Ipazia

415, Alessandria in Egitto, provincia dell’impero romano. Ipazia, figlia del filosofo Teone, pubblicamente maestra di filosofia e astronomia, privatamente sacerdotessa pagana e teurga, viene brutalmente assassinata da una banda armata di cosiddetti “monaci”, i parabalani. Perché?

L’assassinio è stato ispirato ai parabalani dal vescovo di Alessandria, Cirillo. Dal 380 (Editto di Tessalonica) il cristianesimo è diventato religione di stato e unico culto ammesso nei territori dell’impero romano. L’ambizioso e intollerante vescovo Cirillo interpreta l’editto dell’imperatore Teodosio nel modo più intransigente e pretende che tutte le componenti etnico – religiose non cristiane della comunità civile di Alessandria siano “fisicamente” eliminate. Nel perseguire questo progetto politico si scontra con il prefetto augustale della città, Oreste. Oreste proviene dall’antica élite pagana che si è convertita al cristianesimo per entrare a far parte della classe dirigente dell’impero cristianizzato. Anche se per ragioni di opportunismo, Oreste è dunque cristiano e battezzato tanto quanto Cirillo. Tuttavia, in qualità di rappresentante del governo imperiale, deve farsi garante dell’esistenza e delle convivenza pacifica di tutte le comunità presenti in Alessandria.

Per la sua sapienza, per la franchezza del suo parlare, per l’abitudine alla tolleranza che le viene dal modo di vivere ellenico e soprattutto per il suo carisma sacerdotale, l’aristocratica Ipazia gode di un grande prestigio presso il ceto dirigente alessandrino ed esercita un’influenza particolare sul prefetto Oreste. Quando il vescovo Cirillo se ne avvede, morso da un’invidia irrazionale, concepisce l’assassinio della donna e lo commissiona ai parabalani, che lo eseguono in maniera oltremodo efferata nella primavera del 415, in tempo di Quaresima.

Ipazia: il contesto e le fonti

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La "vera storia" di Ipazia

a cura della 2AES e 2DSU

 Anno Scolastico 2021/ 2022


Narra Socrate Scolastico, vissuto fra IV e V secolo:

C’era una donna allora ad Alessandria, il cui nome era Ipazia. Era figlia di Teone, filosofo della scuola di Alessandria, ed era arrivata a tale vertice di sapienza da superare di gran lunga tutti i filosofi della sua cerchia.

Racconta Suida nel X secolo:

Essendo per natura più dotata del padre, non si fermò agli insegnamenti tecnico - matematici che lui praticava, ma si diede alla filosofia vera e propria, e con valore […].

Siamo ad Alessandria d’Egitto fra IV e V secolo. Qui convivono in uno stato di tensione tre comunità religiose: quella dei pagani che comprende l’antica aristocrazia greca e la rappresentanza del governo romano, la comunità cristiana e la comunità ebraica.

Nel 380 l’Editto di Tessalonica, emanato dall’imperatore romano Teodosio, ordina ai popoli sottomessi a Roma di abbracciare la fede cristiana. Attraverso decreti successivi l’intolleranza contro il paganesimo arriva fino ad Alessandria d’Egitto la quale godeva da antica data di speciali privilegi relativi ai culti locali.

Per adempiere ai decreti teodosiani il vescovo di Alessandria Teofilo iniziò una sistematica campagna di distruzione dei templi pagani. Ne fecero le spese il Serapeo, santuario del dio Serapide, e la preziosa biblioteca che in esso era conservata, la Serapiana; tempio e biblioteca vennero entrambi distrutti dai cristiani nel 392. Nel 412, alla morte di Teofilo, divenne vescovo di Alessandria suo nipote Cirillo, malgrado l'opposizione di molti che lo giudicavano violento e autoritario come lo zio. Cirillo perseguitò soprattutto gli Ebrei, colpevoli di essere gli assassini di Cristo, sino a quasi annientarne la presenza nella città. Divenuto vescovo e patriarca di Alessandria, secondo lo storico Socrate Scolastico Cirillo acquistò «molto più potere di quanto ne avesse avuto il suo predecessore» e il suo episcopato «andò oltre i limiti delle sue funzioni sacerdotali». Questo accadde anche perché, come suo zio Teofilo, Cirillo disponeva di una milizia di cosiddetti monaci, i parabalani, pronti a supportare con le armi la sua politica aggressiva. A causa delle sue ambizioni il vescovo Cirillo si scontrò con il prefetto romano Oreste. Oreste si era fatto battezzare come tutti coloro che aspiravano a far parte della classe dirigente, ma al tempo stesso voleva garantire l’esistenza di tutte le componenti etniche che costituivano la comunità cittadina di Alessandria e perciò si opponeva ai piani di Cirillo.

Ipazia, che per la sua sapienza e il suo carisma era punto di riferimento della classe dirigente, venne a trovarsi nel mezzo di questo scontro e ne rimase vittima.

Spiega Silvia Ronchey nel suo saggio Ipazia. La vera storia:

Il contrasto tra Ipazia e Cirillo è stato tradizionalmente letto nei termini di un conflitto fra religioni e tra opposte «filosofie» o visioni del mondo [...].

Ma questo non è vero o lo è solo in parte. Il dramma è politico. [...] Gli elementi in conflitto non sono tanto paganesimo e cristianesimo quanto le classi dirigenti (locale e romana), le categorie sociali (antica aristocrazia, nuova nomenklatura ecclesiastica), i bellicosi gruppi etnici [...].


Ma chi era veramente Ipazia?

Racconta Suida nel X secolo sintetizzando una fonte del VI secolo, Esichio:

[Ipazia era] eloquente e dialettica nel parlare, ponderata e piena di senso civico nell’agire, così che tutta la città aveva per lei un’autentica venerazione e le rendeva omaggio. E i capi politici venuti ad amministrare la polis erano i primi ad andare ad ascoltarla a casa sua [...]. Perché, anche se il paganesimo era finito, comunque il nome della filosofia sembrava ancora grande e venerabile a quanti avevano le più importanti cariche cittadine.

Riferisce Socrate Scolastico contemporaneo di Ipazia:

Dall’educazione ellenica le derivavano un autocontrollo e una franchezza nel parlare che le permettevano di affrontare faccia a faccia, con la stessa imperturbabilità, anche i potenti […].

[…] non aveva paura di apparire alle riunioni degli uomini: per la sua straordinaria saggezza, tutti i maschi le erano deferenti e la guardavano, se mai, con stupore e timore reverenziale.

Ipazia incarnava due valori dell’antica aristocrazia di cultura greca: la parrhesia, cioè la capacità di parlare dicendo tutto con franchezza, e la hellenikè diagoghè, il modo di vita ellenico, fatto di cultura filosofica, impegno nella vita pubblica, tolleranza e pluralismo che venivano dall’abitudine al dibattito politico nell’antica agorà greca. Benché donna in un contesto di soli uomini, Ipazia si faceva ascoltare sia per come parlava sia per la moderazione delle sue opinioni.

Ipazia esercitava un’influenza particolare sul prefetto di Alessandria Oreste. Il vescovo Cirillo venne a saperlo e ne fu molto invidioso.

Racconta il pagano Damascio fra V e VI secolo:

Un giorno, accadde al vescovo dell’opposta setta, Cirillo, mentre passava davanti alla casa di Ipazia, di vedere una gran ressa di fronte alle sue porte, insieme di uomini e di cavalli, alcuni che entravano, altri che uscivano, altri ancora che sostavano lì in attesa. Avendo domandato che cosa mai fosse quella folla, e il perché di un tale andirivieni intorno a quella casa, si sentì dire che era il giorno in cui Ipazia riceveva, che la casa era la sua. Saputo ciò, Cirillo si sentì mordere l’anima: fu per questo motivo che organizzò ben presto l’assassinio di lei, il più empio di tutti gli assassìni.

Cosa insegnava veramente Ipazia? E perché il suo prestigio fu la causa della sua morte?

L’insegnamento di Ipazia era di duplice natura: vi era un insegnamento pubblico, sovvenzionato dallo Stato, paragonabile a quello di una docente universitaria di oggi, e uno privato che si svolgeva a casa sua. Come si legge nell’Epistolario di Sinesio, allievo e coetaneo di Ipazia, gli incontri in casa di Ipazia erano destinati a pochi iniziati e nel corso di essi venivano rivelati segreti che avevano a che fare con una specie di religione astrale, una religione in cui le divinità perdevano i loro caratteri antropomorfi per diventare corpi celesti e costellazioni riducibili a formule matematiche. Dagli appellativi con i quali Sinesio si rivolge a Ipazia nelle sue lettere si capisce che il ruolo di Ipazia nel corso di queste riunioni era quello di sacerdotessa o addirittura di teurga. Questo insegnamento privato era quello che attirava di più la classe dirigente di Alessandria d’Egitto e che provocò l’assembramento di uomini e cavalli davanti alla casa di Ipazia di cui racconta Damascio. Allo scoprire ciò l’ambizioso vescovo Cirillo venne colto da un’invidia irrazionale, concepì l’assassinio di Ipazia e lo commissionò ai parabalani nella primavera del 415, durante il periodo di quaresima.

Racconta il cristiano Socrate Scolastico:

E quegli zeloti, quegli esseri dallo spirito incandescente, il cui capo era un certo Pietro il Lettore, concepirono un piano e tesero un’imboscata alla donna una volta che stava rientrando a casa. La tirarono giù dalla carrozza e la trascinarono fino alla chiesa che prende il nome dal cesare imperatore. E qui la spogliarono delle vesti, la massacrarono usando cocci aguzzi, la fecero a brandelli. E trasportati quei resti al cosiddetto Cinaron, li diedero alle fiamme. E fu una non piccola infamia questa compiuta da Cirillo e dalla chiesa di Alessandria. Perché assassìni e guerriglie e cose simili sono qualcosa di totalmente estraneo allo spirito di Cristo.

Ipazia in CAA (Comunicazione Aumentativa Alternativa) 

A cura della Prof.ssa Annalisa Melfa e della 2DSU

Anno Scolastico 2021/ 2022

A cura della Prof.ssa Clara Grasso

Anno Scolastico 2021/ 2022