L'ESEMPIO DI NOSTRA MADRE
Nel cuore delle Madonie, in provincia di Palermo, a 917 metri sul livello del mare, si trova il comune di Polizzi Generosa che attualmente conta poco più di 3300 abitanti.
L’appellativo “Generosa”, entrato a far parte integrante del nome del Comune, figura nei documenti ufficiali e ve lo aggiunse per la prima volta il re di Sicilia Federico II di Svevia meravigliato per la straordinaria accoglienza ricevuta dagli abitanti di Polizzi.
A quanto ci risulta non poteva esservi una denominazione più azzeccata nei confronti degli amici nati in quel paese che conosciamo.
La religiosità di questo popolo è stata sempre molto intensa nei secoli tanto che conta più di venticinque chiese.
San Gandolfo era un frate francescano predicatore che morì a Polizzi Generosa il 3 aprile 1260, venne elevato agli onori dell’altare e con grande venerazione fu scelto dalla popolazione come Patrono.
La terra di Polizzi è generosa non solo di nome, ma anche di fatto perché è rigogliosissima e ricca di frutti: asparagi, nocciole, fagioli, funghi e peperoni; prodotti tipici della sua cucina sono il coniglio polizzano, lo sfoglio, il fagiolo badda (cioè a palla).
Purtroppo, come succede nel Meridione, la popolazione che un tempo era riuscita a raggiungere perfino i diecimila abitanti si è assottigliata a causa del fenomeno sociale dell’emigrazione soprattutto per le condizioni economiche.
A Polizzi Generosa il 28 marzo 1916 veniva al mondo una persona speciale e molto cara per noi, alla quale siamo strettamente legati da rapporti filiali.
Parliamo di nostra madre, Rosaria Giuseppina Farella.
Del periodo della sua infanzia ricordiamo ben poco.
Ad un anno di vita rimase orfana di padre, un uomo buono, amato dalla moglie, dai figli e dagli abitanti del paese perché con la sua onestà e il suo lavoro era arrivato a realizzare un certo benessere economico per la famiglia.
Purtroppo dopo la sua morte, la nonna accettò di convolare a nozze nuovamente, ma il secondo marito presto si rivelò molto diverso dal primo e poco incline al lavoro.
La vita della nostra giovane madre era stata piena di tribolazioni e di sofferenze tanto che quando parlava della sua infanzia spesso si rattristava ed era solita ripetere: “se avessi avuto fortuna campava (sarebbe vissuto) mio padre!”
La sua istruzione scolastica dovette fermarsi alla seconda classe elementare perché a casa c’era bisogno di lei e dei suoi servizi per accudire gli altri figli più piccoli, nonostante i ripetuti inviti e solleciti della maestra per farla ritornare a scuola essendo un’alunna molto diligente e di grandi capacità.
Si può dire che trascorse una fanciullezza senza amore, sempre sottomessa come una serva al patrigno dominatore incontrastato sui componenti della famiglia.
Aveva si e no diciassette anni quando conobbe un giovane di Petralia Sottana con cui intraprese una relazione che sfociò in una fuga d’amore o “fuitina”, allora molto in voga in Sicilia, e che sposò il 13 dicembre probabilmente dell’anno 1933.
Si trattava di nostro padre Santo Bellina, chiamato Sasà.
Dopo il matrimonio gli sposi si stabilirono a Petralia Sottana dove il 24 giugno 1935 nacque il primo figlio Antonio Giovanni chiamato familiarmente Nino, mentre due anni più tardi presso la città di Polizzi Generosa venne alla luce il secondo figlio Rosario Luigi chiamato Saro il 6 ottobre 1937.
Purtroppo poco dopo il marito dovette lasciare moglie e figli per andare in guerra in Africa Orientale dove rimase complessivamente undici anni, compreso il periodo di prigionia, svolgendo mansioni di autista.
Nostra madre, priva di mezzi di sostentamento, si inventò un lavoro acquistando biancheria per rivenderla poi in cambio di prodotti alimentari alle famiglie che avevano figlie da sposare, e riuscì così in qualche modo a sbarcare il lunario in quegli anni desolati.
Era una donna molto credente.
Con la forza che le proveniva dalla fede e con quella sua attività riuscì alla meglio a tirare avanti.
Neppure la lontananza del marito per quei lunghi anni era riuscita a farle perdere la fede nel Signore che era diventato veramente “il suo pastore”, tanto che anche a noi era solita ripetere costantemente un suo motto “Chi ha fede in Dio non perisce mai!”
Dopo il ritorno del capofamiglia dall’Africa Orientale, si trasferirono a Nicosia in provincia di Enna.
Qui il 27 maggio 1948 venne alla luce il sottoscritto e tre anni dopo Maria Antonietta il 2 dicembre 1951.
Nostro padre a Nicosia ebbe modo di rivelare le sue grandi capacità di autista.
Prima acquistò un camion e faceva servizio di trasporto di materiali edili.
Dopo qualche anno entrò come autista di corriera di linea alla “Sita”.
Infine come autonoleggiatore viaggiò per mezza Sicilia.
Guardando le foto che la ritraggono, sebbene in bianco e nero, la bellezza del volto di nostra madre risalta e suscita profonda ammirazione.
La grande bellezza sua non era tanto quella esteriore, quanto piuttosto quella interiore, per la sua spiritualità, la sua sensibilità, la sua umiltà, la sua gentilezza nel trattare con le persone.
Quando trovava il tempo per fare una breve pausa durante i suoi tanti lavori di casa ci spiegava che passava le sue giornate “a lavare, stirare e puntiare (rammendare)” e che aveva un gran daffare dovendo “badare a quattro persone e la casa cinque”.
Aveva proprio ragione perché a quei tempi – a differenza di oggi – non esistevano elettrodomestici e si doveva fare tutto manualmente.
Con la sua macchina da cucire Necchi si sforzava di adattare ai figli più piccoli gli abiti che non stavano più a quelli grandi.
Anche a cucinare era molto brava.
Tutto le mattine a colazione ci preparava il latte con l’uovo sbattuto perché dovevamo avere le energie necessarie per affrontare la giornata.
Con una manciata di soldi riusciva a fare la spesa accontentando uno alla volta ciascuno di noi.
Per Nino preparava spesso il tegamino con due uova agli occhi di bue, per Saro la pasta con le lenticchie di cui andava pazzo, per Enzo l’omelette, per Maria Antonietta le cosce dei polli, che mangiava piedi compresi.
Attorno al braciere nelle sere d’inverno a noi più piccoli raccontava tante belle storie che ci tenevano col fiato sospeso; francamente non sappiamo dove le prendesse: “Bovo d’Antona”, Genoveffa di Brabante, Giuseppe e i suoi fratelli, le vicende della “Sepolta viva” ecc…
Allora il televisore non era diffuso nelle abitazioni private e così lei ogni sera accontentava le nostre richieste di favole iniziando con le consuete parole: “Sì cunta e si raccunta…” .
Dal suo immenso tesoro estraeva tante favole, quella di “Cicireddu”, quella di “Giufà”, quella intitolata “Al lupo al lupo!”, “Il Gatto con gli stivali” e tantissime altre.
Infatti come si legge nel vangelo le persone buone dal buon tesoro del loro cuore estraggono fuori il bene; mentre quelle cattive dal loro cattivo tesoro tirano fuori il male, poiché la bocca esprime ciò che dal cuore sovrabbonda.
A Nicosia nostra madre era solita frequentare con assiduità la chiesa del SS. Salvatore senza perdere le lezioni di catechesi di padre Montaperto.
Qui a Monsummano Terme, nuova destinazione, si recava presso la chiesa di Maria SS. della Fontenova e seguiva le lezioni di mons. Giorgio Checchi.
La sua preghiera era continua per i figli, per il marito, per le nuore, per il genero e per tutti.
Le diverse letture tra cui le pagine del vangelo, la “Filotea” di San Francesco di Sales e alcune riviste religiose che le arrivavano per posta nutrivano e irrobustivano la sua fede incrollabile nel Signore.
Era una miniera inesauribile di detti e proverbi che sono patrimonio della grande saggezza popolare, per esempio: “Non dire quattro se non l’hai nel sacco”, “Sabatu allegru core beatu cu have bedda la mugghiere” (Sabato allegro cuore, felice chi ha sposato una donna brava e bella)
Ancora ripeteva:”Chi sospira non è contento, chi santia non have denari” (Chi sospira non e contento, chi bestemmia non ha soldi).
Oppure: “Fa beni e scordatillu, fa mali e pensaci” (rammenta solo il male fatto e dimentica il bene) “Aranci aranci, cu havi guai si chianci” (ognuno è solo quando ha dei guai), “I guai da pignata i sapi la cucchiara ca li rimina” (i guai della pentola sono noti al cucchiaio che vi mescola dentro ).
Come pure: “Se a fortuna ti voli bene fino in casa ti vene” (la fortuna quando ti vuole bene ti viene a cercare dovunque ti trovi), “Quannu a sorti nun ti dici iettati in terra e campa babaluci” (quando la sorte non ti arride mettiti per terra a cercare lumache) e tanti altri.
Profondamente devota verso i Santi ci raccomandava sempre di scherzare con i fanti e di lasciare stare i santi.
Si rivolgeva con suppliche continue e novene a Sant’Antonio da Padova, santa Rita da Cascia, papa Giovanni e soprattutto alla Madonna sotto i vari titoli, di Pompei, del Carmelo, di Lourdes, di Fatima, della Fontenova.
Era iscritta alla Congregazione mariana di quest’ultima e vi aveva iscritto pure noi familiari. Recitava il Rosario tutti i giorni e andava in chiesa per partecipare alla Messa talvolta anche a piedi con quelle sue gambe che diventano sempre più gonfie e pesanti.
Durante i pranzi con invitati ci stupiva per la sua abilità nel fare brindisi in rima dedicandoli a ciascun commensale.
In casa aveva saputo creare un clima ideale con noi figli per cui parlando con i genitori non adoperavamo mai il voi o il lei, ma il più confidenziale tu.
Con lei ci confidavamo maggiormente rispetto a nostro padre ricevendo immancabilmente una parolina di incoraggiamento quando si presentava qualche difficoltà e con il suo aiuto riuscivamo a superare subito ogni ostacolo con tanta allegria e buonumore.
Verso le sue tre nuore ed il genero si sforzava di avere un comportamento materno, anziché da suocera, tanto da farli sentire parte integrante della famiglia come altrettante figlie e figlio.
Più che l’angelo del focolare per noi era l’anima, così come lei stessa amava definirsi affermando “la mamma è l’arma” e immancabilmente io aggiungevo scherzando “l’arma del delitto”.
Il 25 febbraio 2002, all’età di quasi ottantasei anni, con tutti i conforti religiosi, morì a Monsummano Terme dove fu sepolta senza poter mai più rivedere la sua terra di Sicilia.
Il suo esempio e i suoi insegnamenti costituiscono la migliore eredità che potevamo ricevere, un grande tesoro cui attingere tutte le volte che ne abbiamo bisogno.
Cara mamma, a te va il nostro pensiero e il bel ricordo che ci hai lasciato di te, scusaci se qualche volta ti abbiamo fatto soffrire.
Riposa in pace dopo una vita di affanni e sacrifici ora che sei vicina al Signore.
Se proprio vuoi ancora occuparti di noi, continua a pregare per noi e per i tuoi nove nipoti affinché seguendo il tuo esempio possiamo dimostrarti il nostro affetto filiale e la nostra profonda e sentita riconoscenza.
I grandi uomini hanno celebrato le proprie madri con nobili sentimenti (poeti, cantanti, pittori, fotografi, scrittori, artisti di ogni genere) ed anche noi nel nostro piccolo vorremmo imitarli per dare un piccolo riconoscimento ai tuoi grandi meriti.
Grazie Rosaria Giuseppina da parte di tutti noi per l’amore che hai saputo mettere nel nostro cuore!
Enzo Vincenzo Bellina
(06/03/2019)