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Nasce nel 1835 a Valdicastello, i provincia di Lucca.
Si laurea nel 1856 e viene nominato professore della letteratura italiana all'università di Bologna.
Nel 1906 ottiene il premio Nobel per la letteratura.
Muore a Bologna nel 1907.
Per Carducci la poesia deve celebrare i più alti ideali umani, che concorrono allo sviluppo della civiltà e del progresso: la patria, la libertà, la giustizia, la bellezza, l’amore, la gloria, la fede e l’eroismo degli individui e dei popoli che combattono per questi ideali.
Per questo motivo immagina il poeta come un grande arciere, che getta nella fiamma della fornace gli elementi dell’amore e del pensiero, e ne trae scudi per la libertà.
La poesia non deve solo celebrare quegli ideali, ma esercitarli e coltivarli, perché l’umanità possa sempre più migliorare.
Il Carducci quindi se avvicina ai poeti romantici. Critica questo movimento letterario solo per il troppo sentimentalismo.
Sul piano formale, riteneva che la poesia deve avere un tono elevato, una purezza che solo lo studio dei classici può fornire all'artista.
Definisce i veristi “spazzatura” per il loro gusto di ritrarre la vita degli umili con i loro ambienti squallidi.
Ebbe una forte personalità nella quale spicco l’amore per la patria che lo portò a diventare il poeta-vate dell’Italia. Credeva fortemente nel fatto che l’Italia dovesse mantenere la propria identità nazionale.
A differenza del Manzoni, considera la morte, non come l’inizio di una vita nuova ma come vanificazione dell’essere nel nulla.
Riteneva che il compito della ragione forse è quello di liberare l’umanità dall’ignoranza e dalla superstizione per avviarla verso il progresso, la libertà e la democrazia.
Pur riconoscendo l’esistenza del dolore vive un sano ottimismo che lo porta a superare le difficoltà della vita.
Era avverso alla Chiesa già ritenuta un ostacolo per secoli per l’unità d’Italia. Col tempo ne riconobbe alcuni meriti.