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Pensieri di un Mussoliniano

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Pensieri di un Mussoliniano di Lucio Antonioli apri pdf

Introduzione

“State attenti che prendete in mano / i pensieri di un mussoliniano.”

Basta questo primo pensiero iniziale, in apertura del “Diario”, se così si può chiamare, o “Zibaldone di pensieri”, se preferite, di Lucio Antognoli, per capire immediatamente la figura storica ed umana dell’autore.

Il primo aspetto è quello della sua fede politica, abbracciata fin dall’adolescenza, plasmata attraverso la retorica fascista e la crudezza dura e drammatica della Seconda Guerra Mondiale, che lo vide a partire volontario, appena diciottenne, per la disastrosa campagna d’Africa, dove i giovani speranzosi e pieni di vita del regime vedevano infrangere i loro sogni di gloria nella morte più atroce e disumana.
Fede politica mai rinnegata, tutt'altro, direi quasi ostentata, con la certezza e la fierezza di averla difesa a rischio della vita, di non averla tradita, mai, neanche quando, dopo la disfatta del regime e l'instaurarsi della Repubblica Sociale Italiana, l'Italia cadeva nel baratro della guerra civile. E neanche quando, ormai a liberazione avvenuta e a guerra finita, il Bel Paese, lacerato e distrutto, cercava disperatamente una riconciliazione nazionale tra due fazioni che si erano combattute senza risparmiarsi vicendevoli atrocità e vendette.

Il secondo aspetto è quello della rima, del verso o del semi-verso, del gioco di parole, del ritornello, di cui Lucio era maestro. “Cabaret”: questa è la parola che, forse, riassume meglio la sua capacità di intrattenere gli astanti, di rendersi immediatamente simpatico alla compagnia, indipendentemente dal colore politico della stessa e dalle idee che la pervadevano. 

Dunque, i pensieri di Lucio devono essere letti anche in quest'ottica, con un'attenzione alla forma, mettendo in evidenza la sua ricerca delle parole “giuste”, che si incastrano in un gioco al di là del significato semantico della frase.

In realtà nel suo diario, Lucio non scrive in rima o, meglio, non scrive in versi. Ma il gioco di parole è evidente, e il curatore di questo libello ha ritenuto opportuno metterlo in mostra, dargli la giusta enfasi, così come Lucio lo aveva dato al momento dalla formulazione dei pensieri.

Si diceva, all'inizio, che Lucio entra col botto, senza sconti, senza cercare una mediazione, un compromesso, senza voler essere simpatico a tutti, ma con l'obiettivo di esternare le proprie idee, i propri pensieri, le proprie riflessioni. Inizia con una serie, anzi, direi un elenco di parole o di incisi (la cultura social dei giorni nostri li chiamerebbe hashtag), che non lasciano adito a dubbi:

• Figlio della Lupa
• Balilla
• Avanguardista
• Giovane fascista
• Milite universitario
• Ecc.

Una serie di flash, sbattuti lì, in prima pagina, come a voler riassumere una vita lunga novant'anni e oltre in pochi ma fondamentali fotogrammi di una pellicola, come sembra si srotoli nell'anima di ciascuno di noi nel momento supremo del trapasso.

Per cui, se il primo inciso mette in guardia il lettore, le parole successive lo contestualizzano, lo orientano e gli fanno capire quello che l'autore pensa, scrive, vive ed ha vissuto.

Che cosa contengono i pensieri di Lucio? O, meglio, di cosa trattano?

Di vari temi: dopo la presentazione iniziale di cui si parlava, fatta brutalmente con un elenco secco di parole, inizia subito la sua narrazione più intima e accorata:

“A 91 anni / non sembra, ma le ho passate tutte / belle e brutte. / Sulla polvere poi sull'altare. / Sto morendo in pace con tutti, / con i giusti e gli ingiusti. / Son felice di morire, sai, / perché ho Gesù e mia moglie / qui con me. / Lucio”

Lucio ha novant'anni, anzi novantuno, e sente che la fine della vita, inesorabilmente, si avvicina (morirà tre anni dopo): “Sto morendo”. Dunque, il momento è quello “giusto” per poter fare un bilancio della vita (“ne ho passate tutte / belle e brutte”), vita che, come sappiamo noi essere mortali e vulnerabili, ha i suoi alti e bassi (o bassi e alti): “Sulla polvere poi sull'altare.” 

Ma questo non preoccupa Lucio: la crudeltà della guerra gli aveva tolto, ancora adolescente, la disillusione sulla possibile esistenza di una vita pacifica e giusta: “in pace con tutti, / con i giusti e gli ingiusti.”

Neanche la morte lo preoccupa, tutt'altro. Così come il grande tenore Caruso, nella narrazione lirica di Lucio Dalla, era felice di morire, anche il nostro Lucio lo è. Lui non ha, a differenza di Caruso, il ricordo de “le notti là in America”, ma qualcosa di più prosaico ed umano, qualcosa che è alla portata di noi comuni mortali, che non siamo stati nemmeno minimamente sfiorati dalla “Potenza della lirica” o da qualche altro talento o dote naturale.

No. Lucio è felice di morire perché ha, accanto a sé, due figure vitali e rassicuranti: Gesù e la moglie.

Il primo lo ha accompagnato per tutta la vita, attraverso l’instaurazione di un rapporto di cordiale conversazione, da pari a pari, come la figura di don Camillo che parlava con il Crocifisso nei vari episodi della celeberrima saga (oggi si direbbe “serie”).

La seconda lo ha accompagnato, fidanzamento a parte, per una porzione cospicua della vita: 58 anni, e gli sopravviverà. Compare spesso, spessissimo, nella sua breve raccolta di pensieri: 27 volte nella parola “moglie” e 12 per il nome: “Adorna”. Il tono è sempre lo stesso: sincera devozione, sentito ringraziamento, eterna gratitudine, amore profondo: “Mia moglie non è molto forte, / non può stare alla pari con quelle di forze normali, / ma credi a me / essa fa per tre.”

“Devo tutto a mia moglie, / è una gioia vederti sposa, / sei buona e generosa.”

E ancora: “Voglio tanto bene a mia moglie.”

Sempre sul tema: “Non ho mai detto / a mia moglie “ti amo”, / ma l'ho amata a fondo / più di tutte le cose del mondo.”

Anche se non mancano i momenti ironici, la battuta di spirito che stempra la melanconia, che ribalta il tragico della vita, il luogo comune della moglie chiacchierona e ciarliera: “Sono le 15:15: / tento di fare un pisolino. / Non si può, per il momento: / sento due lingue in movimento: / sono di mia moglie e della vicina. / Che dire: cianciano, cianciano / a non finire.”

Oppure: “A mia moglie, / quando vede la cucina, / gli viene le doglie; / perciò sto pensando / di cambiar moglie.”

Però si nota un'incongruenza nella stesura del diario. È stato scritto su un'agenda del 2006, ma Lucio aveva corretto le date spostandole in avanti di un anno: il 2007. E la maggior parte del diario, dunque, si riferisce a quest'anno della vita di Lucio, l’85esimo (era nato nel 1922). 

Perché aveva preso un'agenda del 2006 e non direttamente una del 2007? 

È presto detto: nella logica della cultura contadina (Lucio era figlio di contadini e non ha mai rinnegato le sue origini) nulla va sprecato, nè, tantomeno, un'agenda vecchia “solo” di un anno.

Però alcuni pensieri hanno date differenti o fanno riferimento ad un'età diversa dagli 85: sono, evidentemente, delle aggiunte successive, anche se Lucio non manterrà più la costanza e la regolarità del 2007. 

Ma non fa nulla: l'architettura dei suoi pensieri non ne esce disturbata da queste traslazioni temporali, da queste aggiunte successive, da questi completamenti. Si tratta, piuttosto, del completamento dell'opera d'arte, del lavoro di cesello, cosa comune a molti artisti e non solo in ambito letterario.

Certo, non mancano i luoghi comuni, le cose già dette o, magari, sentite alla televisione o alla radio o lette su un giornale. Che Lucio puntualmente annota, perché le sente sue, incurante dell’originalità del pensiero:

“Benito eri un puzzone, / però le cose andavano benone. / Tu tenevi l'amante ma è assodato, / almeno non l'hai fatta deputato.”

Un'ultima considerazione va sulla firma, posta in calce alla maggior parte dei pensieri. 

Lucio si firma in due modi: con il suo nome di battesimo o con “Lux”, che è l'abbreviazione di Lucio, ma anche la parola “luce” in latino. Certo, in una società che il latino l’ha rinnegato ormai da decenni, considerandolo una lingua morta, ad uso e studio esclusivo di scuole specialistiche, il latino può sembrare un'inutile operazione nostalgica. 

Ma non è così e Lucio lo sa bene: smarrire le proprie radici, in fondo, è come smarrire parte della vita.

Luca Marini

3 giugno 2023

primo piano in bianco e nero di Luca Marini in salotto a Civitanova Marche

Luca Marini, Civitanova Marche Natale 2013.