i tesori della sicilia occidentale

Castello

Benché nella sua lunga storia sia stato scosso da almeno quattro terremoti (l’11 febbraio 1693, l’11 gennaio 1783, il 4 settembre 1794 ed infine il 14 gennaio 1968), nonostante per quasi tre secoli abbia subito l’onta di un utilizzo inadeguato, per non dire delle manutenzioni improprie alle quali è stato sottoposto nel tempo, il Castello Normanno Svevo di Salemi resta uno dei più importanti di tutta la Sicilia. La sua prima costruzione, stando ad una leggenda medioevale, avrebbe avuto origine dall’ accordo intercorso fra due fratelli ed una sorella i quali, contendendosi la supremazia della zona ma volendo al contempo saggiamente evitare inutili dissidi, avrebbero deciso di costruire ciascuno un castello in tre alture diverse ma pressoché speculari: chi l’avesse ultimato per primo avrebbe guadagnato il diritto di rimanere mentre gli altri due, senza cercare rivalse, sarebbero andati a cercare fortuna altrove. Vinse la sorella che, con un po’ di malizia tutta femminile, ricorrendo ad uno stratagemma grazie al quale fece falsamente credere di avere già ultimato la costruzione, indusse i fratelli ad abbandonare ancora incompiuti i due castelli, rispettivamente, in località Settesoldi e Mokarta, dove effettivamente ancora oggi persistono tracce di antichi ruderi che in qualche modo confermerebbero storicamente il racconto. Se si esclude una citazione di Diodoro Siculo che nel XXVI Libro della sua “Biblioteca Historica” accenna ad un luogo fortificato esistente in un sito che potrebbe coincidere con il nostro, la prima inconfutabile testimonianza del Castello la dobbiamo ad Abu Abdallah Muhammad ibn Muhammad ibn Idris, il geografo arabo-siciliano che nel 1154 compilò il “Libro di Ruggero”, quasi una guida turistica ante litteram della Sicilia, in cui, nel descrivere Salemi, riferisce tra l’altro di “un castello situato in eccelsa posizione”. A conferma di questa notizia è per noi di grande aiuto un’iscrizione epigrafica incisa sull’architrave di una delle finestre del mastio in cui si legge l’acronimo: ”I.C.N.C.R.I.” che gli epigrafisti, tra cui il famoso Gregorio Ugdulena, sciolgono in due modi, e cioè: ”I(esus) C(hristus) N(azarenus) C(rucifixus) R(ex) I(udeorum), ovvero: I(n) C(tristi) N(omine) C(omes) R(ogerius) I(nstruxit). Le due letture, per quanto dissimili, sono concordi nel datare la costruzione, comunque, in epoca cristiana e cioè dopo la conquista normanna della Sicilia con conseguente ritorno della stessa al Cristianesimo. La seconda, in particolare, ci presenta una costruzione fatta nel nome di Gesù Cristo dal “Comes” Ruggero il Normanno e quindi prima del 1130, anno in cui il Gran Conte fu incoronato Rex Siciliae. È plausibile, pertanto, datare la costruzione del Castello di Salemi, o almeno una sua profonda ristrutturazione finalizzata alle mutate esigenze politiche e militari, nel periodo che intercorre tra gli ultimi decenni dell’XI secolo (ritorno della Sicilia al cattolicesimo) ed il 1130 (incoronazione di Ruggero). Il suo impianto planimetrico ha forma di trapezio irregolare ed è orientato in direzione nord est – sud ovest con due torri quadrangolari alte venti metri agli angoli di sud est e sud ovest ed una torre cilindrica alta trenta a nord ovest. Sguarnito rimane il quarto angolo, forse a causa della naturale situazione orografica che da quel lato, in ogni caso, era naturalmente munita per la presenza di un dirupo quasi inaccessibile. La torre rotonda è la risultanza della sovrapposizione di tre cilindri di diametro leggermente degradante. I tre vani interni, messi in comunicazione da una scala ricavata nello spessore delle mura ed illuminata da feritoie e piccole finestre che si aprono su ogni rampa, hanno volte ad ombrello ottagonale con costoloni in pietra intagliata. Le due torri quadrangolari, composte da quattro vani ciascuna, sono impreziosite, rispettivamente, da una volta a botte ogivata e da una volta a crociera i cui quattro costoloni poggiano su eleganti capitelli di altrettante finte colonnine intagliate agli angoli della sala. Ragguardevole la scala agettante in pietra “campanella”, (così detta per il suo alto contenuto di materiali ferrosi che, quando lavorata, emette un suono come di una campana), che immette al secondo livello della torre di sud est. Data la sua ubicazione posta sulla sommità di un cucuzzolo e la conseguente impossibilità di isolarla con un fossato, alla fortezza, anziché da un ponte levatoio, si accedeva tramite una grande porta sormontata da due archi a sesto acuto serrata, in caso di pericolo, da una possente saracinesca azionata da un sistema di carrucole che scorreva in verticale all'interno di una intercapedine ricavata tra il portale interno e quello esterno. Era circondato da una doppia cinta muraria di cui rimane solo qualche traccia ormai fagocitata da varie costruzioni che nei secoli vi si sono addossate. Si ha anche la memoria di almeno cinque porte d’ingresso: Porta Gibli, Porta Santa Maria e Porta Aquila più vicine al centro storico; Porta Quercia e Porta Corleone nella zona più periferica. Nel Medio Evo era sede del “Castellano”, governatore militare ed amministrativo di nomina regia ma, data la demanialità di Salemi, scelto tra la nobiltà o la borghesia locale. A lui competeva la custodia dei prigionieri dai quali introitava lo “Jus carceratorum” e la giurisdizione in materia di reati minori. Gli accusati di reati più gravi erano giudicati, invece, dal Capitano di Giustizia mentre chi si macchiava di colpe per le quali erano previste gravi menomazioni fisiche e la stessa pena capitale veniva affidato ad un Giudice togato itinerante inviato dal Re nelle città in cui di volta in volta era richiesta la sua opera. Almeno fino al 1629, anno in cui, dopo avere ottenuto da Carlo V il titolo di “Urbs Fidelis”, i Giurati della Città presieduti da Francesco Cutrona, dietro il rituale pagamento di ingenti somme, ottenevano da Filippo IV il “Mero e Misto Imperio” che equivaleva in pratica alla più completa autonomia sia nel campo della giurisdizione civile che in quella penale. Nel 1789, come risulta da un atto autentico registrato a Trapani 1836, al n° 4750, il Comune di Salemi, dietro pagamento di L. 55,97, otteneva dal Barone Ripa che come si vedrà in seguito ne era a quel tempo il titolare, la porzione di suolo compresa tra le due torri quadrate ed il grande muro prospiciente l’attuale Piazza Alicea per la costruzione del carcere mandamentale fortunatamente poi demolito nel 1959. Dal punto di vista squisitamente storico il Castello si segnala per essere stato teatro di avvenimenti di rilevanza non solo locale. Il 2 aprile 1392, per citare alcuni esempi, ospitò la famiglia reale spagnola che, approdata a Trapani, si recava via terra a Palermo per la cerimonia dell’incoronazione; l’11 novembre 1412 qui si adunarono i rappresentanti di tutte le città filo-araganesi unite in quella Lega, esaltata dal Beccaria quale “Novella Pontida”, con la quale venne preclusa al Chiabrera la possibilità di usurpare il Regno ai danni di Bianca di Castiglia; il 14 maggio 1860 sulla sua torre più alta Garibaldi issava il Tricolore offertogli da un corteo di cavalieri venuto a Salemi dalla vicina Santa Ninfa. Dopo vari tentativi sempre rintuzzati dai cittadini che in varie occasioni pagarono di tasca propria somme ingentissime pur di non perdere i vantaggi derivanti dall’essere legati al Regio Demanio, nonostante il giuramento effettuato “super Quattuor Evangelia” che la Città non sarebbe mai stata venduta “quantacumque necessitate urgente”, nel 1645 Salemi veniva ceduta per 13.000 scudi al facoltoso Filippo Orlando. I Salemitani, un po’ perché già dissanguati dall'esborso di ingentissimi donativi in favore dell’erario spagnolo effettuati fino a pochi anni prima, un po’ perché pensavano che in fondo, essendo un concittadino, avrebbe fatto valere con moderazione le prerogative baronali testé acquistate, non trovarono subito quella determinazione nell'opporsi che li aveva contraddistinti in passato e lasciarono che l’Orlando si insediasse. Accortisi subito di avere sopravvalutato il Barone che tradendo le loro aspettative esordì imponendo nuove tasse ed affidando a suoi familiari le cariche più importanti, quaranta cittadini, tra cui Francesco D’Aguirre, Aloisia Bruno, Francesco La Rocca, Nicolò Di Blasi e Francesco Agate, ricorrendo ad un Capitolo emanato dal Vicerè Pietro Foxardo Zugnica, per il quale le città demaniali vendute potevano ritornare al Demanio Regio o rimborsando l’intera somma al compratore oppure versandogli l’interesse annuo del 5%, proposero all’Orlando di rinunziare alla baronia accettando un vitalizio di 260 scudi annui. Costui, invece, pare abbia preteso il rimborso dell’intera somma in unica soluzione per cui fu necessario trovare altri finanziatori. Fra i tanti, il Sacerdote Carlo Bruno si offrì di anticipare 800 once per la durata di cinque anni ma pretese a garanzia un’ipoteca sul Castello.Trascorso infruttuosamente quel lustro, il Bruno fece valere i suoi diritti e si impossessò del Castello e della Castellania che alla sua morte, in mancanza di eredi diretti, passarono prima ai Ripa e poi ai Fardella di Trapani. Da quel momento, per un lunghissimo periodo durato quasi tre secoli, l’edificio più emblematico dell’antica libertà municipale di Salemi decadeva al ruolo di deposito di paglia e di materiale vario. Si accendeva così un interminabile contenzioso tra la famiglia proprietaria, che non avendo alcun interesse per l’immobile ne trascurò persino la più elementare manutenzione, e la Città. Dopo vari tentativi di trovare un accordo, nel 1836 il Barone Fardella, nella qualità di avente causa del Sacerdote Bruno, intentava un procedimento contro il Comune di Salemi, volto ad ottenere la restituzione delle 800 once date in prestito dal suo antenato in cambio della risoluzione dell’anticresi. Il Comune eccepiva che il Fardella non poteva vantare più alcun diritto anticretico, dal momento che il debito originario era da ritenersi ormai estinto. In un primo momento il Tribunale Civile di Palermo dava ragione al Fardella fino a quando, tra infinite lungaggini e rinvii, nel 1923 il Barone Giovanni Fardella accettava la somma di L. 10.200 rinunziando ai suoi secolari diritti sul Castello che, dopo ben 270 anni, tornava al demanio comunale. A partire dal 1934 fu sede della Biblioteca Comunale e della Mostra di Cimeli del Risorgimento, importantissimi presidi culturali che nel 1984, per consentire i lavori di restauro della struttura danneggiata dal sisma del 1968, furono costretti a trasferirsi nei locali dell’ex monastero delle Clarisse. Dopo un lungo ed efficace restauro questo gioiello dell’architettura normanno-sveva, nella pienezza del suo splendore, è stato restituito non solo ai salemitani ma a tutti i cultori di storia medioevale ed utilizzato come splendida location di eventi culturali.