Kafka

Franz Kafka (1883-1924), Il ponte

Ero rigido e freddo; ero un ponte gettato sopra un abisso. Da questa parte erano conficcate le punte dei piedi, dall'altra le mani: avevo i denti piantati in un'argilla friabile. Le falde della mia giacca svolazzavano ai miei fianchi. Giù nel profondo rumoreggiava il gelido torrente dove guizzavano le trote. Nessun turista veniva a smarrirsi in quelle alture impervie, il ponte non era ancora segnato sulle carte. Così giacevo e aspettavo, dovevo aspettare. Una volta gettato, un ponte non può smettere di essere ponte senza precipitare. Un giorno verso sera - fosse la prima, fosse la millesima, non saprei dire - i miei pensieri erano un guazzabuglio, e facevano una ridda. Verso sera, d'estate, più cupo scrosciava il torrente, ecco che udii un passo umano! A me, a me! Stenditi, ponte, mettiti all'ordine, trave senza spalletta, sorreggi colui che ti è affidato. Compensa insensibilmente l'incertezza del suo passo, ma se poi vacilla, fatti conoscere e lancialo sulla terra come un Dio montano. Egli venne, mi percosse con la punta ferrata del suo bastone, poi sollevò le falde del mio abito e me le depose in ordine sul dorso. Infilò la punta del bastone nei miei capelli folti e ve la mantenne a lungo; probabilmente egli si guardava d'intorno con aria feroce. Poi a un tratto - io stavo appunto seguendolo trasognato per monti e valli - saltò a piedi giunti nel mezzo del mio corpo. Rabbrividii per l'atroce dolore, del tutto inconscio. Chi era? Un fanciullo? Un sogno? Un grassatore? Un suicida? Un tentatore? Un distruttore? E mi volsi per vederlo. Il ponte che si volta! Non ero ancora voltato e già precipitavo, precipitavo ed ero già dilaniato e infilzato dai ciottoli aguzzi che mi avevano sempre fissato così pacificamente attraverso l'acqua scrosciante”.

La nostra analisi

Kafka rappresenta la complessità psichica che sta alla base delle nostre relazioni analizzando la solitudine e la subdola fiducia che riponiamo nelle persone, senza perdere occasione per condannare le difficoltà di comunicazione di cui l’autore ha sempre sofferto. La vicenda presentata nel breve racconto è quella di un ponte, umano, che vive, che pensa, che prova emozioni. Ma è anche un ponte che non sa dove si trovi, con chi, e chi sia. È un ponte che crolla. «The bridge was not yet traced on any map»[1]. Ciò che Kafka denuncia è l’ignota identità di cui dovremmo essere sovrani, e invece, non sappiamo nemmeno chi siamo, e non troviamo uno scopo per la vita. Il ponte diventa quindi la personificazione di un uomo in un contesto paradossale, coronato dalla frase emblematica «Without falling, no bridge, once spanned, can cease to be a bridg[2]. Nel testo si mostra come il ponte protagonista non sia a conoscenza delle proprie origini e sia anzi totalmente frastornato e disorientato in quell’ambiente privo di umanità; così, è costretto a fidarsi di una figura misteriosa, che sarà causa della sua caduta. Non è chiaro da cosa sia stata provocata la distruzione del ponte, ma si può interpretare come l’ennesima scelta stilistica di Kafka per mettere in evidenza l’angosciosa fugacità della vita e la precarietà dell’esistenza umana.

Who was it? A child? A dream? A wayfarer? A suicide? A tempter? A destroyer? And I turned so as to see him. A bridge to turn around! I had not yet turned quite around when I already began to fall, I fell and in a moment I was torn and transpierced by the sharp rocks which had always gazed up at me so peacefully from the rushing water [3].

Il passo appena citato è la conclusione del racconto, con cui Kafka mantiene ignote le cause della caduta del ponte, offrendoci diverse interpretazioni. Chi era quella figura sul dorso del ponte? E perché lo fece crollare? Forse perché il destino non dà né preavvisi né spiegazioni.

[1]Kafka F., The Great Wall of China: Stories and Reflections, The Bridge [1916], Schocken Books, 1946

[2]Ibid.

[3]Ibid. ‘Rabbrividii per l'atroce dolore, del tutto inconscio. Chi era? Un fanciullo? Un sogno? Un grassatore? Un suicida? Un tentatore? Un distruttore? E mi volsi per vederlo. Il ponte che si volta! Non ero ancora voltato e già precipitavo, precipitavo ed ero già dilaniato e infilzato dai ciottoli aguzzi che mi avevano sempre fissato così pacificamente attraverso l'acqua scrosciante’.