Precisazioni

Chiarimento preliminare in merito a PHC, Cure Primarie, Assistenza Sanitaria Primaria, Assistenza Primaria (Damiani et al, 2016)

Sin dalla Conferenza di Alma Ata nel 1978 è sempre risultato oggettivamente difficile tradurre il concetto di Primary Health Care, che si avvale del termine “Health”, traducibile con “salute” (non sanità) e “Care”, corrispondente al concetto di “prendersi cura”. Nel tempo si sono tentate diverse forme per tradurre PHC: se la definizione “Servizi Sanitari di Base”, utilizzata negli anni ’90, è ora completamente caduta in disuso, permangono le locuzioni “Cure Primarie” e “Assistenza Sanitaria Primaria”, o più sinteticamente "Assistenza Primaria", utilizzate spesso come sinonimi seppur con diverse significanze, spesso non marginali, da parte dei diversi autori e nei diversi documenti normativi e professionali; purtroppo nessuna delle precedenti riesce a rendere esattamente e completamente il significato di PHC.


Nel Libro Azzurro si è deciso di adottare:

- il termine “PHC” per indicare il corrispondente specifico approccio;

- la locuzione “Cure Primarie” per indicare l’insieme di tutti i servizi territoriali del comparto sanitario (medici e pediatri di famiglia e di continuità assistenziale, farmacie territoriali, assistenza specialistica ambulatoriale, servizi per la salute mentale, assistenza protesica, ecc.) e socio-sanitario (consultori familiari, servizi per anziani, disabili, per il contrasto alle dipendenze, ecc.), comprendendo anche i relativi meccanismi di autorizzazione-controllo e di collegamento-coordinamento;

- i termini “assistenza”, “assistenziale” (e “assistito”) per indicare le attività del “prendersi cura”.

Allegato #1

TRANSIZIONE DEMOGRAFICA: passaggio della popolazione da un regime demografico tradizionale ad uno moderno, dove a bassi tassi di natalità corrispondono bassi tassi di mortalità.

TRANSIZIONE SOCIALE: conseguenza dell'allentarsi e del rarefarsi dei legami familiari, con conseguente diminuzione della capacità delle famiglie di sopportare il carico assistenziale dei membri più fragili e non autosufficienti. Ad oggi si assiste ad un aumento delle famiglie monopersonali, anche e soprattutto nelle fasce più anziane della popolazione, dove sono maggiori le necessità assistenziali.

TRANSIZIONE EPIDEMIOLOGICA: cambiamento della domanda di salute, che vede un aumento costante e consistente della prevalenza e della mortalità per patologie croniche rispetto a quelle acute; in Europa le malattie non trasmissibili, legate a multipli fattori e caratterizzate da un decorso cronico, nel 2016 sono state responsabili dell’86% delle morti (in Italia 91%). I sistemi sanitari nazionali quindi, progettati tradizionalmente per rispondere prevalentemente a episodi di malattia acuti, si trovano ora a dover affrontare un cambiamento epidemiologico che richiede prevalentemente di gestire in modo efficace problematiche di ordine cronico che necessitano di un’organizzazione dei servizi radicalmente diversa.

Allegato #2

Evoluzione del quadro normativo del distretto:

- 1979: la legge di istituzione del SSN (L. 833) indica i Distretti quali strutture tecnico-funzionali per l’erogazione dei servizi ambulatoriali di primo livello e pronto intervento;

- 1992: il D.lgs 502 indica il Distretto come centro di governo, non solo di erogazione, che deve portare i servizi il più possibile vicino ai luoghi di vita delle persone e dare risposta al bisogno di integrazione socio-sanitaria;

- 1999: il D.Lgs 229 attribuisce al Distretto sia il compito di erogare i servizi (ruolo di produzione) sia la responsabilità di governare la domanda attraverso la programmazione delle attività territoriali (ruolo di committenza);

- 2000: la L. 328 indica come elemento importante la coincidenza tra Distretti e Ambiti Sociali, al fine di favorire l’integrazione tra servizi sanitari, socio-sanitari e sociali;

- 2012: il D.lgs. 159 introduce nell’organizzazione distrettuale le Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT) dei MMG e le Unità Complesse di Cure Primarie (UCCP).

Allegato #3

Si devono pertanto approfondire per il professionista medico:

1. le competenze orizzontali (comuni a tutti i professionisti della salute), gestionali e relazionali, e in primis la capacità di lavorare efficacemente in equipe (ad esempio, nello specifico: costruire, manutenere, gestire il lavoro in equipe), ma anche con particolare attenzione alle competenze comunicative e relazionali con gli altri professionisti e con gli assistiti (ad esempio, nello specifico: comunicare efficacemente nell’ambito della consultazione professionale, costruire e gestire la relazione nel tempo, con continuità e creando un rapporto di fiducia)

2. le competenze cliniche distintive del medico di Medicina Generale, poco visibili ma messe in atto di routine nelle Cure Primarie, ben descritte nella “Definizione WONCA”, vale a dire le competenze cliniche per la diagnosi e la gestione del paziente acuto e cronico, che nella maggior parte dei casi sono situazioni patologiche falsamente semplici, che non debbono essere date per scontate o acquisite nel corso degli studi pre-laurea, ma che devono essere prese in considerazione e insegnate nel contesto della Scuola di Specialità; esse si basano sulla capacità di focalizzare i problemi dell’individuo inserito nel contesto, sul peculiare metodo clinico da adottare nelle situazioni di bassa prevalenza epidemiologica e ad alta incertezza, sulla capacità di giungere ad una decisione condivisa con il paziente e la famiglia, nella cornice metodologica specifica della consultazione nelle cure primarie.


Solo la gestione efficace dei sintomi lievi, in modo che il paziente all’interno del rapporto di fiducia si possa sentir seguito, permette al medico di entrare a pieno titolo nella gestione di problemi severi, stabilendo il timing appropriato. Il peculiare metodo clinico raccomandato nelle Cure Primarie si basa su una valutazione di contesto e sull’utilizzo sapiente e rigoroso di test diagnostici “semplici” prevalentemente non strumentali, seguendo le indicazioni del contesto, e dove il test del tempo è lo strumento cardine per decidere la tempestività dell’intervento e l’attivazione di percorsi diagnostici o terapeutici utilizzando il secondo livello di cure. Nelle Cure Primarie strumenti diagnostici più sofisticati sono benvenuti, ma non necessari per migliorare la qualità dell’assistenza, in quanto l’obiettivo – a parte casi particolari – non è quello di non inviare i pazienti al secondo livello e tenerli al domicilio (ospedalizzazione al domicilio), ma organizzare un invio appropriato al secondo livello tenendo conto nella situazione specifica individuale del paziente, le sue preferenze o quelle della famiglia. Deve essere messo in atto un sistema uniforme di valutazione delle decisioni di ospedalizzazione in collaborazione con i medici ospedalieri.

2018phc@gmail.com