Interviste ... impossibili
Maria Francesca Barone
UN LUNGO VIAGGIO NELLE PASSIONI DELL'UOMO
Intervista immaginaria a Ugo Foscolo
Buongiorno signor Foscolo: ha finito di viaggiare, e scappare, per l'Europa?
“Sì, la mia fuga è terminata nel 1827, quando le mie membra hanno deciso di riposare per sempre”.
E' vero, lei morì il 10 settembre di quell'anno, all'età di 49 anni. Giovane direi...
“E sì, ero a Londra ed ero anche molto povero. Però la mia è stata una vita avventurosa e se vuole gliela racconto”.
Beh, mi sembra una buona idea, ma le domande le farò io. Questa, in fondo è un'intervista. Dunque, partiamo così: perché quando si parla di lei, si fa sempre riferimento ad una vita piena di avventure? Io sapevo che è stato uno dei più grandi poeti e scrittori italiani....
“E infatti lo sono stato e le mie avventure si sono sempre incrociate con la letteratura, che ho amato fin dalla mia infanzia. Potremmo dire così: quello che ho scritto è il frutto di ciò che ho vissuto”.
La prima domanda è una mia curiosità: perché è nato in Grecia?
“Beh, sono nato in un'isoletta, Zacinto, alla quale poi ho dedicato una poesia. In quel tempo Zacinto era in Grecia, ma faceva parte della Repubblica di Venezia, della quale era originario mio padre, e quindi ero per così dire italiano, anche se l'Italia come nazione unita sarebbe arrivata molti anni più tardi. Mia madre però era proprio greca ed è lei che mi ha fatto amare la letteratura classica. Di mio padre invece ho pochi ricordi, visto che è morto quando io avevo dieci anni”.
Immagino che sarà stata dura per voi continuare da soli...
“Sì, dovetti prendermi cura dei miei fratelli, ma ci trasferimmo tutti a Venezia e lì ho iniziato a studiare seriamente, ma anche a divertirmi. Ho vissuto molto nel lusso e nei piaceri e frequentavo i salotti dell'aristocrazia. E poi ero pazzo per le donne. Ho avuto tante amanti, che sono state la mia gioia e il mio dolore. Le ho seguite in tante città d'Italia, ma anche in Francia e in Inghilterra. Viaggiavo molto e non stavo mai tanto tempo in un posto. Ero un po' inquieto. Non riuscivo mai a trovare la felicità vera”.
Ma poi quando ha iniziato a scrivere?
“La prima poesia l'ho scritta dopo la Rivoluzione Francese. Napoleone conquistò il Nord Italia e io scrivevo e studiavo sempre. Però le poesie non erano un vero e proprio lavoro. Sì guadagnava poco e allora decisi di arruolarmi nell'esercito di Napoleone. Lì ho guadagnato bene e per la verità ho speso tutto, togliendomi ogni vizio. E ho pure accumulato tanti debiti che non sono mai riuscito a pagare. Nel 1808 sono riuscito ad ottenere una cattedra all'Unversità di Pavia e ho insegnato lì una materia particolare: l'eloquenza. Solo per pochi mesi, però, perché poi la cattedra fu soppressa. E ho continuato a vivere in maniera disordinata”.
Nel 1814 è crollato l'Impero Napoleonico, al quale lei era inizialmente molto legato, anche se poi non fu più così. A quel punto cosa ha fatto?
“L'Italia tornò in mano agli austriaci e io decisi di andare via, di andare in esilio in Inghilterra. Prima però successero altre cose. Napoleone mi deluse perché nel 1797 aveva ceduto Venezia proprio agli austriaci e io me ne scappai a Milano, dove feci amicizia con altri due poeti, Monti e Parini, e scrissi per un giornale, il “Monitore Italiano”. Da Milano poi andai a Bologna, lavorando in un tribunale militare. Per poco, però, perché poi divenni luogotenente nella Guardia Nazionale, una specie di esercito di oggi, e insieme ai Francesi ho combattuto contro gli austriaci. Nel 1804 me ne andai in Francia e lì amai una donna ed ebbi anche una figlia, Floriana, ma decisi dopo un po' di tornarmene in Italia e ho vissuto tra Venezia, Milano, Pavia e Bologna. Poi, quando Napoleone lasciò del tutto l'Italia, mi chiesero di giurare fedeltà agli austriaci. Io mi rifiutai e me ne andai in esilio a Londra”.
Cosa pensa di Napoleone Bonaparte?
“Avevo creduto molto in lui, perché incarnava la figura dell’eroe e di colui il quale potesse liberarci e guidarci verso un mondo più giusto. Poi, però, non mise in atto le virtù che tutti pensavamo potesse avere e non si mostrò come un punto di riferimento per le giovani generazioni. E nelle mie poesie ho sempre fatto capire che l’uomo deve sempre aspirare ai suoi ideali più nobili per dare un senso e la giusta dignità alla sua vita. Anche se molti di quegli ideali alla fine restano solo delle illusioni”.
Una vita davvero avventurosa la sua, che però merita qualche bacchettata, perché guadagnò tanti soldi pubblicando le sue opere, ma li sperperò tutti, come mi ha detto prima....
“Sì, non sono stato una persona perfetta. Avevo tanti vizi e tanti sogni che però non riuscii a realizzare. In Inghilterra, per la verità, fui accolto bene, però io continuavo ad essere un tipo particolare e ad un certo punto persi tutti gli amici e la povertà mi portò alla morte a causa di problemi al cuore e ai reni quando abitavo in un quartiere un po' malfamato di Londra. Però poi in qualche modo sono riuscito a “tornare” nella mia patria. Nel 1871, quando era da poco nata l'Italia che esiste anche oggi, le mie ceneri sono state portate a Firenze e oggi si trovano nella Basilica di Santa Croce. E questo perché avevo citato questa basilica nella mia opera “Dei Sepolcri”. Il fatto che sia stato il governo italiano a volerlo mi inorgoglisce molto. Almeno qualcuno si è ricordato di me”.
In effetti è impossibile non ricordarsi di lei. Ancora oggi le sue opere vengono studiate nelle scuole. Ha dato un grande contributo alla letteratura italiana!
“Questo non posso dirlo io. E' successo tutto dopo di me, anche se quando ero in vita ho avuto tanti apprezzamenti e già in quel tempo le mie poesie e i miei racconti erano letti in tutta Europa. Nelle mie opere ho raccontato molto di me stesso, però non proprio tutto, altrimenti sarebbe stato come scrivere un'autobiografia. A me è sempre piaciuto essere famoso, avere tanta gloria, diventare eterno, però avevo anche paura che con la morte finisse tutto e questo mi distruggeva. Io invece avrei voluto far vivere per sempre quello che ho esaltato nelle mie opere, ovvero l'amore per la patria, per la poesia, per la famiglia, per l'amore e per la bellezza”.
E allora, qual è il messaggio che oggi noi dovremmo trarre dalle sue opere?
“Che la vita è provvisoria, tutto finisce anche se viene vissuto con tanta passione. Però tutto può diventare eterno se si trasforma in poesia che esalta gli ideali più belli, Un po' quello che dicevo prima. Sì, lo so, sono stato un po' pessimista, ma ho vissuto una vita spericolata vedendone sempre la fine. E’ per questo che ho cercato sempre di capire come rendere tutti i sentimenti eterni e ho sempre sentito l'impulso di scrivere. Insomma, ho voluto far capire a tutti che l'uomo sopravvive alla morte se sopravvivono i valori e questi valori poi vengono ricordati. La poesia può avere la funzione di consolare e rendere sereno l'uomo e tranquillizzarlo sul fatto che tutto può comunque restare nel tempo, nonostante ad un certo punto si debba morire”.
Concetti davvero belli, un po' come quelli che ci insegnano in Chiesa. L'uomo può morire, ma restano le belle cose e il suo insegnamento.
“Sì, può essere, ma non mi parli di Chiesa. Io sono sempre stato ateo”.
Un'ultima curiosità, signor Foscolo. Ma lei com'era fatto? Noi conosciamo solo le sue opere...
“Fisicamente posso dire che avevo tante rughe in fronte, i capelli rossi e gli occhi scavati. Però avevo i denti bianchi. Un'altra mia caratteristica era che camminavo, pensavo e parlavo molto rapidamente. Sempre molto leale con la gente e dicevo in faccia quello che pensavo. Per la verità un po' irascibile pure, però anche molto buono. Ho sempre inseguito le cose che non avevo perché volevo averle e ho sempre sperato di diventare famoso dopo la morte. Non so se ci sono riuscito”.
C'è riuscito, c'è riuscito, signor Foscolo. La ringrazio per la sua disponibilità all'intervista. Può continuare a riposare in pace, noi continueremo a leggere e a studiare le sue opere...
“Grazie a lei, è stato un piacere”.