DON GIORGIO CHECCHI
Restando ancora a casa a motivo della pandemia, ho avuto modo di pensare ad una persona di grande notorietà rimasta nel cuore di tanti monsummanesi e di coloro che lo hanno incontrato, cioè a mons. Giorgio Checchi.
Un Parroco che è stato alla guida della più popolosa Parrocchia della Vadinievole, dedicata a Maria Santissima della Fontenova a Monsummano Terme in provincia di Pistoia.
Nei suoi confronti continuerò a nutrire sempre vivi sentimenti di gratitudine per l’aiuto ed i paterni consigli ricevuti.
Scrivo questo mio ricordo su Don Giorgio pur essendo consapevole dei miei limiti e che egli avrebbe meritato una esposizione migliore e più competente della mia da parte di altri.
NOTIZIE BIOGRAFICHE
Era nato a Pescia il 24 aprile 1926 da Agostino Checchi e da Teresa Giuntoli che lo avevano fatto studiare in seminario con grandi sacrifici.
Ordinato sacerdote da mons. Antonio Torrini, arcivescovo di Lucca, il 13 maggio 1950, è stato inviato direttamente al nostro Santuario come cappellano in aiuto del Parroco mons. Ugo Mori.
Il 13 maggio 1955 ne diventava il successore.
Dal giorno della sua ordinazione sacerdotale fino al 2 ottobre 2003, data di cessazione del suo mandato pastorale, è stato per oltre mezzo secolo il propulsore instancabile di tante attività religiose e civili in città e in diocesi.
Fino alla fine, dopo aver cessato l’attività pastorale, ha continuato a celebrare la santa messa ogni giorno, ad eccezione degli ultimi mesi per la sua malattia.
E’ deceduto presso l’ospedale di Pistoia il 12 giugno 2011.
La notizia della sua morte e del funerale hanno avuto ampio risalto sulla cronaca dei quotidiani locali.
Le esequie sono state celebrate in Basilica il 14 giugno 2011.
Il Sindaco ha proclamato una giornata di lutto cittadino invitando a sospendere qualsiasi attività in tutti gli esercizi pubblici, nelle aziende commerciali, artigianali in concomitanza con il funerale.
Una folla immensa ha partecipato al rito funebre per dare l’estremo saluto al suo amato Proposto.
IL PROPOSTO DON GIORGIO
Mons. Giorgio Checchi veniva chiamato confidenzialmente da tutti don Giorgio, tralasciando il titolo onorifico di monsignore.
Cosa per lui gradita data l’umiltà che lo caratterizzava.
Accettava però di essere chiamato Proposto.
Il titolo di Proposto è usato maggiormente in Toscana per indicare un sacerdote che esercita un ruolo preminente in una chiesa o in un territorio.
La sua presenza attiva lo ha visto sempre impegnato in prima persona come un gigante buono che si prende cura dei suoi piccoli e del territorio circostante e li difende.
Presso l’oratorio San Carlo, probabilmente il 30 giugno 2008, si svolgeva un ciclo di “Incontri con… il personaggio” intestato: “Mezzo secolo di Monsummano Terme visto da don Giorgio”
Don Giorgio, ormai Proposto emerito, ha avuto modo di raccontarsi liberamente in quella occasione illustrando la storia della sua vita di pastore durata complessivamente ben 61 anni.
Sì, qualcuno che si lamentava perché chiedeva spesso soldi c’era, ma era del tutto comprensibile se si pensa alle tantissime opere da lui realizzate e che ci lasciano tuttora stupefatti.
In una sua celebre omelia, in occasione del venticinquesimo anno di sacerdozio, pronunciava: “Colui che occupa posti di responsabilità è sempre soggetto a giudizio. Non chiedo pietà per me stesso. Nel giudicarmi però tenete presente che le mie azioni, qualunque esse siano state, hanno avuto come unico fine quello di giovarvi spiritualmente.”
Aggiungeva: “Ho dovuto infatti non solo lodare e approvare, ma riprendere e minacciare, ammonire e combattere, ma anche distruggere”
Proseguiva: “Tutte le volte che di queste cose vi è stata necessità niente ha potuto arrestarmi, né la paura, né l’amicizia, né le minacce; poiché sono in mezzo a voi non perché la mia vita sia più serena, ma perché in perfetta sintonia con il Papa e con il nostro Vescovo, cresca e si perfezioni la nostra spiritualità preservata da errori”.
La personalità di don Giorgio appare evidente da queste sue parole.
Egli, come si direbbe oggi, era una persona dalla schiena dritta.
LE OPERE
Come ho già accennato, il Proposto era molto amato dalla gente.
Essa riconosceva in lui una persona umile, capace di prendere delle decisioni rapidamente, con una grande fermezza che gli veniva dalla fede.
Con prontezza aveva introdotto le modifiche apportate dal Concilio Vaticano II facendole conoscere mediante conferenze e dibattiti aperti a tutti.
Ha cercato di dare un senso umano e spirituale al boom economico di quei tempi, indicando più volte la strada da seguire per uno sviluppo equilibrato dell’intera popolazione.
Si è dedicato con tutte le sue forze ai restauri e alla costruzione di tante opere.
In primo luogo la ristrutturazione della Basilica, con la riparazione del tetto e del cassettonato ligneo, quella mestosa della Casa canonica, delle lunette di Giovanni da San Giovanni, del campanile della chiesa romanica di San Niccolao a Monsummano Alto e di altri edifici di pertinenza della Parrocchia.
Tra i suoi tanti meriti va incluso anche quello della costruzione della Cripta, dove si trova la fonte miracolosa, iniziata il 9/6/1962 ed ultimata il 24/8/1963 con una solenne inaugurazione.
Nella sua lunga attività pastorale ha favorito la creazione della locale sezione della Misericordia che l’8/5/1977 veniva fondata e ne promuoveva il volontariato.
Egli si interessava sempre di tutti e di ogni fatto che poteva accadere e a chi aveva bisogno di aiuto non voltava mai la spalle.
Era molto rispettoso verso tutti e trattava i dipendenti con bontà.
Del clero e delle religiose, che hanno operato con lui per un lungo periodo di tempo, ne posso ricordare solamente alcuni perché sono stati molti in tutti quegli anni.
Il canonico Gino Marchesini, incaricato della Rettoria del rione Le Case, l’ultracentenario don Nello Magrini, per tanti anni cappellano sul colle di Monsummano Alto, padre Domenico Abbrescia, suor Franca Baroni addetta alla sagrestia e il diacono professor Ulderigo Testai.
Nella sua attività era riuscito a circondarsi anche di tanti laici esperti e capaci.
Ricordo soltanto alcuni nomi fra i suoi numerosi collaboratori: Alfio Magrini, eccellente organizzatore di eventi cittadini sonori, teatrali e non solo; la maestra e catechista Luisa Billi, presenza sempre attiva in Parrocchia; la signorina Lidia Ferri, terziaria francescana; l’architetto Riccardo Berretti ed altri ingegneri e geometri; fra i sagrestani i due factotum Giuseppe Plebani ed Alfonso Razzano.
UNA TESTIMONIANZA
Come tanti altri che sono rimasti affascinati dalla sua figura di sacerdote ed hanno scoperto in questa chiesa la loro vocazione, anch’io mi sono messo alla sua sequela come meglio ho potuto.
Ho avuto l’onore di praticarlo per venticinque anni servendolo come accolito durante le celebrazioni religiose e portando la comunione agli ammalati.
Primo fra tutti i parroci dei dintorni, aveva acquistato un computer con l’intenzione di immettervi tutti i dati anagrafici dei parrocchiani presenti sui registri cartacei.
Secondo il suo desiderio le schede create, sia quelle individuali che quelle del nucleo familiare, venivano aggiornate registrandovi i sacramenti ricevuti, come pure i decessi, le immigrazioni e i trasferimenti degli oltre diecimila fedeli, quanti allora ne contava la Parrocchia.
Con affetto mi dava sempre tanti consigli preziosi che non mancavo di seguire.
Un giorno, avendo saputo che mi applicavo tanto nello studio e nelle letture, mi ha detto: “Vincenzo ricorda che è meglio un asino vivo che un dottore morto.”
Non potrò più dimenticare il suo suggerimento di quella volta.
Anche se secondo qualcuno egli richiedeva sempre soldi, però tutti devono riconoscere che non poteva essere superato in generosità.
Per gli altri infatti non badava mai a spese.
Al termine di ogni riunione del comitato, delle catechiste, del gruppo liturgico e via dicendo, portava sempre tutti quanti al bar a fare una consumazione, oppure periodicamente ci offriva qualche cena al ristorante o dentro la canonica.
A prepararci da mangiare in casa del Proposto c’era Romana Bartolini con la sua simpatica squadra di inservienti.
Quando poteva, e compatibilmente con le condizioni atmosferiche, anziché stare nel suo studio, preferiva sedersi sulla panchina di pietra del cortile antistante l’ufficio, per poter dialogare più facilmente con i suoi parrocchiani o recitare il breviario.
In tutti quegli anni aveva tenuto un numero sterminato di conferenze e di catechesi.
Le omelie per lo più le teneva nei giorni festivi riuscendo a coinvolgere i presenti con il suo saper fare.
A volte per fare comprendere i concetti ai fedeli si esprimeva con delle battute che fra gli ascoltatori suscitavano qualche sorriso di vero gusto.
Nei giorni feriali teneva le omelie solo in occasioni particolari, non volendo trattenere a lungo i fedeli oberati sempre da impegni.
Affermava a tal proposito che per convertire gli uomini non serviva moltiplicare le nostre parole, quanto piuttosto la potenza divina e semmai il nostro esempio.
Frequentemente era solito affermare che la scienza e la tecnica non devono prendere il posto di Dio nel cuore degli uomini, perché colui che ci salva veramente è uno solo, il Signore Gesù Cristo.
L’attualità di queste sue affermazioni è sotto gli occhi di tutti.
In sette mesi, e non si sa per quanto tempo ancora, abbiamo continuato a vedere persone infette dal virus Covid 19 soccombere su tutto il pianeta e senza alcun rimedio ad oggi da parte degli scienziati.
Diffondeva costantemente la devozione a Maria Santissima della Fontenova, Patrona del Comune di Monsummano Terme e della diocesi di Pescia.
A lei si rivolgeva con l’ardore dimostrato da intere generazioni di monsummanesi che prostrandosi in ginocchio davanti alla sua sacra immagine avevano ottenuto grazie su grazie, in tutte le pubbliche e private calamità.
Quando è giunta la notizia della sua morte avvenuta presso l’ospedale di Pistoia, siamo rimasti tutti colpiti e senza parole come accade quando crolla la colonna portante di un fabbricato.
Un simile stupore l’ho provato leggendo i versi dell’ode manzoniana “Il Cinque Maggio” per la morte di Napoleone:
“Così percossa, attonita/ La terra al nunzio sta,/ Muta pensando all’ultima/ Ora dell’uom fatale;/ Né sa quando una simile/ Orma di piè mortale/ La sua cruenta polvere/ A calpestar verrà.”
Ora don Giorgio si trova lassù nei “campi eterni” del cielo sicuramente accanto a Maria Santissima della Fontenova e a nostro Signore, “Il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola”.
Possiamo essere certi che egli con noi continua a pregare per tutte le necessità materiali e spirituali che ci affliggono, inclusa quella di sconfiggere la terribile epidemia che ci impedisce ogni relazione umana ed ogni regolare attività.
Enzo Vincenzo Bellina
(Tomba di don Giorgio presso il cimitero di Monsummano Terme)