Che cos’è un ponte se non una linea sospesa nel vuoto che unisce due punti? Eppure su questa immagine così semplice un’intera classe potrebbe addirittura scriverci un saggio, prendendo ispirazione dalla bellissima immagine del funambolo francese Philippe Petit, che il 7 agosto del 1974, sospesa una corda fra le due torri gemelle di New York, decide alle prime luci dell’alba di attraversarla sotto gli sguardi sbigottiti dei newyorkesi, che quasi non riescono a distinguere quel puntino nero fluttuante nell’aria a 412 metri di altezza.
Cos’è allora un ponte se non prima di tutto una sfida? Una sfida che, come tutte le grandi imprese, necessita della figura di un eroe che possa compierla. Petit allora si definì senza mezzi termini un pontefice. Perché? I pontifices nell’antica Roma, istituiti da Numa Pompilio, costituivano il principale collegio sacerdotale e avevano il compito di sovrintendere ai culti pubblici e privati affinché si mantenesse la pax deorum, un’espressione che troviamo nel De lingua latina [2] di Marco Terenzio Varrone e che ci porta ad accostare la figura del sacerdote a quella del costruttore di ponti. Il pontefice, infatti, anticamente ritualizzava la costruzione di un ponte, considerato un elemento sacro che doveva attraversare un corso d’acqua, da sempre considerata una sorta di divinità. Insomma, si doveva chiedere il permesso agli Dei per non incorrere nella loro collera e macchiarsi di hybris. Il pontifex era addetto a consacrare questo patto con la natura, spesso attraverso un autentico rito cerimoniale (il culto degli Argei di cui ci parla Ovidio nel sesto libro dei Fasti, praticato il 15 maggio di ogni anno) con il quale si rendeva onore agli dei e al loro potere. Quale potere? Il potere di creare.
Il ponte è una struttura creata dall'ingegno umano, che in particolare in epoca romana è stata perfezionata e sfruttata in vista dell’espansione dell’impero, ma non è solo l’esemplare momento di unione e di coesione utilizzato dall’uomo per facilitare comunicazioni e transiti, è anche una costruzione che richiede e ha sempre richiesto una sfida con l'ambiente che lo circonda, come dimostrano i tanti ponti romani disseminati in tutto l’imperium, di cui ora rimangono testimonianze e tracce straordinarie, dal Pont du Gard in Francia, al ponte di Augusto-Tiberio a Rimini, al ponte di Alcàntara sul Tago. Costruire strade e ponti – come vedremo - è stato il frutto di perizia ingegneristica e di saggia interazione con l’ambiente. Chi vive in una terra come la nostra, quella attraversata dall’antica via Annia, da sempre ha dovuto imparare a superare le barriere dei tanti corsi d’acqua, fiumi e paludi. Gli interventi di bonifica, la costruzione di strade, di ponti, di città, hanno lasciato tracce a volte ancora evidenti, a volte invece da riscoprire, come nel nostro percorso alla ricerca dei ponti invisibili…
Il ponte non è solo struttura, ma anche luogo simbolico. Numerosissimi i significati, come quello di luogo di conflitto fra discordia e concordia, guerra e pace. In epoca romana la grandezza e l’espansione territoriale dell’impero avanzò con l’avanzare delle sue strade e dei suoi ponti, alcuni dei quali furono determinanti per le conquiste territoriali e divennero simbolo della grandezza e del potere imperiale di Roma. Nel De bello civili [3] Cesare racconta come il ponte che fece costruire ad Ilerda, sul fiume Sicoris nell’odierna Catalogna, abbia determinato l’esito favorevole dello scontro in corso. Questa impresa ci ha suggerito il titolo da dare al nostro progetto: l’espressione Perfecto ponte è quella usata da Cesare che, ultimato il ponte, avanzò senza incontrare resistenza contro i suoi adversarii schierati con Pompeo.