Scienza e magia

Sono sempre stato incuriosito dai rapporti tra la scienza moderna, esteriore, e la conoscenza di sé. In particolare riguardo alle relazioni non mediate materialmente tra coscienza (l'esperienza interiore dell'individuo) e la realtà esteriore.

Ci sono modi in cui la coscienza, la psiché (che in italiano possiamo tradurre come anima) può influenzare direttamente la materia, senza necessariamente passare dal corpo? Il problema ha una certa rilevanza scientifica, in quanto non è chiaro alla nostra scienza come avvenga il collegamento tra mente e materia (l'irrisolto problema body-mind). In definitiva, è ovvio che il corpo si manifesta come uno strumento di espressione dell'anima, dello "spirito che ci abita". Ma se questa influenza avviene nel nostro corpo, forse può avvenire anche al di fuori, mediante forme di collegamento che oggi ci sfuggono ma che di per se esistono e sono razionalizzabili.

Nell'antichità queste forme di relazione erano chiamate magiche, e la loro conoscenza era riservata agli iniziati e alle donne. La "caccia alle streghe" può in effetti essere vista come una eliminazione del sapere/potere femminile. Riguardo all'operazione "pratica" del mago c'è un'ampia letteratura. Io ho trovato una descrizione dettagliata in un libro di Christian Jacq, e un "corso" interessante di Franz Bardon. Altre fonti interessanti riguardo ai rapporti magici tra coscienza umana possiamo trovarli nell'insegnamento di Gesù e, più recentemente, nella letteratura di Gustavo Adolfo Rol. Questo per quel che riguarda la magia dalla prospettiva del mago, non necessariamente scienziato.

Ora invece, da bravi scienziati moderni, che operano "dall'esterno", ragioniamo sulle basi scientifiche della magia, ovvero riguardo a come può essere fatto un modello di realtà che ammetta questi fenomeni. In realtà, la questione quasi non si pone più, dopo che la meccanica quantistica (in particolare il fenomeno dell'entanglement quantistico, che distrugge "dall'interno" il concetto classico di spazio e località) e le scoperte sulla materia oscura hanno palesato la profonda ignoranza della scienza materialista nei confronti delle strutture profonde che formano l'universo.

Vista questa profonda crisi della scienza materialista tradizionale, possiamo chiederci come inserire elementi di rigenerazione che rilancino la razionalità senza "chiudere" sulla materia come si faceva in passato. Una ispirazione su questo tema l'ho riportata nell'articolo La scienza dell'Uno. Ma un altro filone di ragionamento (più razionalistico) potrebbe essere aperto prendendo in considerazione le leggi di Clarke sulla scienza, che riporto dalla voce Wikipedia italiana.

Le tre leggi di Clarke sono tre adagi formulati dallo scrittore britannico Arthur C. Clarke (1917 – 2008).

  1. «Quando un illustre ma anziano scienziato sostiene che qualcosa è possibile, ha quasi certamente ragione. Quando sostiene che qualcosa è impossibile, ha quasi certamente torto.»
  2. «L'unica maniera per scoprire i limiti del possibile è avventurarsi poco al di là di essi nell'impossibile.»
  3. «Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia

La terza legge è divenuta particolarmente famosa e ha ispirato un gran numero di varianti e corollari, tra cui per esempio l'ultima legge di Shermer.


Riporto qui anche la legge di Shermer perché riguarda un altro fenomeno misterioso, quello degli alieni.


L'ultima legge di Shermer è un principio teorico proposto nel 2002 da Michael Shermer. Si tratta di un corollario alla terza legge di Clarke («Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia»), che viene portata alle estreme conseguenze nell'ambito della riflessione su forme di vita extraterrestre molto avanzate tecnologicamente:

(IT)

«Qualunque intelligenza extraterrestre sufficientemente avanzata è indistinguibile da Dio

I caratteri tipicamente associati con la divinità sono l'onniscienza e l'onnipotenza. Shermer sostiene che, dal nostro punto di vista umano, è impossibile distinguere un dio che possieda questi caratteri in senso assoluto (ovvero che sia letteralmente onnisciente e onnipotente) da un'entità che li possegga solo apparentemente (ovvero che sia solo estremamente più sapiente e più potente di noi).[1]

La prima legge di Clarke promuove un concetto pratico molto importante, ovvero che la scienza è un qualcosa di generazionale, e un "vecchio scienziato" in generale non pensa come uno scienziato giovane. Di questo si lamentava anche Einstein (che deve aver faticato per far digerire le sue idee alla comunità scientifica) quando diceva che i rinnovamenti scientifici non avvengono perché gli scienziati cambiano idea, in presenza di nuove evidenze scientifiche che scalzino i vecchi pregiudizi, ma i rinnovamenti avvengono perché i vecchi scienziati muoiono, e subentrano i giovani, educati secondo nuove prospettive.

Se dunque producessimo una scienza che segue il primo principio di Clarke, che distingue tra ciò che dicono i vecchi da quel che dicono i giovani, e non tiene conto delle impossibilità dichiarate (esplicitamente o implicitamente) dai vecchi, avremmo una scienza più agile, più reattiva alle sfide contemporanee.

La seconda legge di Clarke ci ricorda che i limite del possibile sono collegati ai limiti della nostra comprensione, che alla realtà in sé stessa. Mentre nella vita quotidiana siamo spesso costretti a confrontarci con l'idea di limite, per prendere delle decisioni ponderate, quando si tratta di conoscenza in un mondo in cambiamento sempre più rapido, dove la novità è la regola, sarebbe più saggio lasciarsi alle spalle il concetto di impossibilità, di sottomissione al reale (che non è il reale, ma solo la proiezione esterna della nostra cultura).

[da terminare e rivedere]