Dal Rapporto Rifiuti Urbani Ispra Edizione 2020 si evince come l’Italia, nonostante negli ultimi dieci anni abbia ridotto del 58,2% l’apporto di rifiuti urbani in discarica, risulti ancora essere ben lontana dal raggiungimento degli obiettivi posti dalla recente direttiva europea, in base a cui (fra le altre cose) entro il 2035 i rifiuti urbani potranno essere smaltiti in discarica solo per un massimo del 10% del totale degli stessi. Al 2019, il 21% dei rifiuti urbani è stato ancora smaltito in discarica (circa 6,3 milioni di tonnellate, seppur con una riduzione del 3,3% rispetto al 2018); se il Centro ha registrato addirittura un incremento (+19,4%) e il Nord non significative variazioni (-0,9%), il Sud invece grazie anche ai miglioramenti del sistema di raccolta differenziata, ha segnato una riduzione del 15,2%.
Facciamo un passo indietro.
Il legislatore all’interno dell’articolo 179 del D.lgs. 152/2006 ha inserito una vera e propria gerarchia con un preciso ordine di priorità fra ciò che può costituire la migliore opzione ambientale nella gestione dei rifiuti; tutto ciò mantenendo ovviamente il focus su quello che potrebbe impattare a livello sanitario, sociale ed economico, compresa la fattibilità tecnica e la praticabilità economica.
• Prevenzione;
• Preparazione per il riutilizzo;
• Riciclaggio;
• Recupero di altro tipo, per esempio il recupero di energia;
• Smaltimento.
L’unica deroga ammessa dal legislatore è quella data dal comma terzo dell’articolo, secondo il quale: “qualora ciò sia previsto nella pianificazione nazionale e regionale e consentito dall’autorità che rilascia l’autorizzazione[…], nel rispetto del Principio di precauzione e sostenibilità, in base ad una specifica analisi degli impatti complessivi della produzione e della gestione di tali rifiuti sia sotto il profilo ambientale e sanitario, in termini di ciclo di vita, che sotto il profilo sociale ed economico, ivi compresi la fattibilità tecnica e la protezione delle risorse”.
A chiusura dell’articolo, viene alla fine riconfermata l’esigenza primaria di proteggere la salute umana e l’ambiente tramite l’individuazione delle opzioni che garantiscano i migliori risultati in questi termini, con riferimento a flussi di rifiuti specifici e previa decretazione da parte del Ministro della Transizione Ecologica di concerto con il Ministro della salute.
Per avere una specifica disciplina riservata alle discariche abbiamo dovuto attendere però la direttiva europea 1999/31/CE (recepita dall’ordinamento italiano con il D.lgs. 36/2003), i cui obiettivi principali erano la riduzione del collocamento a discarica dei rifiuti urbani biodegradabili, l’incoraggiamento della raccolta differenziata e dello smaltimento in condizioni di sicurezza e l’adeguamento delle discariche preesistenti.
La nuova disciplina richiedeva quindi ai nuovi impianti di smaltimento di ottenere la specifica autorizzazione per aprire e di rispondere ai requisiti e ai criteri imposti a livello europeo, a quelli già attivi di adeguarsi alle novità e a quelle chiuse di portare avanti le operazioni di controllo e monitoraggio fondamentali per evitare contaminazioni delle matrici ambientali “fino a che l’ente territoriale competente accerti che la discarica non comporta rischi per la salute e l’ambiente”.
È attraverso i piani di gestione operativa, di ripristino ambientale, di gestione post-operativa, di sorveglianza e di controllo, che l’autorità responsabile per il rilascio dell’autorizzazione può verificare se di fatto la discarica non comporti nel tempo effetti negativi sull’ambiente dovuti per esempio alla formazione e conseguente perdita di percolato, così da poter tempestivamente sottoporre il sito ad adeguati interventi di rispristino ambientale
Il D.lgs. 3 settembre 2020 n. 121 (attuazione della direttiva europea 2018/850/CE), si è andato ad inserire in un contesto in cui l’obiettivo era quello di dare una maggiore spinta al progetto europeo di economia circolare, modificando così l’assetto delineato dalla direttiva 1999/31/CE. La normativa oltre ad aver abrogato il D.M. Ambiente 27 settembre 2010 s.m.i. (Definizione dei criteri di ammissibilità dei rifiuti in discarica), ha incluso le Linee Guida ISPRA n. 145/2016 (“Criteri tecnici per stabilire quando il trattamento non è necessario ai fini dello smaltimento in discarica dei rifiuti”).
La direttiva 2018/850/CE con l’intento di diminuire, entro scadenze prefissate, lo smaltimento in discarica dei rifiuti e aumentare conseguentemente il ricorso al riciclo, ha previsto fra l’altro:
• Il conferimento in discarica entro il 2035 al massimo del 10% del totale dei rifiuti urbani;
• Nuovi e uniformi metodi per calcolare la performance degli impianti;
• Divieto di smaltire in discarica rifiuti che provengono dalla raccolta differenziata, destinati al riciclaggio o alla preparazione per il riutilizzo a partire dal 2030;
• Misure, procedure e orientamenti volti a prevenire o a ridurre il più possibile le ripercussioni negative sull’ambiente.
Focus sulla procedura di infrazione contro l’Italia per la presenza sul territorio di discariche abusive.
L’Italia nel 1986, nel 1996 e nel 2002 ha effettuato tre censimenti dai quali era emersa la presenza di discariche abusive e di siti di abbandono di rifiuti, per i quali si erano resi necessari interventi di bonifica e di messa in sicurezza.
La Commissione europea nel 2003 dà avvio ad una procedura di infrazione contro l’Italia (2003/2077) concretizzatasi poi con una sentenza di condanna da parte della Corte di giustizia europea (135/05) per essere la suddetta “venuta meno in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti, stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti”, in particolare con riferimento alle direttive 1975/442 artt. 4,8 e 9 sui rifiuti, 1991/689 art. 2 paragrafo 1 sui rifiuti pericolosi e 1999/31 art. 14 lettere a, b e c sulle discariche.
Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, nel 2008 decide di revisionare l’elenco dei siti inseriti nel III censimento attraverso il rilevamento dei “Siti di smaltimento illecito di rifiuti-SSIR”, focalizzandosi così su 200 discariche. Ritenendo che l’Italia non avesse ancora adottato tutti i provvedimenti per dare esecuzione alla prima sentenza, nel 2014 la Corte europea, la condanna al pagamento di una somma forfettaria di circa 40 milioni di euro e di una penalità semestrale di oltre 42 milioni da pagare fino alla completa esecuzione della prima sentenza. Oggetto della sentenza erano 200 discariche, di cui 198 non conformi alle direttive 1975/442 e 1991/689 per le quali erano richieste operazioni di bonifica e 2 non conformi alla direttiva 1999/31 per le quali si doveva dimostrare l’approvazione di piani di riassetto oppure l’adozione di decisioni definitive di chiusura.
La Commissione europea non chiedeva solo di non conferire più rifiuti nei siti individuati o di gestirli in base alla normativa vigente, ma di verificare soprattutto se i rifiuti avessero inquinato le matrici ambientali e nel caso procedere alla bonifica e messa in sicurezza. A seguito di questi contenziosi a livello europeo, dal 2014 al 2017 l’Italia ha proceduto a regolarizzare 123 siti su 200 e sempre nel 2017, il Governo italiano ha deciso di coinvolgere l’Arma dei Carabinieri investendo un Generale di Brigata della nomina di Commissario straordinario per le attività di bonifica e di messa in sicurezza dei siti oggetto di sanzione.
Federica Giuntini