi tutte le Città, ma soprattutto quelle Demaniali, possedevano. Preziosa testimonianza di tutta una serie di diritti faticosamente acquisiti ma continuamente rimessi in discussione dalle autorità viceregie che si susseguivano nel tempo, veniva affidata ad un Magister Notarius che aveva il compito di annotarvi tutti gli atti di interesse pubblico e di conservare gli originali. Moltissime città non hanno saputo conservare queste preziose testimonianze, mentre fortunate circostanze hanno consentito a Salemi di potere attingere da questa fonte notizie di fondamentale importanza per la ricostruzione di un travagliato ma importantissimo periodo della nostra municipalità.