Ecomafia è un neologismo coniato per la prima volta, a metà degli anni Novanta, dall’associazione ambientalista Legambiente per ricomprendere tutte le attività illegali delle organizzazioni criminali di stampo mafioso che arrecano danni all’ambiente.
Tra queste rientrano una vasta gamma di operazioni a elevato impatto ambientale: in primis il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti, ma anche, ad esempio, l’abusivismo edilizio su larga scala e gli incendi boschivi.
La nascita di questo termine, destinato ad acquisire grande rilevanza nell’ambito della tutela dell’ambiente, trova le sue radici nel 1993, quando negli archivi della sede regionale Legambiente della Campania viene rinvenuto un documento relativo alla storica operazione Adelphi: una delle prime inchieste in materia di crimini contro l’ambiente che aveva fatto chiarezza sui traffici illegali di rifiuti gestiti da politici, imprenditori e organizzazioni di stampo mafioso.
La storia prosegue con l’invio del documento ritrovato alla sede nazionale Legambiente di Roma: da qui prende avvio un’analisi che conduce alla scoperta e all’interazione di tutte le altre indagini in corso in Italia sul traffico illecito di rifiuti, condotte dalle singole procure in maniera svincolata le une dalle altre.
Interviene così la Procura Nazionale Antimafia e nel dicembre del 1994 viene presentato il primo rapporto dal titolo “Le ecomafie – il ruolo della criminalità organizzata nell’illegalità ambientale”, realizzato da Legambiente in collaborazione con Eurispes e Arma dei Carabinieri.
È già la prefazione a spiegarci il significato di quel nuovo termine presente nel titolo, che avrà considerevole risonanza: “Ecomafie: un neologismo, un termine che non si trova in alcun dizionario della lingua italiana. Cosa indichi, è presto detto: i gruppi della criminalità organizzata che basano buona parte della loro attività (e delle loro entrate) in azioni che causano in maniera deliberata o meno il degrado del territorio e dell’ambiente”.
Da questi primi essenziali passi, anche grazie alle rivelazioni di un pentito, si ricostruisce sempre più approfonditamente la tela del traffico illecito di rifiuti e nel 1995 viene istituita la Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti.
Nel frattempo non si arresta l’attività di Legambiente, che intensifica la collaborazione con le forze dell’ordine e nel 1997 pubblica un ulteriore Rapporto Ecomafia nel quale vengono forniti i numeri del fenomeno, aggiornati periodicamente. Da allora, infatti, ogni anno l’associazione fa il punto sulla situazione elencando i reati ambientali accertati dalle forze dell'ordine, le persone denunciate e arrestate, la distribuzione geografica degli illeciti, il business stimato, i clan censiti.
A questo punto della ricostruzione si riscontra però l’assenza di un importante passaggio: manca la predisposizione di norme giuridiche ad hoc, che introducano nell’ordinamento italiano nuove fattispecie e sanzioni efficaci per la lotta ai crimini contro l’ambiente.
Si deve infatti attendere la legge 23 marzo 2001, n. 93, "Disposizioni in campo ambientale” (pubblicata nella G.U. n. 79 del 4 aprile 2001), che all’art. 22 inserisce nel D.lgs 5 febbraio 1997, n. 22 (c.d. Decreto Ronchi) l’art. 53-bis.
Questo prevede il delitto di “Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, punito con la reclusione da uno a sei anni e da tre a otto anni nell’ipotesi di rifiuti ad alta radioattività, oggi previsto all’art. 452 quaterdecies del codice penale.
Il traguardo è però ancora lontano. Il più importante strumento per la lotta alla criminalità ambientale arriva infatti solo 14 anni dopo, con la legge 22 maggio 2015, n. 68, “Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente” (pubblicata nella G. U. n. 122 del 28 maggio 2015).
Questo provvedimento, che prevede tra l’altro una specifica aggravante per mafia, introduce nel codice penale un nuovo titolo dedicato ai “Delitti contro l’ambiente”, all’interno del quale sono previste le nuove fattispecie di inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico ed abbandono di materiale radioattivo, impedimento di controllo e omessa bonifica.
L’applicazione pratica ha portato a considerare la legge 22 maggio 2015, n. 68 come strumento fondamentale nella lotta alla criminalità ambientale, sia sul fronte repressivo sia su quello della prevenzione.
Già nel Rapporto Legambiente “Ecoreati nel Codice penale: numeri e storie di una legge che funziona” del 2017 si riconosce il bilancio indubbiamente positivo dei primi due anni di applicazione del provvedimento, ricordando, ad esempio, che nel 2016 a fronte di 1.215 controlli la legge in discorso ha consentito di sanzionare ben 574 ecoreati (più di uno e mezzo al giorno), denunciare 971 persone e 43 aziende e sequestrare 133 beni per un valore di circa 15 milioni di euro con l’emissione di 18 ordinanze di custodia cautelare[1].
Federica Margherita
Roberta Vago
[1] https://www.legambiente.it/sites/default/files/docs/ecoreati_nel_codice_penale_2017.pdf