La pera picciòla
La pera picciola è un prodotto raro, peculiare del Monte Amiata, catalogata dal botanico Augusto De Bellis come Pyrus communis var. Achras-Gaertner e dal 2009 inserita nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali della regione Toscana (D. Lgs. 173/98). L’unico documento che trattava di questo frutto era l’Enumeratio quarundam rariorum planturum del botanico del XVIII secolo Pier Antonio Micheli conservato presso l’Università botanica di Firenze. Così viene descritta: “ Picciolona: Pyrus fructus estivo, globoso, sessile, subflavo, maculeo vel libureo griseis compresso, pediculi longo, il frutto è alto poco più di un’oncia e mezzo largo, dalla parte di sotto chiatto cioè piano e nel mezzo concavo, dalla parte di sopra tondo, ma nell’estremità un pochino eccitamente appuntato, dove termina in un picciolo lungo due oncie e poco più o poco meno; il colore è verde chiaro , tutto chiazzato di macchioline ineguali di color bigio, le quali core lo rendono un poco ruvidetto al tatto, ambedue l’estremità del frutto sono macchiate, più d’ogni altra parte di colore. Il sapore non è dispiacevole, ma poco dolce, essendo oltre di ciò la sua polpa granellosa umida. A 20 di Agosto, senza nome, dal fruttivendolo di S. Spirito e matura e ingiallita a 15 di 7bre in Mercato”.
Ma vediamo le caratteristiche di questo frutto riportando alcuni passi significativi scritti dal professor Giancarlo Scalabrelli, Ordinario del Dipartimento di Coltivazione e Difesa delle Specie Legnose dell’università di Pisa, tratti dal libro "Pera picciòla, grande in cucina" a cura di Aurelio Visconti, ed. Effigi
Aspetti botanici
La pera picciòla, appartiene alla famiglia delle rosacee genere Pyrus, specie communis, secondo De Bellis (2008) var. achras (Gaertner), la quale avrebbe una stretta parentela con un’altra specie spontanea: il Pyrus nivalis Jacq., che occupa un areale di vegetazione limitato all’arco alpino e con la quale con la quale condivide molti aspetti morfologici, come la dimensione, la lunghezza del peduncolo e l’altimetria. L’autore ipotizza che il pero picciòlo sia una specie pura di cui è stato ricostruito un taxon abbandonato da anni dai botanici attuali, forse perché la specie si è estinta sul resto del territorio nazionale o comunque non più rinvenuta. (...)
Non si hanno notizie storiche certe sulla presenza della pera picciòla in Toscana o in altre zone, si può ipotizzare che il suo nome sia derivato dal fatto che è una pera “piccola”. (...)
La rarità di questa pianta e l’areale limitato, sono forse la spiegazione del fatto che il frutto non sia mai stato preso in considerazione dalle trattazioni che hanno riguardato il pero. Ad esempio fra le 115 pere immortalate da Bartolomeo Bimbi nei dipinti conservati a Poggio a Caiano o nei disegni di botanici del passato che hanno operato a Siena e dintorni, tra cui Mattioli (1568) e Gallesio (1817-1839), come osservato più recentemente da Dei e Tassi (2008), non c’è nessuna pera trottoliforme con lungo peduncolo. Anche nella monografia delle principali varietà di pero coltivate in Italia (Morettini et al., 1967), tale frutto non viene menzionato. I’unico riferimento attendibile sembra quello indicato nel XVIII sec. da Pier Antonio Micheli. Il fatto che la sua coltivazione fosse limitata ad una ristretta area senese fa sorgere l’ipotesi che la pera riportata nel quadro conservato alla Pinacoteca Nazionale di Siena (Pietro di Francesco Orioli, Madonna con Santi) fosse proprio la pera picciòla. La somiglianza è davvero sorprendente, anche se nel vassoio ci sono diverse qualità di frutta che hanno una maturazione differente, tra cui le ciliegie.
Quello che è certo è che si tratta di un albero la cui presenza è segnalata solo in zone circoscritte del Monte Amiata, dove sono presenti alberi sparsi di grandi dimensioni, alcuni quasi monumentali che si collocano soltanto sopra una determinata altitudine, in un areale strettissimo, limitato alla fascia pre-boschiva che va da Abbadia San Salvatore al Vivo d,Orcia, a circa 800 s.l.m.
La varietà potrebbe avere un’antica origine, a giudicare dalla presenza di piante secolari, che sopravvivono in un habitat limitrofo, la cui conservazione è avvenuta grazie all’innesto sui peri selvatici. Sull’Amiata il frutto rappresentava una importante risorsa alimentare oltre alle castagne. Gli alberi da cui si ottengo, sono normalmente isolati e non potati, raggiungono elevate dimensioni (fino a 6 metri di altezza), producono soprattutto corti rametti (lamburde) che vengono mantenuti senza potatura.
Pianta di pera picciòla in territorio di Fonte Magria
Ovviamente, in queste condizioni le piante vanno soggette ad alternanza produttiva, con annate di carica e di scarica. Studi sono in corso per determinare il livello di auto compatibilità. In ogni caso il territorio è ricchissimo di perastri e di peri franchi nati da seme, che probabilmente sono sufficienti a garantire un adeguato livello di impollinazione e quindi la normale fruttificazione. Altro aspetto importante è che sulle piante sparse non vengono effettuati trattamenti antiparassitari anche in considerazione del fatto che la varietà ha mostrato dl possedere elevate doti di rusticità e una naturale tolleranza agli attacchi parassitari. In particolare è raro osservare la presenza del baco della pera (Cydia pomonella), forse a causa dell’ambiente inospitale per il patogeno. Il fatto che i frutti siano indenni da questo parassita, li rende particolarmente serbevoli e idonei a essere utilizzati sciroppati o in cucina senza il rischio di cattive sorprese. Tenendo conto che il consumatore predilige cibi dotati di maggiore salubrità, si può ritenere la pera picciòla di grande interesse alimentare.
E’ da considerare una pera invernale, in quanto resiste sulla pianta fino al sopraggiungere dei primi freddi autunnali, senza raggiungere peraltro la piena maturazione in pianta.
Al momento della raccolta mostra una buccia verde di “forma b”, simile alla cultivar “Goodale", che presenta una elevata incidenza di semi vani (fino al 50% in alcuni campioni). La polpa è di colore bianco, possiede elevata consistenza ed è ricca di sclereidi, il sapore è aspro e allappante. Il frutto crudo è praticamente immangiabile, pertanto è classificata tra le pere da cuocere; infatti, dopo la cottura, è possibile consumarla e apprezzarne il gusto, in quanto perde l’astringenza, conservando una polpa compatta e gradevole, che si abbina facilmente a diversi cibi, mai stucchevole. I frutti sono caratterizzati da un’ottima conservabilità: infatti, se mantenuti in ambiente idoneo, anche dopo quattro mesi presentano buona freschezza e sapidità. Inoltre, possono essere sciroppati e utilizzati successivamente per il consumo diretto o per la preparazione di un’ampia gamma di piatti. La pera picciòla ha avuto una notevole importanza nell’economia familiare della zona amiatina dei primi del Novecento, data la sua tardiva epoca di maturazione, il suo consumo era associato a quello della castagna, altra importante risorsa alimentare, assieme alla quale veniva bollita, divenendo mangiabile e gradevole. A partire dagli anni Cinquanta, si sono diffusi altri metodi di trasformazione e conservazione della pera picciòla destinati all’uso domestico, come il liquore (Ratafià d’autunno) e le pere picciòle sciroppate alla vaniglia. (...)
La scoperta culturale della pera picciòla, proprio quando il progresso, il miglioramento, socio-economico e la grande disponibilità di nuovi alimenti stava portando all’abbandono definitivo della sua coltivazione, è stata possibile perché il suo utilizzo non è mai scomparso, almeno nel ricordo. Grazie all’interessamento dell’imprenditoria amiatina, oggi se ne ripropone l’utilizzo in chiave moderna, come alimento salubre tipico, di nicchia e di filiera corta. Il territorio interessato alla produzione: è quello del Comune di Abbadia San Salvatore e del Vivo d’Orcia, con una produzione stimata di circa 5 quintali , utilizzata in via preferenziale nella zona della produzione.