Il ponte sul Reno

La fonte

Cesare, De bello Gallico, IV, 17-18, in Opera omnia, a cura di Adriano Pennacini, traduzioni di Antonio La Penna e Adriano Pennacini, Torino, Einaudi-Gallimard, 1993

17. Caesar his de causis, quas commemoravimus, Rhenum transire decreverat. Sed navibus transire neque satis tutum esse arbitrabatur neque suae neque populi Romani dignitatis esse statuebat. Itaque etsi summa difficultas faciendi pontis proponebatur propter latitudinem altitudinemque fluminis, tamen id sibi contendendum aut aliter non traducendum exercitum existimabat. Rationem pontis hanc instituit: tigna bina sesquipedalia paulum ab imo praeacuta dimensa ad altitudinem fluminis intervallo pedum duorum inter se iungebat. Haec cum machinationibus immissa in flumen defixerat festuculisque adegerat, non sublicae modo directe ad perpendiculum, sed prone ac fastigate, ut secundum naturam fluminis procumberent. His item contraria duo ad eundem modum iuncta intervallo pedum quadragenum ab inferiore parte contra vim atque impetum fluminis conversa statuebat. Haec utraque insuper bipedalibus trabibus immissis, quantum eorum tignorum iunctura distabat, binis utrimque fibulis ab extrema parte distinebantur. Quibus disclusis atque in contrariam partem revinctis tanta erat operis firmitudo atque ea rerum natura, ut, quo maior vis aquae se incitavisset, hoc artius inligata tenerentur. Haec derecta materia iniecta contexebantur et longuriis cratibusque consternebantur. Ac nihilo setius sublicae et ad inferiorem partem fluminis oblique agebantur, quae pro anteride subiectae et cum omni opere coniunctae vim fluminis exciperente, et aliae item supra pontem mediocri spatio, ut si arborum trunci sive trabes deiciendi operis essent a barbaris missae, his defensoribus earum rerum vis minueretur neu ponti nocerent. 18. Diebus decem, quibus materia coepta erat comportari, omni opere effecto exercitus traducitur […].

17. Per le ragioni ora esposte [che si riassumevano nella volontà di dimostrare ai Germani che il popolo romano “poteva e osava” superare l’ostacolo del fiume] Cesare aveva deciso di passare il Reno; ma pensava che non fosse abbastanza sicuro passare con dei battelli [offerti dagli Ubi] e riteneva che non convenisse alla sua dignità e a quella del popolo romano. Pertanto, anche se somma appariva la difficoltà di costruire un ponte a causa della larghezza, della rapidità e della profondità del fiume, tuttavia stimava di doversi impegnare in ciò o di non far passare altrimenti l’esercito. Stabilì di costruire il ponte in questo modo: collegava, a due alla volta, lasciando tra esse un intervallo di due piedi, travi spesse un piede e mezzo, con una punta breve e acutissima, commisurate alla profondità del fiume. Dopo che queste travi furono calate per mezzo di argani, piantate nel fiume e confitte con la mazza, non ritte a perpendicolo come palafitte, ma inclinate in avanti e oblique come il pendente di un tetto, in modo che s’inclinassero nel senso della corrente, ne faceva piantare altre due, opposte a queste, collegate nello stesso modo, ad una distanza di quaranta piedi misurata alla base, voltate [inclinate] contro la corrente e la forza del fiume. Entrambe queste coppie di travi, collocatevi sopra altre travi spesse due piedi, distanza pari a quella fra le travi che formavano la coppia, erano tenute lontane all’estremità da due caviglie ciascuna dall’una e dall’altra parte; essendo queste travi divise e assicurate dalle parti opposte, tanto grande era la solidità dell’opera, e tale la natura della costruzione, che quanto maggiore era la violenza dell’acqua, tanto più strettamente le travi erano tenute ferme. Queste venivano collegate mediante legni disposti sopra per lungo e coperte di tavole e di graticci; e nondimeno sia a valle del fiume venivano piantate per traverso delle palafitte, perché da sotto come arieti e congiunte a tutta la costruzione si opponessero alla forza del fiume, sia ugualmente a monte del ponte a breve distanza altre venivano piantate, affinché, se tronchi d’albero o navi fossero mandati dai barbari per abbattere la costruzione, la violenza dell’urto di tali oggetti fosse ridotta da queste difese e non nuocessero al ponte. 18. Dieci giorni dopo che si era cominciato a raccogliere il materiale, terminati tutti i lavori, l’esercito viene fatto passare[...].

Gaio Giulio Cesare fu considerato il pontifex per eccellenza. Il ponte sul Reno da lui realizzato durante la guerra gallica, un pons tumultuarius, ovvero provvisorio, è sicuramente una delle sue più mirabili imprese non solo per le tecniche di costruzione, ma soprattutto per le tempistiche e le forze coinvolte (fu costruito solamente in 10 giorni). Ma perché Cesare decise di compiere una così ardua impresa, attraversando il confine naturale del Reno? I motivi sono molteplici, ma si pensa che volesse principalmente dimostrare la forza di Roma e la sua perizia in campo militare. Il ponte, quindi, ancora una volta, viene costruito per motivi tattici e insieme propagandistici[1]:

Caesar his de causis quas commemoravi Rhenum transire decreverat; sed navibus transire neque tutum esse arbitrabatur neque suae populi Romani dignitatis esse statuebat.

Il fiume Reno si presentava particolarmente largo e profondo e la rapidità delle sue acque richiedeva una struttura molto solida. Etsi summa difficultas faciendi pontis, quest’ultimo fu realizzato nell’estate del 55 a.C. (in una stagione di minor portata del fiume), probabilmente nella località oggi chiamata Neuwied, in Renania-Palatinato.

Cesare descrive in modo tecnicamente accurato l’impresa della costruzione e il progetto, la ratio pontis, con ogni probabilità opera del suo prefectus fabrum, ovvero ingegnere capo Mamurra, di cui non è fatto però il nome nei Commentarii. Il ponte, alla cui costruzione lavorarono 2 legioni, fu utilizzato per soli 18 giorni.

Questa la nuda cronaca cesariana:

Quod ubi Caesar comperit, omnibus iis rebus confectis quarum rerum causa traducere exercitum constituerat, ut Germanis metum iniceret, ut Sugambros ulcisceretur, ut Ubios obsidione liberaret, diebus omnino xvu trans Rhenum consumptis satis et ad laudem et ad utilitatem profectum arbitratus se in Galliam recepit pontemque rescidit [2].

Un secondo ponte “a cavalletti” sul Reno fu costruito due anni più tardi, nel 53 a.C., non lontano dal primo, in una località compresa tra Urmitz e Weissenturm. Questa volta Cesare non lo fece distruggere:

Affinché i barbari temessero un suo possibile ritorno e per ritardare gli aiuti che avrebbero potuto mandare in Gallia, tagliò per una lunghezza di duecento piedi la parte del ponte che toccava la riva degli Ubii, eresse all’altra estremità una torre di quattro piani e vi lasciò a guardia dodici coorti, rafforzando inoltre quella località con grandi opere di difesa [3].

Cesare aveva dimostrato «al mondo dei barbari e dei romani che, che un grande fiume come il Reno poteva essere attraversato, né costituiva un confine definitivo per l’impero romano» [4].

[1]Cesare, De Bello Gallico, IV, 17-18: “Per i motivi che ho ricordato, Cesare aveva deciso di oltrepassare il Reno, ma riteneva che l'impiego delle navi non fosse abbastanza sicuro e non lo giudicava consono alla dignità sua e del popolo romano”.

[2] “Cesare, quando lo seppe, avendo raggiunto gli scopi che lo avevano spinto ad attraversare il Reno (incutere timore ai Germani, punire i Sigambri, liberare gli Ubi dall'oppressione degli Svevi) e ritenendo, inoltre, che i diciotto giorni, in tutto, trascorsi al di là del Reno gli avessero procurato fama e vantaggi sufficienti, rientrò in Gallia e distrusse il ponte”.

[3] Cesare, De bello Gallico, VI, 29

[4] Galliazzo V., I ponti romani, Vol. 1, cit., p. 65