Il ponte di Ilerda

Cesare, De bello civili, I, 59-60

La fonte

LIX. Hoc cum primum Caesari ad Ilerdam nuntiatur, simul perfecto ponte celeriter fortuna mutatur. Illi perterriti virtute equitum minus libere, minus audacter vagabantur; alias non longo a castris progressi spatio, ut celerem receptum haberent, angustius pabulabantur, alias longiore circuitu custodias stationesque equitum vitabant, aut aliquo accepto detrimento aut procul equitatu viso ex medio itinere proiectis sarcinis refugiebant. Postremo et plures intermittere dies et praeter consuetudinem omnium noctu constituerant pabulari.

59. Non appena la notizia di questi avvenimenti raggiunge Cesare ad Ilerda, dove, intanto il ponte era stato ultimato, la fortuna muta rapidamente. Gli avversari, impressionati dal valore della nostra cavalleria, avevano ridotto l’ampiezza e l’audacia delle loro scorrerie: a volte, senza allontanarsi troppo dall’accampamento, per trovarvi prontamente rifugio, foraggiavano in uno spazio ristretto; altre volte, compiendo un largo giro, evitavano le sentinelle e i presidi di cavalleria, oppure, dopo aver subito qualche perdita o aver avvistato a distanza la cavalleria, di corsa gettavano il carico e fuggivano. In ultimo, avevano deciso di interrompere per parecchi giorni la raccolta del foraggio e, contro ogni consuetudine, foraggiare di notte.

LX. Interim Oscenses et Calagurritani, qui erant [cum] Oscensibus contributi, mittunt ad eum legatos seseque imperata facturos pollicentur. hos Tarraconenses et Iacetani et Ausetani et paucis post diebus Illurgavonenses, qui flumen Hiberum attingunt, insequuntur. Petit ab his omnibus, ut se frumento iuvent. Pollicentur atque omnibus undique conquisitis iumentis in castra deportant. transit etiam cohors Illurgavonensis ad eum cognito civitatis consilio et signa ex statione transfert, magna celeriter commutatio rerum: perfecto ponte, magnis quinque civitatibus ad amicitiam adiunctis, expedita re frumentaria, exstinctis rumoribus de auxiliis legionum, quae eum Pompeio per Mauretaniam venire dicebantur, multae longinquiores civitates ab Afranio desciscunt et Caesaris amicitiam sequuntur.

60. Frattanto gli Oscensi e i Calagurritani [Gli Oscensi sono gli abitanti di Osca, oggi Huesca, oltre 100 km a nord-ovest di Ilerda, mentre i Calagurritani sono gli abitanti dell’odierna Loarre, a circa 25 km a nord-ovest di Osca.], loro tributari, inviano ambasciatori a Cesare dichiarandosi pronti a obbedire ai suoi ordini. I Tarragonesi, gli Iacetani, gli Ausetani e, dopo pochi giorni, gli Illurgavonesi [Gli Iacetani e gli Ausetani erano stanziati a sud dei Pirenei, nell’attuale Catalogna; gli Illurgavonensi nella valle inferiore dell’Ebro.], i cui territori giungono fino all’Ebro, seguono il loro esempio. A tutti Cesare chiede di inviare aiuti in frumento. Lo promettono e, con bestie da soma requisite da ogni parte, lo trasportano all’accampamento. Persino una coorte illurgavonense, appresa la decisione del suo popolo, passa dalla parte di Cesare e diserta durante il turno di guardia. Un rapido e radicale mutamento della situazione: il ponte costruito; cinque importanti popoli entrati nell’alleanza con Cesare; il vettovagliamento reso agevole; le voci relative ai rinforzi che si diceva sarebbero arrivati con Pompeo attraverso la Mauritania, spente; molte altre nazioni più lontane si staccano dall’alleanza con Afranio e passano dalla parte di Cesare.

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La voce dello storico

da Antonio Spinosa, Cesare, il grande giocatore, Milano, Mondadori, 1997

Correva voce che Pompeo avesse in animo di raggiungere a sua volta la Spagna. Anzi alcuni già lo segnalavano in Mauritania da dove avrebbe ben presto spiccato il salto.

Cesare, nel preparare la sua spedizione, si rivolse ai tribuni militari e ai centurioni chiedendo loro in prestito somme di denaro che distribuì ai soldati. Gli parve una mossa molto abile. Egli stesso scrive che in tal modo conseguì due risultati: obbligò a sé con questo pegno gli animi dei centurioni e acquistò con l'elargizione la simpatia dei soldati.

Il passaggio dei Pirenei fu estremamente faticoso.

Il primo scontro di rilievo Cesare l'ebbe a Ilerda (Lérida, in Catalogna), una roccaforte che si trovava in posizione vantaggiosa per i pompeiani. Il suo arrivo fu provvidenziale poiché Lucio Afranio e Marco Petreio potevano avere la meglio su Caio Fabio bloccato su una sponda del Sicoris (Segre). Quel fiume, ben guardato dai pompeiani, fu un grave ostacolo anche per il generalissimo.

Si fronteggiarono due poderosi eserciti. Più forti numericamente apparivano i pompeiani con i loro cinquantasettemila uomini, mentre i cesariani non superavano i quarantunomila effettivi avendo dovuto lasciare tre legioni sotto le mura di Marsiglia che ancora resisteva. Per molti giorni i combattimenti sul Sicoris ebbero esito incerto. Pessime erano le condizioni climatiche fra tempeste di vento e piogge scroscianti. Le acque del fiume, ingrossate anche dalle nevi che si scioglievano sui fianchi dei Pirenei, travolsero i ponti di legno, per cui i soldati di Cesare rimasero isolati e privi di vettovaglie.

Afranio e Petreio si difendevano bene dagli attacchi del nemico e talvolta godevano anche dell'appoggio delle popolazioni che ancora ricordavano le gesta di Pompeo nella guerra contro Sertorio. A Roma si diffusero in un lampo le notizie delle difficoltà in cui il generalissimo si dibatteva. Gli avversari sfruttarono abilmente la situazione parlando d'una sua imminente rovina. Nell'Urbe i parenti di Afranio erano festeggiati come se fossero stati loro a bloccare Cesare. Molti senatori si piegarono verso Pompeo e, insieme ad altri autorevoli personaggi, si affrettarono a raggiungerlo nei suoi accampamenti di Thessalonica (Salonicco) non volendo dare l'impressione di aver atteso la fine della guerra per schierarsi con lui.

In quel gruppo si trovava anche Cicerone, ma a onor del vero egli aveva preso il mare ancor prima di conoscere gli ultimi eventi spagnoli, senza nemmeno ascoltare l'amata figlia, Tulliola, deliciae nostrae, che lo pregava di non muoversi.

[…] Cesare nei Commentari non manca di riconoscere la situazione di crisi che lo attanaglia. Egli era chiuso da tutte la parti, mentre le scorte dei viveri volgevano al termine. La mancanza di grano aveva indebolito il fisico dei suoi soldati.

Al contrario l'esercito pompeiano era immerso nell 'abbondanza. Le inondazioni continuavano. Per superare il Sicoris, poiché la violenza della corrente rendeva impossibile la ricostruzione dei ponti crollati, Caio Giulio pensò di servirsi di imbarcazioni leggere che però non possedeva. Ma questo non era per lui un ostacolo. Diede infatti ordine ai soldati di costruire in grande segretezza barconi in legno sottile e vimini intrecciati a pelli sul tipo delle zattere felicemente sperimentate in Britannia. Benché debilitati dalle privazioni alimentari, i militi si misero al lavoro con prontezza.

In quelle zattere vedevano la loro unica via di salvezza. Pronte che furono, Cesare vi fece salire le truppe le quali poterono così raggiungere la riva opposta del fiume e occupare una collina in posizione vantaggiosa. L'isolamento era alfine rotto. La fortuna cambia rapidamente aspetto". scrive Cesare. Celeriter fortuna mutatur.

L'andamento degli eventi bellici prese una nuova piega. Il generalissimo riuscì a costruire un ponte sul fiume, deviò perfino il corso delle acque per creare un guado e rendere più agevoli i movimenti dell'esercito. Ora la situazione era rovesciata, si trovavano in difficoltà i pompeiani. Afranio e Petreio erano disperati non potendo più rifornire di viveri i loro soldati, e Cesare ancora una volta, con particolare soddisfazione, sottolinea il mutamento della fortuna: Grande e rapido cambiamento delle cose, Magna celeriter commutatio rerum. Aveva ben ragione di dirlo poiché da Marsiglia pervenne alfine una buona notizia: Decimo Bruto aveva sconfitto in una decisiva battaglia navale la flotta di Domizio Enobarbo. Nello stesso tempo si rivelava infondata la voce che parlava di un Pompeo presente in Mauritania con i rinforzi.

Sotto l'impeto delle truppe cesariane, i generali Afranio e Petreio dovettero abbandonare nelle tenebre la fortezza di Ilerda con la speranza di potersi attestare al di là di un secondo fiume più all'interno, l'Ebro. Ma Cesare, aggirandoli, pervenne prima di loro in una gola che sbarrava l'accesso all'Ebro e tenne sotto scacco il nemico. Nell'inseguimento i suoi legionari si gettarono nel fiume attraversandolo a guado con l'acqua fino al collo. I due eserciti ancora una volta erano di fronte, ma la resistenza dei pompeiani cominciava a scemare sotto l'irruenza giuliana.

Molti di loro si arresero e raggiunsero il campo di Cesare con alla testa numerosi centurioni. Afranio fu costretto a tornare sui suoi passi per rientrare a Ilerda. A distanza Cesare lo teneva sotto controllo, e Afranio cercò disperatamente di risolvere la questione dando battaglia. Il proconsole, che pensava di stancare il nemico e di prenderlo per fame, evitava lo scontro, anche per non sacrificare inutilmente vite umane. Era dovere di un capo, diceva, vincere non meno col senno che con la spada. Aveva pietà anche dei concittadini che militavano nel campo avverso: perché ucciderli, quando non era necessario?

Le fortificazioni dei due eserciti si fronteggiavano. I pompeiani, commossi da tanta clemenza, cominciarono a parlare dall'alto delle loro palizzate con i soldati giuliani attestati nei propri trinceramenti. Prima in piccoli gruppi, poi sempre più numerosi scambiavano parole di fiducia con i concittadini del fronte avverso. Alfine, affamati e sempre più speranzosi di poter fare la pace, uscirono in massa dal loro campo per entrare in quello del proconsole a ringraziare i cesariani di avergli salvato la vita. Molti si conoscevano ed erano vecchi amici. Si riabbracciarono.

Con ansia i pompeiani chiedevano: Possiamo fidarci di Cesare? Che ci succederà se ci consegnano a lui? Furono pienamente rassicurati sulla loro sorte e su quella dei generali Afranio e Petreio. I centurioni pompeiani delle prime file e i tribuni militari inviarono ambasciatori a Cesare. Perfino il figlio adolescente di Petreio partecipava a questi negoziati spontanei e immediati. Tutti si baciavano lamentandosi della guerra civile che li aveva divisi. Ricordarono gli episodi più felici della loro vita; si invitarono a cena gli uni nelle tende degli altri sicché sembrava che di due campi se ne fosse fatto uno solo. .. Tutto era pieno di letizia e di felicitazioni, osserva Cesare. Erant plena laetitia et gratulatione omnia.

Ma la festa di fraternizzazione sboccò in tragedia. Petreio, che si era allontanato dal campo insieme con Afranio in cerca d'acqua, avuta notizia di quei fatti tornò rapidamente indietro per usare la maniera forte. Irruppe con le sue milizie più fidate fra i soldati delle due parti che ancora discorrevano amichevolmente. Ricacciò i cesariani nel loro campo uccidendo tutti coloro che era riuscito a far prigionieri.

Cesare invece si confermò clemente lasciando liberi i pompeiani sorpresi nel suo accampamento. La cavalleria di Cesare impediva ai pompeiani qualsiasi movimento volto a procurarsi acqua e vettovaglie. Essi erano allo stremo.

A quaranta giorni dall'inizio degli scontri, Petreio, accettando le sollecitazioni di Afranio, decise la capitolazione. Negli ultimi quattro giorni le legioni pompeiane non avevano più toccato cibo né bevuto una goccia d'acqua. Anche le bestie erano senza foraggio. I due generali sconfitti mandarono ambasciatori al generale vittorioso per chiedergli un colloquio. Afranio gli inviò in ostaggio suo figlio ch'era quasi un ragazzo.

Cesare accordò il colloquio, ma a condizione che si svolgesse in pubblico al cospetto di ambedue gli eserciti schierati perché tutti potessero sentire e farsi un'opinione diretta delle cose.

Parlò per primo Afranio, in tono sommesso. “Non possiamo essere rimproverati, disse, se siamo rimasti fedeli a Pompeo. Abbiamo fatto il nostro dovere. Ma ora, circondati da ogni parte quasi come belve, siamo rimasti perfino senz'acqua. Non possiamo sopportare oltre la sofferenza fisica né l'umiliazione morale. Ci confessiamo vinti e ti scongiuriamo, Caio Giulio, se ancora v'è posto per la pietà, di non farci arrivare all'estremo sacrificio”.

“Non ti si addice, rispose Cesare, la parte di chi chiede pietà. Non si addice né a te né a Petreio. Altri hanno fatto il loro dovere, non voi: io stesso che ho sempre cercato di evitare il combattimento per non compromettere le possibilità di pace; il mio esercito, che anche dopo le vostre uccisioni, ha salvato la vita dei vostri in mio potere; infine i soldati del tuo esercito, che spontaneamente hanno avviato trattative di pace. Solo voi comandanti avete sdegnato la pace e crudelmente ucciso quegli uomini semplici che erano convinti di poter deporre le armi. Io non infierirò. Chiedo soltanto che il vostro esercito sia licenziato. Non pretendo di tenerlo per me, ma non voglio nemmeno che lo tengano coloro che potrebbero usarlo contro di me. Uscite dunque da queste province. Se lo farete, io non nuocerò a nessuno”. Tutti i soldati acclamarono quel generoso discorso. Le truppe pompeiane erano addirittura invase dalla gioia. Si aspettavano un castigo e ottenevano invece un premio, il congedo. Con poche perdite umane Cesare aveva sconfitto il nemico sottraendogli il potere della Spagna citeriore.

Non passò più di un mese che anche l'altra provincia, la Spagna ulteriore, cadde nelle sue mani.

L'avanzata del proconsole verso il sud era resa assai più spedita dall'atteggiamento delle popolazioni che gli aprivano le porte delle città e lo applaudivano vedendo in lui il liberatore, il capo che li avrebbe sgravati dalle opprimenti tassazioni ingiunte dagli amministratori pompeiani. Lo ricordavano questore nel pur lontano 69. Tanti anni non ne avevano cancellato la fama di ottimo magistrato.

[…] Cesare poteva lasciare la Spagna ulteriore, dopo averne affidato il comando a un personaggio discusso come Quinto Cassio Longino che infatti si rimise a depredare la provincia, come aveva già fatto poco prima quando vi aveva esercitato la questura da pompeiano. Raggiunse Tarraco (Tarragona, in Catalogna) a bordo d'uno dei vascelli di Varrone, navigando attorno alla penisola.

Proseguì poi via terra per Marsiglia.