di Claudio Contorni
La denominazione ufficiale dell’Ordine è I Poveri Cavalieri di Cristo e del Tempio di Salomone; ciò in considerazione del fatto che la loro sede a Gerusalemme si trovava sulla vetta del Monte Moriah, dove era stato eretto il Tempio di Salomone e ivi era rimasto fino alla sua distruzione per mano babilonese nel 587 a C. La ragione per la quale nove nobili cavalieri della Champagne si recarono a Gerusalemme va ricercata probabilmente nel momento di crisi che stava attraversando l’occupazione della Terrasanta. Lo scopo delle crociate era stato quello di conquistare Gerusalemme, infatti inizialmente c’era stato un grande movimento di fede al quale avevano partecipato dal povero, desideroso di dare un senso alla sua vita di stenti, al principe, certo di trarre comunque vantaggi dalla conquista della Terrasanta, dal delinquente, che avrebbe riscattato la sua vita peccaminosa, al mistico, che avrebbe realizzato il sogno di vivere i luoghi della vita di Cristo. Vi fu una prima crociata “popolare” capeggiata da Pietro l’Eremita che diede il senso della superficialità e dell’approssimazione con la quale il popolo di Dio si era mosso ritenendo che la sola incrollabile fede avrebbe abbattuto le mura di Gerusalemme come quelle di Gerico. La spedizione, tanto piena di sola buona volontà, non potè che risolversi in un insuccesso. Per la conquista del Santo Sepolcro fu necessario che si unissero gli eserciti di Goffredo di Buglione, Roberto di Fiandra, Raimondo di Saint-Gilles e Boemondo di Taranto che, convergendo su Gerusalemme da vari punti, la conquistarono nel 1099. Goffredo di Buglione fu proclamato re ma, in linea con il pio spirito che aveva mosso gli eserciti, volle essere chiamato difensore del Santo Sepolcro; morì dopo solo poco più di un anno. Baldovino I, successogli, ebbe il merito di estendere le conquiste a Beirut, Sidone, Transgiordania e Tripoli. Tutto era abbastanza semplice in quanto ancora gli arabi, divisi e sopraffatti da un esercito che si muoveva sotto la forza di una fede prorompente, non si erano organizzati in una vera e propria, anche per loro, guerra santa. Quando ciò avvenne era re Baldovino II che a malapena, fra trattative ed accordi diplomatici, riuscì a mantenere i territori occupati. Le strade erano diventate pericolose tanto che i pellegrini, come gli stessi eserciti, erano spesso vittime di imboscate. Fu allora che Hugh de Payns, assieme ad altri otto cavalieri, giunse alla corte di Baldovino II pronto a mettersi a disposizione per la difesa dei luoghi santi e per garantire l’incolumità dei pellegrini che con enormi sacrifici erano giunti alla loro meta. Era il 1119 e Hugh de Payns ed i suoi compagni incarnavano il vecchio spirito cavalleresco che aveva fra le regole la protezione dei deboli, la castità del corpo e dello spirito e la difesa della Chiesa a costo della propria vita. Tutto ciò non poteva che essere di giovamento in quel momento così difficile, tanto che Baldovino II di buon grado li ospitò in un’ala del suo palazzo che era la moschea di Al-Aqsa trasformata e precisamente in quella parte adiacente alla famosa Cupola della Roccia che contrassegnava il luogo in cui si trovava un tempo il Tempio di Salomone. Qui comincia una prima divisione fra gli studiosi; c’è infatti chi ritiene che i nove cavalieri rimasero per quasi sette anni nelle loro “stanze” senza uscirne e senza quindi svolgere quel compito di difesa dei pellegrini, compito d’altronde ben svolto dai Cavalieri di San Giovanni, e c’è chi invece ritiene che gli adepti siano diventati ben più numerosi e ciò soprattutto in considerazione del fatto che Baldovino II lasciò a disposizione dei Templari il suo ex palazzo quando trasferì nel 1120 la sua residenza nella torre di Davide. Tutto ciò dimostrerebbe che l’ordine, circa un anno dopo la sua fondazione, già aveva bisogno di maggiori spazi. Fu comunque senz’altro un Ordine che già dagli inizi aveva un suo scopo ed un disegno ben preciso che fu raggiunto infatti in breve tempo: quello di acquisire una tale rinomanza e potere da dirigere le sorti dell’impero d’occidente. Il suo nascere, d’altronde, ed il suo sviluppo non fanno che ricordarci il nascere e lo sviluppo dell’ordine cistercense del quale aveva gli stessi fautori e sostenitori. Non è certamente un caso che San Bernardo si presentasse con altri monaci al convento appena sorto di Citeaux, assumendone gradatamente quell’importanza che conosciamo, così come Hugh de Payns si presentò con altri fratelli a Baldovino II, assumendo quel ruolo di defensor fidei unico forse nella storia. Non è certo un caso che tutti gli uomini che ruotano attorno al “mito templare” appartengano alla regione della Champagne e che la storia del Graal sia nata lì, come pure i personaggi che per trecento anni diressero la storia della Chiesa e del mondo d’occidente. Nel 1127 il Gran Maestro torna in Europa e si presenta a papa Onorio II con l’intento di spingerlo ad accettare fra le fila della Chiesa quel modo unico di concepire e di vivere la difesa del cristianesimo, di accettare fra gli ordini regolari l’ordine monastico-militare dei Cavalieri del Tempio. Il papa lo ascoltò con attenzione e, dicono i testi, con riverenza, ma incaricò il cardinale Matteo di Albano affinché si occupasse del caso ed esaminasse la possibilità di inserire nelle schiere monastiche un tale ordine militare. Nel frattempo Hugh de Payns aveva contattato, dietro consiglio di Baldovino II, Bernardo di Chiaravalle. Il 14 gennaio del 1129 il Gran Maestro, assieme ad altri fratelli, si presentò al Concilio di Troyes, appositamente convocato per esaminare la questione. Erano in ballo interessi altissimi della Chiesa, primo fra tutti la possibilità di salvare il Santo Sepolcro grazie ad un ordine che, nonostante i dettami del cristianesimo, annegava nel sangue degli infedeli la gloria di Cristo; ma probabilmente a quei tempi non si andava troppo per il sottile e la ragion di stato prevaleva su ogni cosa. La posta in palio poi, ovviamente, era altissima; si trattava di riaffermare il potere dell’impero d’occidente, il potere della Chiesa Cattolica sulla Chiesa di Costantinopoli. Quando Hugh de Payns si presentò al Concilio non dovette essere così umile e misero nel vestire come alcuni vorrebbero, ma fiero nella sua semplicità, ricco nella sua modestia, e sopratutto determinato nel farsi portavoce di una necessità estrema, quella della difesa del Santo Sepolcro e della fede ad ogni costo. Al Concilio era stato dato il massimo dell’importanza per ratificare una questione di così elevato interesse. Il prologo della Regola dei Templari elenca i nomi dei partecipanti al sinodo: il cardinale Matteo d’Albano, legato del Papa in Francia, che svolse funzione di presidente, l’arcivescovo di Reims Rinaldo di Martignè, l’arcivescovo di Sens Enrico Sanglier, con i loro rispettivi vescovi suffraganti: Gocelin di Vierzy, vescovo di Soissons; Stefano di Senlis, vescovo di Parigi; Attone, vescovo di Troyes; Giovanni, vescovo di Orléans; Ugo di Montaigu, vescovo di Auxerre; Burcardo, vescovo di Meaux; Erleberto, vescovo di Chalons; Bartolomeo di Vir, vescovo di Laon; Rinaldo di Semur, abate di Verdelai (Vézelay), futuro arcivescovo di Lione e legato pontificio; Stefano Harding, abate di Citeaux; Ugo di Macon, abate di Pontigny; Guido, abate di Troisffons (Trois-Fontaines); Orsino, abate di Saint-Rémy di Reims; Erberto, abate di Digione; Guido, abate di Molesmes e Bernardo, abate di Clairvaux. Come consiglieri civili e militari parteciparono Teobaldo IV il Grande, conte di Champagne, Brie e Blois, Guglielmo II conte di Nevers, Auxerre e Tonnere, ed Andrea di Beaudemant. Per i Templari si presentarono il Gran Maestro Hugh de Payns, Goffredo di Saint-Omer, Payen di Montdidier, Arcibaldo di Saint-Amand e i fratelli Goffredo e Rolando Bisot. Interessante senza dubbio deve essere stata l’esposizione del Gran Maestro circa la nascita dell’Ordine, dei suoi intendimenti, dei suoi costumi e delle sue finalità. Hugh de Payns sappiamo aveva una grande capacità dialettica ed era affascinante per la sua personalità; poi, non dimentichiamo, aveva comunque sempre presente quel Bernardo che gran ruolo svolse nella vicenda. Il sinodo ascoltò attentamente e ovviamente non fece che apportare le modifiche che ritenne necessarie ed accettare ciò che ritenne consono; come qualcuno ha giustamente detto quindi il Concilio non dette una regola, in quanto questa già esisteva e fu quindi solo “ritoccata” in quelle parti che si ritenne necessario; ed in ciò fu incaricato Bernardo di Chiaravalle che redasse il testo. Il testo della Regola e degli Statuti dei Cavalieri Templari non è omogeneo e ne conosciamo l’edizione ottocentesca di Henri de Curzon, tratta da tre copie del XIII e XV secolo conservate a Roma, Parigi e Digione. La Regola inoltre si compone di quattro parti cronologicamente distinte:
1. la Regle Primitive, approvata dal Concilio di Troyes nel 1128;
2. i Retraits, che sono una raccolta di usi e costumi risalente al 1165 ca.;
3. gli Statuts hièrarchiques che trattano delle cerimonia (1230- 40) ;
4. gli Egards, dedicati alla disciplina giuridica (reati e pene), risalenti al 1257-67.
La Regola subordinava il Tempio all’autorità ecclesiastica stabilendo che i Templari erano passibili di processo da parte delle autorità ecclesiastiche; venivano altresì indicati uffici celebrativi, digiuni e feste obbligatorie, massima semplicità nel vestire, se si esclude l’obbligo dei fratelli conversi di indossare sempre un mantello bianco simbolo della loro innocenza (al quale sarà aggiunta in seguito una croce rossa), disciplina severissima, come ad esempio il mangiare in due in un'unica scodella per umiltà ed in assoluto silenzio.
Sorvoliamo al momento una disamina della Regola per continuare a raccontare gli avvenimenti che seguirono al Concilio di Troyes. I Cavalieri del Tempio si recarono in varie regioni, come per farsi riconoscere a fare raccolta di adepti e sostegno economico che in effetti fu consistente, soprattutto in donazioni di terre. In pochi anni avevano raccolto consensi e terre in Linguadoca, Inghilterra, Spagna e Portogallo. Viene anche qui da fare subito una riflessione, come precedentemente per la rapida importanza assunta dai cistercensi, forse la raccolta di tali e tanti consensi era stata già predefinita ad alti livelli. E’ comprensibile che il rischio di un’invasione da parte degli infedeli (specie in Spagna e Portogallo) avesse facilitato, se così si può dire, il dare sostegno ad un Ordine che si presentava integro, leale e, soprattutto, portavoce del più alto grado della cavalleria; ma meno comprensibile è come, improvvisamente, tale ordine abbia raggiunto ed espresso un potere che andava ben al di là dell’interesse religioso per investire quell’interesse economico che fu forse la causa della sua rovina. Fra l’altro non si può dire che la maggior parte dell’opinione pubblica poteva essere schierata con chi uccideva un uomo, cosa contraria non solo all’etica cristiana ma allo stesso diritto canonico che espressamente vietava lo spargimento di sangue, seppur di un infedele. A risolvere il problema fu, ancora una volta, chiamato il teorico, per così dire, del potere templare, ovvero quel Bernardo che non solo aveva particolarmente insistito per il riconoscimento dell’Ordine, ne aveva seguito i lavori a Troyes e ne aveva stilato la Regola, ma che questa volta, dietro insistenza pare dello stesso Hugh de Payns risolse la questione scrivendo appositamente il “De Laude novae militiae” nel quale esaltava i costumi e l’etica dei cavalieri templari contro la cavalleria del tempo che, ormai priva di significati spirituali, si basava solo sullo scintillio delle armature; la cavalleria celeste dei Templari andava a sostituire a buona ragione la cavalleria secolare. Così facendo il nuovo Ordine assunse le caratteristiche della necessità e della contrapposizione alle forze del male che dovevano essere scacciate e uccise ad ogni costo. L’esaltazione dei Templari nel De laude non fu priva di accenti esageratamente esaltanti la semplicità e l’umiltà dei Poveri Cavalieri di Cristo; in una parola se ne faceva gli effettivi milites Christi. In un passo San Bernardo si rivolge così ai cavalieri laici: “Voi appesantite i vostri cavalli con tessuti di seta, coprite le vostre cotte di maglia con chissà quali stoffe, dipingete le vostre lance, i vostri scudi e le vostre selle, tempestate d’oro, d’argento e di pietre preziose i finimenti dei vostri cavalli. Vi adornate sontuosamente per la morte e correte alla vostra perdizione con una furia senza vergogna e una insolenza sfrontata. Gli orpelli sono degni dell’abito di un cavaliere oppure della vanità di una donna? Credete che le armi dei nemici temano l’oro, risparmino le gemme, non trapassino la seta? D’altronde, ci è stato spesso dimostrato che tre cose principali sono necessarie in battaglia: che il cavaliere sia pronto a difendersi, rapido in sella, sollecito nell’attacco. Ma voi, invece, vi acconciate come delle femmine, avvolgete i piedi in tuniche lunghe e larghe, nascondete le mani delicate e tenere in maniche ampie e svasate. E così infagottati vi battete per le cose più vane, come un corruccio ingiustificato, la brama di gloria o la cupidigia di beni temporali”. Ulteriore riprova del potere che l’Ordine aveva assunto anche nei confronti della Chiesa fu la bolla pontificia Omne datum optimum, emanata da papa Innocenzo II il 29 marzo 1139, nella quale per la prima volta un testo pontificio parla esplicitamente della missione dei Templari: “La natura vi aveva creati figli della collera e seguaci dei piaceri del mondo; ma ecco che, per la grazia che spira su di voi, avete ascoltato attentamente i precetti del Vangelo, bandito le pompe mondane e la proprietà personale, abbandonato la facile strada che conduce alla morte e scelto in umiltà il duro cammino che porta alla vita […]. Perché sia evidente che bisogna considerarvi effettivamente come soldati di Cristo, portate sempre sul vostro petto il segno della croce, sorgente di vita […]. E’ Dio stesso che vi ha costituiti difensori della Chiesa e avversari dei nemici di Cristo”. Sono passati solo pochi anni dal Concilio di Troyes quando appunto il Papa stabilisce, fra l’altro, che l’Ordine dei Templari è sottoposto direttamente all’autorità pontificia e non più a quella del Patriarca di Gerusalemme, come stabilito inizialmente. Questo sarebbe poco se non si aggiungesse che il Gran Maestro ed il Capitolo venivano ora ad avere la responsabilità com-pleta ed assoluta della gestione e conduzione dell’Ordine, in pratica l’indipendenza, ed il privilegio, già dei Cistercensi, di non versare le decime per i loro possedimenti ma addirittura di riscuoterle previo consenso del Vescovo. Questa fu forse la cosa peggiore che potesse essere fatta ai prelati, cioè ridurre le loro entrate, tanto che fu causa di continui litigi che richiesero spesso l’intervento della stessa Santa Sede. Fu una nuova bolla pontificia, la Militia Dei del 7 aprile 1145 che cercò di sanare i conflitti confermando e precisando i privilegi dei Templari. Il Tempio veniva autorizzato a possedere proprie chiese e propri cimiteri, ma ancor più i monaci, i loro vassalli e fittavoli erano indenni da sentenze di scomunica o interdetto emesse dai vescovi; solo il Papa poteva esercitare nei loro confronti tale potere. Tutti questi benefici non fecero altro che alimentare e far covare sotto la cenere sordi rancori che si sarebbero nel tempo liberati fino a divampare nel rogo che devastò l’Ordine Templare. Ma al momento tutto era stato così ben congeniato da fare esplodere un vero caso; i nove cavalieri iniziali erano diventati una milizia al cui potere si piegavano papi e re. E la commistione fra il potere spirituale e temporale si era concretizzata col supporto del braccio intellettuale di San Bernardo e dei Cistercensi e quello armato di Hugh de Payns e di tutta la nobiltà che si era schierata con lui. Era prassi comune che chiunque entrasse in convento o nella milizia dovesse dare i propri beni alla causa comune. Ciò contribuì non poco a creare quel patrimonio vastissimo che assieme alle donazioni pontificie o imperiale costituì al culmine del potere templare un vero e proprio impero. Nel Diplomatico San Salvatore del Monte Amiata troviamo un atto datato 2 maggio 1287 nel quale il monastero vende a Giovanni Salimbeni e ai figli di Alessandro Salimbeni dei terreni posseduti “nella corte e distretto di Campiglia e nella fortezza di Campiglia e nel terreno e nel territorio di Briccola. Tali proprietà ci pervennero in virtù dell’oblazione che don Sinibaldo di Visconte, fratello del signor Ugolino di Visconte, fece di sé e dei suoi beni a don Manfredi abate del monastero, quando Sinibaldo entrò nel monastero stesso”; don Manfredi, o Manfredo, fu eletto abate nel 1240.