LA FIABA
C’era una volta, in un paese toscano che si chiama ancora oggi Monsummano, un vecchio saggio.
Egli, tanti anni or sono, abitava nel palazzo municipale ed era molto stimato da tutti ed ogni suo discorso era pari ad una sentenza.
C’era anche nello stesso palazzo un giovane ingenuo che si chiamava Meo ed era uno sbarbatello, senza soldi e considerazione, e le sue parole provocavano sempre delle risate.
Un giorno il vecchio saggio chiese al giovane ingenuo: “Amico, lo sai cosa dice l’articolo quinto?” “No!” rispose Meo.
Il vecchio saggio sorrise con compassione ed esclamò: “Dice l’articolo quinto, che chi ha quattrini ha vinto!”
Il giovane ingenuo lì per lì stette zitto, come era sempre solito fare e in buona fede prese per oro colato il discorso del vecchio saggio, come tutti del resto in quel paese.
Col passare del tempo, però, il vecchio saggio ripeteva con insistenza il ritornello dell’articolo quinto, tanto che ormai aveva colmato ogni misura.
Un bel giorno Meo si fece coraggio e quando il vecchio saggio gli ripeté ancora una volta il solito ritornello, così gli rispose: “Vecchio saggio che abiti nel palazzo municipale, perché mi parli sempre dell’articolo quinto e mi dici che chi ha quattrini ha vinto, senza mai proseguire per parlarmi anche dell’articolo sesto?”
Il vecchio saggio rimase di stucco perché non credeva possibile che Meo si permettesse di replicargli.
Dopo aver ripreso fiato, il giovane ingenuo così continuò nel suo dialetto: “Ma visto che te non parli, o senti un poino il che c’è scritto ner successivo articolo sesto: questo codice legalizza a sanatoria l’azioni der disonesto!”
Il vecchio saggio ormai aveva messo completamente da parte la sua boria come pure i suoi abituali sorrisetti di commiserazione, mentre il giovane Meo, ritrovando in sè un ardire simile a quello del piccolo Davide al cospetto del gigante Golia, subito riprese: “Poi, un tu conosci le utime norme, che chi ha quattrini un dorme! E ignori anco i’ più recente decreto delegato: il quattrinaio prima o poi riman fregato! Da utimo sappi, ch’esiste un’antra disposizione legale, che più d’onni ricchezza vale una vita sana e frugale!”
Ad ognuna di queste affermazioni, tutte recitate di getto ed inaspettatamente, il vecchio saggio impallidiva sempre più ed il suo viso perdeva ogni colore perché era molto ricco e pieno di tesori.
Difatti quella era un’epoca in cui veniva ritenuto saggio chi più di altri riusciva ad accumulare soldi.
Invece Meo era molto povero e fra l’altro portava un camicione lungo che quasi gli copriva i piedi, unto e bisunto, di mille colori, con certe maniche che sembrava tale e quale al sacco indossato da Francesco d’Assisi dopo avere distribuito tutte le sue sostanze ai poveri.
Per questi motivi quando Meo apriva bocca era una risata generale. Ma da quel giorno, quando si svolsero questi fatti, le cose cambiarono.
Infatti – come raccontano i più anziani – quando si svolse questa scena nel corridoio del palazzo municipale, tutti i presenti, uno dopo l’altro, smisero di ridere e incominciarono a dare ragione alle parole di Meo e commentavano fra loro che i soldi “non hanno mai portato la felicità”.
Il vecchio saggio allora restò sconfitto e da quel giorno subì tutti gli scherni che prima erano indirizzati alla volta del giovane ingenuo.
Tanto si sparse la notizia per il paese che il vecchio saggio non poteva più neanche uscire dalle sue stanze del palazzo municipale perché era rosso dalla vergogna, finché una notte fece le valigie e lasciò quel paese.
Così il giovane Meo che prima era ritenuto ingenuo prese il posto del vecchio saggio e diventò famoso, lui e la sua camicia, per tutti i dintorni.
Tanto che ancora oggi, dopo tanti anni, fra gli abitanti di quel paese, quando si vuole spiegare ad un altro che una cosa sembra molto strana, lo si usa fare ripetendo il tradizionale proverbio monsummanese: “E’ come la camicia di Meo!”.
Enzo Vincenzo Bellina
PUBBLICATO Il 28/06/2010