SOGNANDO LA SICILIA Il viaggio d'istruzione tanto atteso ....
Docente: Virginia Olivito
Oggi ci avventureremo nel 1833, nel Romanticismo, e intervisteremo un personaggio molto importante della letteratura italiana: Giacomo Leopardi.
Salve, innanzitutto vorremmo ringraziarla per averci concesso questa intervista.
GIACOMO: Grazie per avermi chiamato, è senz’altro un piacere parlare con voi.
Partiamo dal principio:
Iniziamo a parlare della sua infanzia.
GIACOMO: Sono nato il 29 giugno 1798 a Recanati, un piccolo paese nelle Marche. Provo amore e odio verso il mio paese d’origine: lo amo perché è qui che ho trascorso momenti felici e spensierati (infatti ho dedicato ad esso molte poesie); al contempo lo odio perché proprio qui ho vissuto momenti tristi, per questo ritrovo in Recanati una profonda solitudine.
GIACOMO: Nutro profondo affetto nei confronti dei miei genitori, ma loro non mi amano allo stesso modo. Mia madre è una donna fredda e rigida, la religione per lei è fondamentale, non si preoccupa degli affetti familiari ma solo del patrimonio. Mio padre invece è impegnato nella politica. Dei miei fratelli invece posso dire poco poiché sono tutti morti nell’infanzia, escluso mio fratello Pierfrancesco.
GIACOMO: Ero molto riservato e, di conseguenza, mi ritrovavo spesso da solo, triste e senza amici. Quindi i tre aggettivi sono: riservato, solo e triste.
GIACOMO: Certo, come è giusto che sia. Da giovane mi innamorai perdutamente di Teresa Fattorini, la figlia del mio cocchiere; morì giovanissima di tubercolosi. Quando mi lasciò, il mio cuore volò con la sua anima. Ancora oggi ripenso a lei tristemente, e non con il suo sorriso mentre raccoglieva i fiori, ma sdraiata, con un abito nero, senza vita. Ho scritto per lei anche una poesia per esprimerle tutto il mio amore anche se non la leggerà mai.
GIACOMO: In realtà questo lutto non l’ho superato e mai lo supererò, ma ho imparato a conviverci.
GIACOMO: Sono affetto da manie religiose, quando cammino temo di poter calpestare la croce, formata dalla congiunzione dei mattoni sul pavimento. Non amo curare la mia igiene (per questo mi cambio la camicia una volta al mese).
GIACOMO: Mio padre è un uomo molto interessato alla cultura; ha una biblioteca molto fornita e ha fondato l’Accademia dei Diseguali. E’ proprio in questa biblioteca, a casa mia, che studio dalla mia infanzia, a causa della mia salute malferma (ho la gobba e non vedo molto bene, dopo tutto quello studio era il minimo!) accompagnato da insegnanti con cui traduco i testi latini e greci di Virgilio e di Omero. Oppure mi ritiro nel mio studio, dove passo intere ore sulla mia scrivania a mettere le mie emozioni su carta.
GIACOMO: Per me lo studio è fondamentale, non solo perché imparo nuove cose e mi istruisco, ma anche perché è una specie di “rifugio” che mi ripara dal mondo esterno, così cattivo con me, vivo solo in solitudine e malinconia, e non riesco a vivere con spensieratezza.
GIACOMO: Per me l'uomo è destinato a patire per tutta la sua esistenza e l'unica colpevole della sua sofferenza è la natura. La natura fa soffrire gli uomini e gli animali e crea speranze, illusioni, aspirazioni (quali il bisogno di amore e la felicità) che poi delude, sempre. Per questo la definisco "maligna". Tutti mi chiedono perché io abbia una visione così tragica della vita; essa ha causato tutti i miei problemi, la mia inguaribile malattia, la mia infelicità. Per questi motivi, ci sono solo due forme di felicità: la prima è la speranza inconsapevole che si prova nella giovinezza, quando la vita sembra preannunciarsi ricca di gioie; la seconda si ha quando si risolve una grande infelicità nell'età adulta. L'unica via di uscita per l'uomo è trovare conforto con gli altri esseri umani, che condividono la stessa amara sorte. Questo mio pensiero lo esprimo in tutte le mie opere.
GIACOMO: I Canti sono le uniche opere che ho composto in versi e non in prosa. Li ho pubblicati nel 1831 e raccolgono tutte le mie poesie. Negli Idilli, invece, ho scritto tutti i miei sentimenti, e li ho divisi in Grandi Idilli (Il sabato del villaggio e A Silvia) e in Piccoli Idilli (L’Infinito e Alla luna). Oltre a essi ho pubblicato lo Zibaldone, un ampio diario, e l'Epistolario, una raccolta di 9000 lettere.
GIACOMO: Certo, il mio stile lo definirei "innovativo" poiché i versi nelle mie poesie sono sciolti, ovvero senza rima. Mi ispiro molto alla letteratura classica come quella di Petrarca. Utilizzo un linguaggio raffinato a cui associo parole di uso quotidiano, proprio per creare un equilibrio tra ricercatezza e semplicità che esprimono al meglio i miei stati d'animo e le sensazioni che provo in quel determinato momento.
GIACOMO: Questa domanda non serve a nulla, un giorno morirò e quest'atroce sofferenza finalmente finirà, una volta per tutte.
Grazie a Giacomo Leopardi per averci concesso parte del suo prezioso tempo per scrivere questa intervista.
GIACOMO: Un ringraziamento particolare alle giornaliste Anna Maria Naccarato e Jessica Pasqua che hanno svolto il loro lavoro con impegno e passione, portando a termine un'intervista istruttiva e molto interessante.
Non vedo l'ora di concedere di nuovo un'intervista a questo splendido giornalino!