Kipling

The Bridge-Builders

The territory of the Rao of Baraon lay within ten miles of the bridge; and Findlayson and Hitchcock had spent a fair portion of their scanty leisure in playing billiards and shooting blackbuck with the young man. He had been bearled by an English tutor of sporting tastes for some five or six years, and was now royally wasting the revenues accumulated during his minority by the Indian Government. His steam-launch, with its silver-plated rails, striped silk awning, and mahogany decks, was a new toy which Findlayson had found horribly in the way when the Rao came to look at the bridge works.

“It’s great luck,” murmured Findlayson, but he was none the less afraid, wondering what news might be of the bridge.

The gaudy blue-and-white funnel came downstream swiftly. They could see Hitchcock in the bows, with a pair of opera-glasses, and his face was unusually white. Then Peroo hailed, and the launch made for the tail of the island. The Rao Sahib, in tweed shooting-suit and a seven-hued turban, waved his royal hand, and Hitchcock shouted. But he need have asked no questions, for Findlayson’s first demand was for his bridge.

Rudyard Kipling in I costruttori di ponti, un racconto del 1983, narra la storia di Findlayson, un ingegnere civile incaricato della costruzione del ponte Kashi. La storia è ambientata nell’India Britannica di fine Ottocento. L’Inghilterra, dopo un periodo di sfruttamento della popolazione, vuole modernizzare l’economia e creare una classe media di funzionari indiani ben istruiti che collaborassero nell’amministrazione del Paese. Gli inglesi costruiscono un ponte enorme in India, sfruttando la manodopera locale. Quando l’opera è quasi conclusa, un’inondazione del Gange mette però in pericolo l’intera operazione. La piena inizia ad aumentare e ormai non c’è più nulla da fare. È notte e Findlayson, assieme a Peroo, un operaio molto scaltro, naufraga su un’isola. I due cercano inutilmente di recuperare alcune barche e sotto l’effetto dell’oppio assistono a una discussione tra gli dei che decidono di salvare gli uomini dalla catastrofe, anziché lasciare che “Madre Gunga”, ovvero il Gange, si prenda le vite di persone innocenti. L’esondazione del Gange rappresenta la ribellione del popolo indiano verso i conquistatori che con prepotenza si sono insediati in quella terra. Il ponte, intaccando la natura e l’equilibrio del territorio, diventa simbolo del rapporto tra sottomessi e dominatori e ci ricorda molto da vicino i ponti a Ilerda o quello sul Reno fatti costruire da Cesare per la conquista delle Gallie. La piena del fiume, mettendo in difficoltà gli inglesi, costituirà per gli indiani la possibilità di riscattarsi. Il ponte resisterà, ma per volontà degli Dei, e Findlayson perderà quella ‘spocchia’ che lo contraddistingueva prima della costruzione di quel ponte. Il ponte, in un certo senso, crea un nuovo equilibrio non solo per chi lo vede, ma anche in chi lo costruisce. Come non ricordare ancora una volta la funzione del Pontifex?