ALL'OMBRA DEI CIPRESSI E DENTRO L'URNE CONFORTATE DI PIANTO...
Dopo la morte di mio padre, avvenuta il 28 gennaio 1989, rileggo il carme di Ugo Foscolo “I Sepolcri”.
Il tema della morte è sempre presente nella poetica foscoliana: l’universo sembra regolato da un ciclo continuo di distruzione e creazione senza fine.
Tuttavia esistono alcune realtà che neppure la morte riesce a cancellare.
Le persone amate e stimate lasciano un’eredità di affetti perenni che resiste al tempo, per cui, anche dopo la morte, continuano a vivere, o meglio a sopravvivere, nel ricordo dei loro cari.
Il Foscolo eleva così un inno solenne alla sopravvivenza.
Un legame di natura celestiale, proprio degli esseri umani, che permette agli estinti di continuare a vivere con noi e viceversa.
La pietà dei sepolcri chiama le nuove generazioni a venerare le tombe con un rispetto quasi religioso.
Esse infatti con la loro presenza educano e trasmettono un messaggio capace di vincere il silenzio di mille secoli.
Mio padre è ancora vivo nel ricordo di tutti noi, non avendo mai cessato di fare parte delle nostre giornate e dei nostri pensieri.
Era nato in provincia di Palermo, a Petralia Sottana, il 5 agosto 1911 e si chiamava Santo, ma al suo paese di origine lo chiamavano Sasà.
Il suo mestiere era quello dell’autista.
Aveva guidato ogni tipo di automezzo, passando dal camion all’autobus, dallo scuolabus all’autovettura da noleggio.
Nessuno poteva immaginare mai che dovesse ammalarsi in seguito ad una banale caduta da una bicicletta.
In tanti anni di guida non era mai stato coinvolto in un incidente stradale.
Se le sue condizioni generali di salute non fossero divenute così precarie sino al punto di dover reggersi al bastone, probabilmente sarebbe ancora al volante della sua ultima e bianca seicento fuori moda.
Bisognava sentirlo raccontare le sue imprese da pilota.
Una volta si trovava alla guida dell’autobus di linea della Sita, gremito di persone.
Lungo la ripida discesa di Enna, improvvisamente provò ad azionare il pedale del freno, ma si accorse che il veicolo proseguiva senza fermare la corsa.
Allora con una prontezza di riflessi non comune riuscì a salvare se stesso e a portare in salvo tutti i passeggeri, accostando lentamente e a più riprese le grosse ruote contro il marciapiede.
Per ben undici anni era stato in Africa orientale, dove non gli erano certamente mancati pericoli di ogni tipo.
A noi bambini di tanto in tanto raccontava le storie di quei posti, per noi completamente sconosciuti, comunicandoci indimenticabili emozioni che leggevamo sul suo volto.
Rientrato in Italia, si era stabilito con la famiglia a Nicosia, in provincia di Enna.
Qui si affermò ben presto come un autista sicuro del fatto suo, competente anche nel campo della meccanica.
Numerosissime persone sono salite sulla sua autovettura da noleggio.
Sposi nel giorno del loro matrimonio, gente di ogni ceto e condizione in viaggio per motivi diversi, ed anche tante personalità.
Persino Enrico Mattei era stato sulla sua automobile durante la sua ultima visita in Sicilia, proprio poco prima di prendere il tragico volo verso Roma che lo condusse alla morte, ancora misteriosa.
Per l’inaugurazione del monumento e della casa natale del Beato Felice da Nicosia, nel 1956, la città era in fermento e gli animi di tutti erano colmi di gioia.
Una grande festa veramente immemorabile durata diversi giorni con l’intervento di autorità religiose, civili e militari provenienti da ogni parte.
Tutto si svolse sotto la direzione di padre Gregorio, ai cui ordini mio padre e gli altri suoi colleghi fecero numerosi viaggi per accompagnare quelle personalità.
Il signor Bellina – così veniva chiamato a Nicosia – era conosciutissimo da tutti, ma la sua notorietà, chi sa mai perché, era destinata ad accrescersi ulteriormente dopo quel fatto che gli capitò tanti anni fa e che adesso descriverò.
Non è facile rievocare il passato del proprio genitore come si trattasse di un estraneo, ma voglio farlo adempiendo a un dovere filiale.
Era il 23 giugno 1962, alle prime ore pomeridiane, quando la cittadina di Nicosia fu investita da un forte ed improvviso temporale estivo.
Il sole si nascose ed il cielo addensandosi di nuvoloni diventò nero, mentre lampi e tuoni incominciarono a danzare sinistramente nell’aria.
Un fulmine fragoroso colpì la Cattedrale di San Nicola mutilandola del cono superiore del campanile e facendo precipitare giù le macerie da un’altezza di oltre dieci metri.
Il forte boato che ne seguì fu avvertito fino nelle contrade distanti dal centro abitato.
Fatalità volle che mio padre si trovasse là sotto, a bordo della sua automobile, nel parcheggio riservato alle autovetture da noleggio posto proprio sotto il campanile.
L’automobile, che era una nuovissima Giulietta color verde chiaro, andò completamente distrutta, mentre mio padre, grazie a Dio, ne usciva fuori illeso.
Stranamente solo il posto di guida restava intatto, mentre il resto della macchina era schiacciato.
Il povero signor Bellina venne riaccompagnato a casa, tutto impolverato ed infarinato, dai suoi stessi colleghi ed amici autisti.
La notizia corse veloce per tutto il paese ed oltre e così per diversi giorni la nostra casa diventò meta di tante visite.
La gente di Nicosia, elogiata meritatamente da Elio Vittorini nel romanzo “Conversazione in Sicilia”, volle pure dimostrare la propria solidarietà a mio padre, nonostante egli fosse un forestiero.
Fecero una raccolta e gli donarono un contributo finanziario per il danno subito con la perdita della Giulietta da poco immatricolata.
Le persone che sono a conoscenza di questo fatto, parlando di mio padre, spesso ricordano quel giorno ed aggiungono che egli si è salvato per vero miracolo.
La cuspide del campanile diroccato è stata restaurata solo dopo cinquantasei anni.
Oltre al miracolo, io vedo in quella folgore il segnale di partenza, per la nostra famiglia, che ha dovuto emigrare verso la Toscana.
Una regione vivace ed operosa, e precisamente a Monsummano Terme (PT), nel cui cimitero oggi riposano le ossa di mio padre.
Questi, dopo la caduta e la frattura del femore, è rimasto sempre a letto.
Immobile, per sette mesi, bisognoso di attenzioni e di cure, piagandosi irrimediabilmente ogni giorno di più, fino a spegnersi del tutto, lentamente.
Non ce l’ha fatta più a rimettersi in piedi.
Durante la veglia funebre ho aperto la Bibbia al salmo 22.
Ad ogni parola che leggevo avvertivo un brivido dentro di me, perché quei versetti del salmista potevano riferirsi perfettamente a lui ed alle sue condizioni psico-fisiche.
Ho incominciato allora a leggerlo agli altri familiari presenti che manifestavano lo stesso stupore.
Quante persone hanno condiviso il nostro dolore e sono venute a pregare davanti alla sua salma; perfino il vescovo di Pescia è venuto personalmente a confortarci!
Adesso quando vado al cimitero recito quella preghiera che mio padre mi aveva confidato di preferire.
Mi soffermo a guardare le altre tombe, leggo qualche iscrizione, osservo i ritratti di alcuni volti familiari.
Penso con francescana naturalezza a sorella morte.
Ho l’impressione di trovarmi in un giardino fiorito.
Infine, calcando la ghiaia per il ritorno, sento pian piano crescere in me la speranza della Resurrezione cristiana.
Enzo Vincenzo Bellina
Pubblicato il
09/01/2018