Remigio Matteucci 1/5
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Remigio Matteucci
Remigio Matteucci, nato nel 1914.
Kai: dove?
A Pievetorina, verso il comune. Stavo a dieci passi dal comune.
Da lì ho conosciuto un ragazzo che era Vittorio Mazzolini, il quale veniva tutti gli anni con la mamma ed il papà, che era un professore. La madre era una Marini, una signora di Pievetorina.
Il quale mi chiamava per giocare assieme. E questo l’ho conosciuto, potevo avere io tre anni. E ch’aveva casa proprio di fronte al comune, il quale dentro li ce stava il notaio Catulli; e così loro avevano l’appartamento proprio di fronte a questo qui e gli piaceva giocà con me: portava tutte cosette…
Kai: questo era Vittorio Mazzolini?
Vittorio Mazzolini, il quale poi è ritornato a Pievetorina sopre, vicino alla piazza insieme con il padre e la madre e so stati assieme parecchio tempo.
All’età di 10 anni io mi misi a fare il barbieretto e allora Laura Marini, tutta contenta: “Remigio, come te danno due soldi, un soldo, quattro soldi li porti da me, te li metto dentro al libretto, te faccio un libretto. “
E allora io non vedevo l’ora quando avevo due soldi, tac, andavo a trovare la signorina Marini: “va bene così Remi, tu fa sempre così…”.
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Pievetorina Anni 40: il bambino a sinistra è Antonello Biagioli abbracciato da Remo Carioli;
il bambino al centro è Mario Bellanti, il bambino a destra è Francesco Biagioli;
in bici Giuseppe Aringoli, il più in alto è Celso Palmieri che appoggia il braccio sulla spalla di Mario Marconi;
a sinistra, in doppiopetto, Rino Rossi, il maestro;
quello tagliato a metà è Aldo Micarelli, dietro di lui Pietro Petetti, il sarto.
Dopo un paio d’anni che facevo questo barbieretto, ma a me piaceva a farlo, che la sera questi ragazzetti che non c’aveva un soldo, mi chiamavano de notte lì la bottega, e gli tagliavo li capelli, mi piaceva a fa… e per la barba ce veniva Rosolino, era uno un po’ sciapicotto, che se prestava, intanto gli facevo la barba, e li facevo di tutti i colori.
Solo che a dodici anni, mentre stavo leggendo la Domenica del Corriere, perché la leggevo sempre perché metteva sempre tutte le canzoni napoletane, scritte e musica e io imparavo la musica, mi piaceva anche questo.
Kai: come hai imparato poi qualche strumento?
Si, ne ho suonati.
Kai: che cosa?
Prima la cornetta, poi il trombone, il tenore.
E allora, quando è stato un lunedì de giugno, venne una pariglia di cavalli, passò perché manco l’avevo vista bene io, con una signora grossa. Faceva su li 130 chili. Entrò dentro la bottega e dice: “Dov’è il parrucchiere?”
“So io!”
“Tu?”
Allora misi la poltrona a posto, ma non c’entrava.
Kai: non c’entrava?
Non c’entrava. Mò c’avevo una sedia che per carità, quella, il sedere era grande… Poi c’era l’ottomana, così metto via tutto e metto quella di fronte allo specchio e io gli saltavo un pezzo qui e un pezzo là… “qui si sto bene” ha detto… e gli ho tagliato i capelli.
Mi faceva tante domande questa,
Kai: chi era?
Eh, questa … dice “tu, …” E, dico, io sto solo, non c’ho più mamma, mi è morta, dico, c’avevo due anni, poi mio padre stette via in guerra, ero rimasto solo in balia di tutti. E allora, detto, questo, che fai, che non fai, per mangià, per tutte ste cose, (intanto gli tagliavo li capelli, ma ne portava un fascio ne portava, tanti) e allora, dopo tutte ste cose, glie dicevo pure … che facevo qualche soldino e lo portavo a Laura Marini, lì all’ufficio postale, me li mette lì sul libretto, … la verità che li figli la dicono, le bugie non le dicono. E allora fatto, tagliati li capelli, ma poi li avevo fatti bene, un par d’ore c’avevo messo, e dice qui quello che te da, non te da, ma non me da niente, me da due lire per tutto quello che mi può dare… so lavorante, perché, dico, quando che è mezzogiorno, eccetera, c’ho sempre qualche contadino che mi dice, “Remì, c’ho quelli monelli, vanne un pò a fa li capelli”. Allora c’annavo l’ora di mezzogiorno, perché mangiavo sicuro!
E così gli raccontavo a questa tutto quello che era.
Si alza e mi dice “queste due lire le metti nel cassetto del padrone, e queste cinque le metti sul libretto tuo.”
Kai: ah, brava.
Io, alla sora Laura, mi dice subito “do li pigliati sti soldi?” … allora… “com’è? 5 lire?” … non te lo posso dì, perché m’ha detto: “Non devi dì niente!” “Di quello che fai e non fai, del padrone, niente!” Il giorno dopo il padrone trovò due lire lì dentro a lu cassetto: “queste chi ce l’ha messe?”
“Ho fatto li capelli a una signora, questi li soldi che m’ha dati…”
“Ma chi è questa?”
“Non te lo posso dì!”
“Ma come non me lo puoi dì?”
“Ma di dov’è, dove sta?”
“Te dico che non lo posso dì…”
“Me pari stupido!”
“Ma come so stupido?” Mi aveva detto silenzio, per carità, e allora finì così. Che abitava e dove andava. Quelli cavalli che c’erano, dice, ma chi poteva…? Ma non lo so se de che era, c’era una donna, sicuro. E doveva essere sempre una signora sennò non portava li cavalli, eccetera.
Intanto, voleva sapè tutti li giorni, ma io… zitto.
Intanto seguitavo a fa l’operato mio a questo e quell’altro perché dovevo mangià, mica mi regalava niente, quando era la fine della settimana, 40 soldi: che ci fai con 40 soldi? Però questi 40 soldi li portavo a Laurina, no? Laura all’ufficio postale.
Passa un mese, venne sto cocchiere che non ho potuto sapè mai manco lu nome, dice: “La signorina mi ha dato questo biglietto, se gli vai a fare i capelli.”
“Si, ma do sta?”
“Ti porto su io.”
Era de lunedì del mese appresso perché era chiuso… vado su… una cucina grande, c’era una signorina, c’era altre due donne in servizio…
“Oh, so contenta che sei venuto su!” Tutte queste cosette… tutta graziosa, ma era grossa… io guardavo… gli faccio li capelli, tutto a posto e quando avio terminato, mi apparecchiava la tavola. La signorina ci metteva formaggio, ci stava roba di salato, salsiccia eccetera e mezzo bicchiere di vino perché più non ne bevevo. E cenavo…
Poi mi diede un biglietto con certi soldi: “questi li porti do m’hai detto (che sarebbe lo sarto Petetti, il padre di questi qui), ma non sapevo cosa c’era scritto, mica toccavo, io. Quando m’aveva detto una cosa. Quando Umberto aveva fatto sti pantaloncini, perché c’aveva messo qualcosa che io non c’avevo, de vestito, e allora me fa li pantaloncini, le scarpe non ci scappava coi soldi però mi dette lu resto.
Lunedì appresso, che presi la Chienti-Norina per andà sù fino a tale posto verso Appennino, c’era sta donna che la fermava, … io scendevo, e me portava su casa.
E me pagava pure, non è che non me pagava, però quelle erano cosette sue.
Arrivo su, tutta contenta, gli faccio li capelli, figuramoce se perdevo tempo… perché ce l’avevo… e c’era ste donnette tutte contente che facevano chi una cosa, chi un’altra…
Quando che è stata la partenza, me disse: “te la senti di andare giù a piedi”?
Kai: che cosa ha detto?
“Te la senti di andare giù a piedi”? Ma si, Casavecchia – Pievetorina, che ce potevo mette? Camminavo… E allora arrivo a casa e vedo sto biglietto, quindi me feci le scarpe e un maglioncino rosso con le saccoccette qui da una parte per mette qualche soldo e tutto…
Il padrone: “ma chi te l’ha fatto?”
“Eh, l’ho comprato alla fiera…”
“Ma chi te l’ha comprato?”
“L’ho comprato io!”
Quando a Camerino, a piedi, vado da sto calzolaio a famme le scarpe, 28 lire, me metto ste scarpe tutto contento (avevo fatto la corta, mica passavo per la strada, andavo a Maddalena, la Rocchetta, Cignano e poi andavo a Camerino) camminavo…
Fatto questo, dopo, lu mese appresso, m’aveva fatto la maglia (quelle donne…) m’aveva fatto fa la maglia, tutta una cosetta … m’era rimesso a posto.
Insomma, me dispiace perché è campata poco: dopo tre anni è morta.
Kai: chi era?
Non ho saputo sapè mai come si chiamava!
Kai: ah!
Adesso ce sta una vecchia, qui in questo ritrovo di anziani, che mi ha saputo dire chi è, ma non il nome. E da allora a 15 o 16 anni, me dava allora qualche cosa di più, la metà di quello che facevo, e arrivai a 18 anni.
A 18 anni era morto mi padre. Mi madre non ce l’avevo più. Babbo poi è come se non ce l’avessi avuto perché io non ci abitavo più con loro: mangiavo fori, sapevo dove andare a fare i capelli, e insomma bene o male, mangiavo.
Visto questo mi pigliò la voglia: “voglio annà volontario in Tripolitania!”
Kai: volontario come soldato?
Militare.
Kai: ah si, militare. Che anno?
C’avevo 18 anni.
Kai: 18 anni… era nel 32, più o meno.
Si. Siccome avevo 18 anni feci subito domanda. Faccio domanda e mi chiamano ancora quando che avevo passato la visita e tutto, me disse: “non puoi andare tu in Tripolitania, perché hai un varicocele.”
Kai: varicocele? Che cos’è?
E’ una vena ingrossata nella parte sinistra… Mò mi ci mancava questo. E allora partì e andetti a Roma e a Roma misi a fare la scuola di parrucchiere: al giorno facevo lu barbiere, alla sera facevo lu parrucchiere. E allora mia zia mi mandava li sordi, 5 lire per volta, bisognava pagà e doveva andà a trovamme sta ragazza che se fosse prestata per fargle li capelli. Da Prati andavo giù a via dei Colonnari, a Roma, è lontano, a piedi e l’accompagnavo e poi ritornavo in via della Giuliana, a piedi. Alla mattina ritornavo in bottega, qui subbito, perché mica… ero preciso io. E tutte le sere facevo sto lavoro.
Poi dopo me scrisse sta zia, dice “vieni a Camerino” dice “mi ha detto così e così… che te prende; e allora vieni giù”. Era una zia, per sta assieme…
Kai: non sei diventato più soldato?
No, ma è rimasta sempre la chiamata, non l’avevo disdetta, poi quando che m’ha chiamato il maresciallo dice “tu, così e così… sei partito?”
“No, dico, mo non parto più, non m’ha chiamato prima…mo…” e mi so messo a fa lu parrucchiere.
Sempre le tragedie della vita… me metto con questo, ce sto un par d’anni e mangiavo dentro casa de questo. E allora un giorno, vado su, te trovo a piange essa, li figli…
“Ma che c’è? Che succede?”
E allora mi raccontò: “mi marito c’ha l’amante e la madre l’ha rinchiusi dentro la camera!”
“Mamma mia!”
Ma guarda un po’… quelli piangevano con quella, Viola si chiamava, era una maestra, faceva l’asilo; so che … “ma che c’hai?”, vidi Viola, piano piano che le cascavano li capelli: presi e andetti via. Dopo mi misi a lavorare per conto mio.
Dopo so stato in guerra si, ma però quando che arrivai giù in bassitalia, annavo a Brindisi, pronta la barca, il piroscafo che ci portava di là., e mi dissero “Remigio, andiamo a fare colazione, una bisbocciata…”
“No. Prima voglio passà la visita, poi annamo in giro a fa sta colazione e andiamo in Albania.”
Kai: Come soldato?
Come soldato, si. Sempre come soldato. E allora come passo la visita dentro la nave, mi chiama: “Matteucci!”
“Pronto!” dico “Me so messo a posto”
Dice: “Tu non puoi partire”
“No? Meno male. Perché?”
“Perché hai una cisti superficiale, qui. E quindi ce vole che te operi.”
Ma era li 15 di dicembre; vado diretto a Camerino e non andetti per niente a casa; vado giù all’ospedale, me dice “Tu, Barabba (?) cosa c’hai?”
“Eh, se te dico quello che c’ho, è inutile che so venuto qui, no? … Lei mi passa la visita che me lo dice quello che c’ho e non c’ho…”
Allora me passa la visita: “Ah, c’hai qui, superficiale, una ciste.
Kai: chi chiama? Qualcuno chiama? Qualcuno da fuori chiama. Ah, si? …
Daglie tu co quesssa! E allora… io dissi, dico: “mi opero” non aspettavo niente, questi era lì 15… Disse: “sta a sentì, è già il 15 di dicembre, vai giù a casa, fai Natale e poi vieni su, ti opero. E vieni che ne so … sette giorni…”
Vado a casa, faccio Natale e tutto quanto, e vado diretto all’ospedale.
Ebbè, non era capace di operare, questo!
So stato all’ospedale da Natale a Pasqua. Se non veniva un chirurgo da Perugia, ero spacciato.
Dice: “Matteucci” sto chirurgo disse, “te la senti a operatte sveglio?”
Dico: “fate un po’ quello che vi pare” tanto era già 2 o 3 mesi che stavo lì… “Va bene”. Me opera (…tanto io, se m’ammazza questo o quest’altro per la strada era quello…). Quando è che un paio di giorni, il direttore responsabile dell’ospedale era un zio mio, Tomassini di Camerino, Antonio Tomassini.
E quando che la superiora, perché a tempo di guerra se magnava male, tutta robba… c’era la superiora, dice “questo è suo nipote”… allora me portarono la pastasciutta, dopo due o tre giorni, l’abbacchio, li pezzetti de l’abbacchio… madonna… Quell’altri malati che stavano giù, dicevano “quisso chi è? …” Allora la superiora gli diceva “Tu (non?) stai male quanto è quello”.
Allora insomma so stato … e intanto m’è ritornata la cartolina di precetto. Allora … mi dice “ Vai giù adesso”.
Parto, tutto fasciato, incontro sta zia: “Remigio, ma che fai?”
“Non te posso raccontare tutto perché è una cosa lunga…” dico “vado ad Ancona a passà la visita de controllo”.
“Allora te la passa Gigi, il mio”
“Chi?”
“Gigi mio”
“Ma chi?”
“Lu colonnello!”
“O zi” dico, “Scrivegli un po’… du righe di saluti e digli pure chi so io!”
E così fu fatto. Piglio lu tram e vado ad Ancona. Come vado ad Ancona c’era lu piantone e dico: “dalla un po’ allu colonnello”. Allora me chiama subbito, sto colonnello dice: “così, così, e quello che c’avevo” me parlava della parente, dice “sta a sentì” dice “più de sei mesi non te posso da, de convalescenza: intanto fa questi sei mesi, che dopo ce penso io”.
Passa sei mesi, vado giù, ah avevo presa una forma di formaggio, per portagliela, per regalo; c’era lu piantone, dico, “Ma lu colonnello com’è che non se vede? Ma sta dentro? Ma non l’ho visto passà… “Ma chi quello arto…? E’ morto.”
Era morto; in quelli sei mesi.
Mo?
Passo la visita, vedo sto tenente: era parente…
[fine cassetta 1]