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Si descrive:
-a “scopo informativo”, per fornire tutte le informazioni utili su un soggetto, in maniera completa e reale (è il caso delle “descrizioni tecniche” e “scientifiche” presenti nelle enciclopedie, nei manuali, nelle guide, nei dizionari, …) ;
-a “scopo persuasivo”, per fornire indicazioni sul soggetto descritto, selezionando solo alcuni aspetti, al fine di influenzare positivamente o negativamente il “destinatario” (appartengono a questa categoria i “messaggi pubblicitari”);
-a “scopo espressivo”, per fornire un'interpretazione personale di un soggetto, comunicando sentimenti, emozioni e stati d'animo (questi testi spesso si trovano inseriti in altri: narrativi, espositivi, argomentativi e per questo definiti “descrizioni letterarie”).
-I tempi verbali usati di norma sono il presente, soprattutto nelle descrizioni scientifiche per sottolineare la loro validità oggettiva e universale e l’imperfetto che prevale nelle descrizioni letterarie.
“Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte di monti, tutto a seni e a golfi, a seconda dello sporgere e del rientrare di quelli, vien, quasi a un tratto, a ristringersi, e a prender corso e figura di fiume, tra un promontorio a destra, e un'ampia costiera dall'altra parte; e il ponte, che ivi congiunge le due rive, par che renda ancor più sensibile all'occhio questa trasformazione, e segni il punto in cui il lago cessa, e l'Adda rincomincia, per ripigliar poi nome di lago dove le rive, allontanandosi di nuovo, lascian l'acqua distendersi e rallentarsi in nuovi golfi e in nuovi seni. La costiera, formata dal deposito di tre grossi torrenti,scende appoggiata a due monti contigui, l'uno detto di san Martino, l'altro, con voce lombarda, il Resegone, dai molti suoi cocuzzoli in fila, che in vero lo fanno somigliare a una sega: talché non è chi, al primo vederlo, purché sia di fronte, come per esempio di su le mura di Milano che guardano a settentrione, non lo discerna tosto, a un tal contrassegno, in quella lunga e vasta giogaia, dagli altri monti di nome più oscuro e di forma più comune.” ...
Alessandro Manzoni – I Promessi Sposi
Ciò che abbiamo letto è “l'incipit” del romanzo “I Promessi Sposi” di Alessandro Manzoni.
Il romanzo infatti si apre con una realistica e minuziosa “descrizione dell'ambiente” in cui si svolgono i fatti.
Il “punto di vista” è quello del narratore onnisciente (particolarmente informato, che sa e conosce molte cose...) che, come in una ripresa cinematografica, osserva il paesaggio dall'alto verso il basso (“tecnica della carrellata”), passando dal generale al particolare (“tecnica dello zoom”).
L'azione narrativa è quindi collocata su uno sfondo geografico ben preciso, i dintorni di Lecco, e risponde alla scelta dell'autore di scrivere un romanzo storico (che deve appunto essere ambientato in luoghi reali e riconoscibili). (“SCOPO INFORMATIVO”)
La pianura
Dove finivano i colli cominciava la grande pianura.
Dapprima era stretta, chiusa fra i monti e il mare, ma poi si ampliava verso altri monti lontani. Guardando dai colli nei giorni sereni, si vedeva la distesa dei campi, che da un lato era limitata in distanza dalla linea del mare, dall’altro lato pareva non aver fine. Tuttavia, raramente lo sguardo pareva arrivare lontano quanto il mare, perché quasi sempre una nebbia leggera era posata sui campi e fasciava il paesaggio.
Fin dai piedi dei colli la terra dell’intera pianura era fertile.
G.BERTO – Il cielo e rosso – Longanesi
(Attività)
RITORNO AL PAESE
Laura arrivò al suo paese solo a tarda sera.
Lontano, un tramonto viola si appoggiava all'orizzonte basso punteggiato di alberi, alcuni piccoli e gialli, altri alti, svettanti, appuntiti e verdi.
Le dolci colline innevate, tutte intorno al paese, erano tinte di rosa. Qua e là cipressi e abeti che, come viandanti stanchi, erano fermi in un lunghissimo riposo. E, mentre riposavano, ascoltavano e intendevano le voci delle case.
Sì, le case sussurranti del paese, le case ordinate e pulite che sembravano piccole scatole dorate, adagiate su candida bambagia, addossate le une alle altre, le porte scure, le finestre piccole e quadrate.
Sulla via maestra una ragazza camminava lenta, stretta nel pesante scialle di lana blu, diretta alla chiesa.
Il campanile la guardava dall'alto col suo unico occhio tondo e la bocca aperta: lo sbadiglio di un vecchio stanco.
Due alberi spogli le facevano da sentinella e i rametti secchi dei cespugli bassi ricamavano la neve vicino ai suoi passi.
Laura fermò il somarello e si mise di nuovo a contemplare. Quello era il suo paese, il posto dove ogni sera voleva tornare.
La spiaggia delle bambine
…Una volta arrivati, Silvano e Peppuccio facevano giri in macchina lungo le piste del vigneto, mentre Paolo accompagnava noi bambine in spiaggia. Era nascosta alla nostra vista dalle dune, una successione di grandi banchi di sabbia come onde di un mare asciutto e tormentato dai venti. Vi cresceva, protetta dalle acacie e dagli arbusti bruciati dalla salsedine, una straordinaria flora profumata: gigli selvatici, fiorellini simili ai narcisi e piante spinose con fiori piccini ma dall'aroma potente. Sulle dune non c'era anima viva, neanche un cane, neanche una capra avventurosa. Era territorio vergine; e sporco, ma di uno sporco tutto naturale che nulla aveva a che vedere con il torbido sporco umano: non un sacchetto di carta o di plastica, non una bottiglia di vetro, non uno straccio. Sulla sabbia dorata, finissima e coperta da rami volati via dalle dune e da quanto era stato portato dal mare — alghe secche o moribonde, conchiglie vuote, rottami di barche affondate —, scorrazzavano, padroni incontrastati, velocissimi scarafaggi. Noi ci toglievamo subito i sandali e correvamo, saltavamo, ci buttavamo sulla sabbia. Ci avventuravamo fino alle ginocchia nell'acqua, pulitissima e trasparente, con i pesciolini che ci nuotavano intorno alle caviglie;bastava grattare il fondo del mare per prendere una manciata di patelle, che poi mangiavamo aprendo le valve e succhiando il mollusco. Faceva caldo. Morivo dal desiderio di entrare nel mare, ma ci era proibito; immergevo le mani e mi leccavo la salsedine, dito per dito, lo sguardo fisso sulle onde.
Simonetta Agnello Hornby, Un filo d’olio, Sellerio
(Attività)
L'infinito alla stazione sull'oceano
Era una di quelle splendide giornate così tipiche della parte orientale di Long Island.
Eravamo a metà settimana, e il paese si era assestato nella quiete levigata che regnava sempre tra la domenica sera e il giovedì pomeriggio, quando ricominciavano ad arrivare i turisti del week end. Il cielo era di una meravigliosa sfumatura blu oceano, con sbuffi di nuvole immacolate, e intorno alla stazione era tutto un tripudio di gerani e balsamina. Un profumo di fieno e d'erba tagliata addolciva l'aria, mischiandosi al salmastro del mare.
In attesa del treno mi sporsi a guardare in fondo ai binari e vidi il punto in cui il verde cupo degli alberi si infoltiva, la terra si incurvava e le due linee nere si incontravano: l'infinito. A chi non sarebbe venuta in mente quella parola, dopo aver visto l'immagine sui libri delle elementari ?
Alice McDermott, Il nostro caro Billy, Einaudi.
(Attività)