i tesori della sicilia occidentale

BELICE EPICENTRO MEMORIA viva

Belice / EpiCentro della memoria viva è un museo sempre “in costruzione” perché nasce come luogo aperto e vissuto dalla gente, uno spazio espositivo in continua evoluzione che si arricchisce di nuovi contributi di chi vive o chi “passa” dal Belìce: un luogo che narra la storia di una Sicilia che sorprende, che attrae e ispira. A Belìce/EpiCentro ognuno potrà portare e condividere pezzi di storie personali che diventano memoria collettiva. Belìce/EpiCentro è nato con il progetto Le Terre che tremarono ideato dal Cresm di Gibellina, da CLAC di Palermo, Le Mat con sede a Roma e Eco di Polizzi Generosa con il sostegno della Fondazione con il sud e della Provincia di Trapani. Lo spazio contiene e offre alla fruizione video, racconti, disegni, fotografie, documenti che rappresentano la coscienza storica della gente del territorio belicino e raccontano storie importanti e poco conosciute di lotte e mobilitazione popolare prima e dopo il terremoto del 1968. La storia che raccontano parole, immagini e segni inizia negli anni 50 con Danilo Dolci e attraversa un trentennio fondante della Storia locale ma anche italiana, perchè il Belice fu in quegli anni un laboratorio innovativo di pratiche di agire sociale che è importante oggi conoscere, per riflettere sul presente che stiamo vivendo. In questo sito il viaggiatore scopre la storia di un territorio, la Valle del Belìce, e del suo popolo, che a partire dagli anni 60 produsse uno dei più interessanti esperimenti di democrazia partecipativa in Italia. Gli “scioperi alla rovescia”, le denunce sociali, le inchieste, i digiuni di Danilo Dolci e del suo Centro per la Piena Occupazione, i Comitati Cittadini per lo sviluppo del Belice, il terremoto del 1968 e le lotte popolari per la ricostruzione del Belìce. Tutto questo si racconta attraverso mappe virtuali, fotografie parlanti, video e documenti d’epoca con i quali creare itinerari inediti e originali per un viaggio nella nostra terra.

STORIA DEL BELICE

La Valle del Belìce, prima ancora del terremoto che la rese famosa nel 1968, fu un attivissimo laboratorio di pratiche di lotta civile e di partecipazione, noto già dagli anni 50 presso le avanguardie sociali di tutta Europa. La gente del Belìce, seppe lottare contro mafia e latifondo chiedendo la costruzione di dighe e infrastrutture minime per la sopravvivenza, in un tempo in cui in Sicilia l’analfabetismo era la regola e la luce elettrica un privilegio. Le rivendicazioni e le lotte popolari si intrecciano dopo il terremoto con le vicende della ricostruzione, con il malaffare e le sperimentazioni urbanistiche, le utopie artistiche e la corruzione politica. E’ una storia intensa, affascinante, poco conosciuta dai siciliani stessi. Danilo Dolci sociologo, poeta, educatore e attivista della nonviolenza, nel 1952 inizia la sua attività di denuncia non violenta delle condizioni di povertà della Sicilia occidentale. Ad affiancarlo in questa impresa ci sarà anche Lorenzo Barbera. Dolci promuove forme di proteste come il digiuno collettivo sulla spiaggia di Trappeto con contadini e pescatori e lo sciopero alla rovescia, cioè lavorando (perché se uno è disoccupato come può scioperare? Non astenendosi dal lavoro ma mettendosi al lavoro!). Il 2 febbraio 1956 Danilo Dolci veniva arrestato mentre guidava un gruppo di braccianti a lavorare nella Trazzera vecchia, una strada nei pressi di Partinico abbandonata all’incuria. Al commissario di polizia che era intervenuto per interrompere quello «sciopero alla rovescia», Dolci rispose che «il lavoro non è solo un diritto, ma per l’articolo 4 della Costituzione un dovere: che sarebbe stato, era ovvio, un assassinio non garantire alle persone il lavoro, secondo lo spirito della Costituzione». L’accusa era di occupazione di suolo pubblico e resistenza a pubblico ufficiale e a Dolci e ai suoi venne negata la libertà provvisoria. L’opinione pubblica allora si mobilitò contro la polizia e il governo Tambroni, deputati e senatori intervennero con interrogazioni parlamentari, le voci più influenti del paese si schierarono a fianco di Dolci. Ciò che avvenne intorno allo sciopero alla rovescia di Trazzera vecchia, nelle piazze, nelle camere di polizia, sui giornali, nei tribunali, fu lo scontro sui modi opposti di considerare la legalità in Italia. Il difensore degli arrestati è Pietro Calamandrei e testimoni sono personalità illustri come Norberto Bobbio, Lucio Lombardo Radice, Carlo Levi e altri. Alla fine Dolci viene liberato e vince il premio Lenin per la Pace,16 mln di lire, una cifra enorme per l’epoca. Con i soldi del premio viene fondato il Centro Studi e Iniziative con sede centrale a Partinico e comitati in diversi paesi guidati da giovani pianificatori che si occupano di raccogliere dati sulla situazione sociale e ascoltare problemi e soluzioni della gente per aiutare i cittadini ad auto-organizzarsi. Nel 1967 si svolge l’evento simbolicamente più importante di questo eccezionale periodo di lotte: la famosa “Marcia per la Sicilia Occidentale”, che vede la popolazione della valle del Belice manifestare insieme ad importanti personalità e intellettuali siciliani, italiani e internazionali: ci sono il poeta e attivista per la pace in Vietnam Vo Van Ai, il pittore Ernesto Treccani, Carlo Levi, Ignazio Buttitta, giornalisti e fotografi da tutta Italia La notte tra il 14 e il 15 gennaio del 1968, un violentissimo terremoto colpisce la valle del Belìce distruggendo interi paesi. Le vittime sono più di 400. Migliaia le persone rimaste senza una casa. Vita difficile in tendopoli – L’impreparazione istituzionale. La vita sociale riprende faticosamente nelle tendopoli, gestite da militari, tra mille disagi: il freddo, il fango, la mancanza di servizi igienici. I primi giorni dopo il terremoto sono i giorni dei “ministri” che scendono dal cielo con elicotteri – a dispetto delle tante promesse elargite tra una stretta di mano e l’altra le istituzioni (Stato e Regione) si dimostrano completamente impreparate a gestire l’emergenza. Il caos spinge la popolazione a riprendere le forme di autorganizzazione e protesta: nascono i comitati di tendopoli che, per prima cosa chiedono l’espulsione dei militari. La grande mobilitazione. A spingere la mobilitazione c’è anche lo sdegno generale di fronte al palese incoraggiamento da parte delle istituzioni all’emigrazione (venivano distribuiti biglietti gratuiti per treni internazionali); il 24 gennaio, durante una sessione speciale all’aperto del consiglio comunale di Santa Ninfa, vengono esortate le persone a non lasciare il paese e unirsi per ricostruirlo. Poi ci si organizza per far pervenire – in modo diretto – precise richieste di intervento alle autorità statali (manifestazione a Roma) e regionali (marcia a Palermo). I tentativi di pianificazione partecipata. Grazie all’esperienza di progettazione partecipata che aveva preceduto il terremoto, le richieste della popolazione del Belice vanno oltre la semplice assistenza, ma guardano, ancora una volta, al problema dello sviluppo locale come fatto centrale per la rinascita del territorio; i comitati lavorano alla redazione di un piano comune in cui vengono indicate le azioni prioritarie da compiere per far si che la ricostruzione sia occasione di sviluppo democratico. Nel 1969 nasce il Centro Studi Valle del Belice che nel 1973 diventerà CRESM. Il Belice diventa campo per la sperimentazione Urbanistica. Nonostante precise esigenze della popolazione, il dibattito nazionale sull’urbanismo fa della valle del Belice un esperimento sul campo delle più illuminate teorie di pianificazione, che si esprimono sia nel percorso di costruzione del “Piano città-territorio”, a cura del Centro Studi e Iniziative con il coinvolgimento dei più illustri esponenti della pianificazione organica (Zevi, Carta, ecc.); sia nel percorso di pianificazione istituzionale centralizzata, che si articola nei diversi livelli territoriale, comprensoriale e comunale (Piani di ricostruzione parziale e totale). Entrambi i percorsi risentono delle stesse matrici culturali, che sono quelle predominanti dell’epoca (zonizzazione delle funzioni, gerarchizzazione della viabilità, ecc.). Mentre gli intellettuali “pianificano”, la popolazione continua a esprimere, con indicazioni molto concrete, il proprio dissenso per la cattiva gestione dell’emergenza; alle consuetudinarie forme di protesta (assemblee, marce, una veglia tra i ruderi di Gibellina in occasione dell’anniversario del terremoto, mozioni, comunicati stampa). Viene quindi lanciata la campagna dei Tre Chiodi:

1) il governo è fuorilegge perché non ha iniziato la ricostruzione e non ha rispettato le promesse

2) non si pagano più tasse perché il governo è fuorilegge

3) il piano di sopravvivenza e la lotta per lo sviluppo locale.

Dopo l’emanazione di una legge speciale per l’esonero delle popolazioni terremotate dal pagamento delle tasse, molti giovani della Valle del Belice fondano dei “comitati anti-leva” perché per lo stato fuorilegge non si fa il militare. Il centro studi Valle del Belice riceve il supporto dei tanti movimenti nazionali per l’obiezione di coscienza. Da questo movimento siciliano nascerà la prima legge italiana sul servizio civile. La prima trasmissione su frequenze non pubbliche nella storia della radio italiana fu realizzata da Danilo Dolci e Pino Lombrado a Partinico accompagnati dal flauto di Amico Dolci. Il titolo fu SOS BELICE, il tema i racconti disperati e i mille bisogni del dopoterremoto: «si marcisce di chiacchiere e di ingiustizie, la Sicilia muore». Questi eventi che hanno segnato la storia del Belice sono descritti in un bel libro di Lorenzo Barbera