Scienza

Cercando lo spirito della scienza "vera", quella valida, quella che è utile all'umanità. Distinguendola dalla "tecnica della conoscenza"

Scienza

scienza == lat. scientia: sistema di cognizioni acquisite con lo studio e colla meditazione

Einstein e il Mistero

riporto alcune frasi di Einstein, prese da wikiquote:

  • Chi non ammette l'insondabile mistero non può essere neanche uno scienziato
  • Come si può mettere la Nona di Beethoven in un diagramma cartesiano? Ci sono delle realtà che non sono quantificabili. L'universo non è i miei numeri: è pervaso tutto dal mistero. Chi non ha il senso del mistero è un uomo mezzo morto
  • È sufficiente per me il mistero dell'eternità della vita, il sentore della meravigliosa struttura dell'universo e della realtà, insieme al tentativo di comprendere quella parte, sia pure piccola, della ragione che manifesta se stessa nella natura.
  • La sensazione più bella che possiamo provare è il mistero. Costituisce l'emozione fondamentale che sta alla base della vera arte e della vera scienza. Colui che l'ha provata e che non è ancora in grado di emozionarsi è come una merce avariata, come una candela spenta. È l'esperienza del mistero, spesso mischiata con la paura, che ha generato la religione. La conoscenza di un qualcosa che non possiamo penetrare, delle ragioni più profonde di una bellezza che si irradia, che sono accessibili alla ragione solo nelle sue più elementari forme, è questa la conoscenza e l'emozione che stanno alla base della religione; in questo senso, e in questo solamente, io posso definirmi profondamente religioso.
  • L'eterno mistero del mondo è la sua comprensibilità... Il fatto che sia comprensibile è un miracolo.

E ancora:

  • Tuttavia c'è un terzo stato di esperienza religiosa che li riguarda tutti, sebbene solo raramente si trovi nella sua forma pura, e che chiameremo sentimento religioso cosmico. È molto difficile spiegare questo sentimento a chi ne sia totalmente privo, specialmente perché non c'è alcun concetto antropomorfico di Dio che vi corrisponde. L'individuo percepisce l'inutilità dei desideri e degli scopi umani e la sublimità e l'ordine meraviglioso che si manifestano in natura e nel mondo del pensiero. Considera l'esistenza individuale come una sorta di prigione e vuole indagare l'universo come un tutto unico pieno di significato. [...] Grandi spiriti religiosi di tutti i tempi si sono distinti per questo tipo di sentimento religioso che non conosce né dogmi né un Dio concepito a immagine dell'uomo; così non vi può essere una Chiesa i cui insegnamenti centrali vi siano basati. [...] Secondo me, la funzione più importante dell'arte e della scienza è proprio quella di risvegliare questo sentimento e tenerlo vivo in quelli che non sono in grado di sentirlo.

Possiamo rappresentare il mistero in un grafico di questo tipo*

Il conosciuto è ciò che conosciamo, ciò di cui abbiamo un'esperienza diretta, ciò di cui siamo certi. La frontiera è ciò riguardo al quale non siamo certi, che intuiamo, riguardo al quale abbiamo dei dubbi. Infine c'è il mistero, ciò che non conosciamo. Questo è l'aldilà, ciò del quale non abbiamo un'esperienza, dal quale siamo separati, fisicamente e/o psicologicamente.

Il mistero non si vede, si intuisce. Si intravede con la coda dell'occhio.

Possono esserci diversi atteggiamenti riguardo al mistero, curiosità o venerazione, indifferenza o rifiuto.

La consapevolezza del mistero rende umile la nostra mente.

Ci affacciamo al mistero stando soli in una foresta, di fronte al cielo stellato o aprendosi ad un altro essere umano.

L'esperienza del mistero è annichilente, quanto mistero riesce a "reggere" una mente umana? Può essere un'esperienza di angoscia o di beatitudine, ma a questo punto non si è più nell'ambito della cognizione, non si può più parlare di struttura, essendo misterioso, il mistero non è ancora conosciuto. La ragione si ferma ed emerge qualcos'altro.

Come può uno scienziato compiere il suo lavoro, se non è cosciente del mistero? Se non è in grado di rapportarsi appropriatamente con esso?

Con grande consapevolezza Socrate racconta:

Vedete ora per che ragione vi racconto questo: voglio farvi conoscere donde è nata la calunnia contro di me. Udita la risposta dell’oracolo, riflettei in questo modo: “Che cosa mai vuole dire il dio? che cosa nasconde sotto l’enigma? Perché io, per me, non ho proprio coscienza di esser sapiente, né poco né molto. Che cosa dunque vuol dire il dio quando dice ch’io sono il piú sapiente degli uomini? Certo non mente egli; ché non può mentire”. – E per lungo tempo rimasi in questa incertezza, che cosa mai il dio voleva dire. Finalmente, sebbene assai contro voglia, mi misi a farne ricerca, in questo modo.
Andai da uno di [c] quelli che hanno fama di essere sapienti; pensando che solamente così avrei potuto smentire l’oracolo e rispondere al vaticinio: “Ecco, questo qui è più sapiente di me, e tu dicevi che ero io”. – Mentre dunque io stavo esaminando costui, – il nome non c’è bisogno ve lo dica, o Ateniesi; vi basti che era uno dei nostri uomini politici questo tale con cui, esaminandolo e ragionandoci insieme, feci l’esperimento che sono per dirvi; – ebbene, questo brav’uomo mi parve, sí, che avesse l’aria, agli occhi di molti altri e particolarmente di se medesimo, di essere sapiente, ma in realtà non fosse; e allora mi provai a farglielo capire, che [d] credeva essere sapiente, ma non era. E cosí, da quel momento, non solo venni in odio a colui, ma a molti anche di coloro che erano quivi presenti.
E, andandomene via, dovetti concludere meco stesso che veramente di cotest’uomo ero piú sapiente io: in questo senso, che l’uno e l’altro di noi due poteva pur darsi non sapesse niente né di buono né di bello; ma costui credeva sapere e non sapeva, io invece, come non sapevo, neanche credevo sapere; e mi parve insomma che almeno per una piccola cosa io fossi piú sapiente di lui, per questa che io, quel che non so, neanche credo saperlo.
E quindi me ne andai da un altro, fra coloro che avevano fama di essere piú sapienti di quello; [e] e mi accadde precisamente lo stesso; e anche qui mi tirai addosso l’odio di costui e di molti altri.
cit. www.filosofico.net


Analogamente nel Vangelo:

In quella stessa ora, Gesù, mosso dallo Spirito Santo, esultò e disse: «Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli! Sì, Padre, perché così ti è piaciuto!
(Lc 10:21)


E ancora più a Oriente, nel Tao Te Ching:

Il buono non pretende di avere ragione; chi pretende di avere ragione non è buono.
Il saggio non è erudito; l'erudito non è saggio.
Lao Tzu


Com'è che, nonostante la nostra cultura porti espressamente l'invito da parte dei nostri maggiori saggi a tenere un "basso profilo" nei confronti del "mistero", spesso sembra imporsi una serie di comportamenti fondati sulla certezza, sul "non aver dubbi"?

Mi pare che una buona risposta possa venire dall'etologia. Esiste quest'idea che in un branco gerarchizzato (di leoni, scimpanzé o esseri umani) sia presente il maschio alfa, che domina (analogamente avviene nelle reti neurali di tipo winner-take-all). Questo ordinamento prevede che spesso accadano scontri nei quali si cerca vittoria sul nemico (che spesso è il giovane rampante del gruppo). Questi comportamenti richiedono un certo grado di "durezza" e "convinzione" per poter essere manifestati con successo. A livello psicologico il retaggio del branco si traduce in un atteggiamento di esaltazione della (propria) certezza**.

Questi atteggiamenti sono tipici del "guerriero", dei "poteri forti" ed adatti ad una società competitiva; intellettualmente corrispondono al dogmatismo, al fanatismo, allo scientismo, alle logiche del conflitto e della sopraffazione.

Quindi la bellicosità della società e di chi vi partecipa impedisce l'emersione di una consapevolezza diffusa tra gli scienziati (e in tutti gli altri ambienti basati sulla competizione/conflitto***

Secondo un interessantissimo articolo che avevo letto su Internazionale, questi comportamenti corrispondono alla "società del deserto", che si contrappone alla più pacifica "società della foresta".****

* Conosciuto e sconosciuto non hanno confini netti, forse una rappresentazione maggiormente corretta sarebbe simile al diagramma a destra, quello con il quale Hofstadter visualizza il senso del Teorema di Incompletezza di Gödel
** Thoreau in "Vita nei boschi" sostiene una tesi analoga. Chi è troppo indaffarato a dar prova della propria abilità (magari per guadagnarsi da vivere) è inadatto al perfezionamento della capacità contemplativa, e quindi dello sviluppo spirituale.
*** Ovvero ove esiste una "risorsa scarsa" per cui competere, che sia esso il denaro, la fama, il potere o il sesso.
****Non ho più trovato l'articolo di Internazionale ma in compenso negli ultimi anni ho approfondito l'analoga tesi della Trasformazione Culturale, di Riane Eisler, secondo la quale le comunità umane possono passare da una modalità culturale mutuale (pacifica e collaborativa) a una dominatore (gerarchica e violenta).
Rappresentazione visuale del teorema di Gödel
Douglas Hofstadter's illustration from depicting the collective effort of mathematicians (such as Russell and Whitehead) to uncover the whole of Objective Truth via mathematical theorem-proving. Note the relatively large size of the unexplored area between the well-defined trees of Theorems and Negations of Theorems.

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