Scrissi il Cato maior de senectute per Tito Pomponio Attico, nel 44 a.C. poco prima della morte di Cesare. Ho presentato questa opera come un dialogo avvenuto intorno all’ 151 a.C. tra Catone il Censore, il quale era il personaggio principale, e Gaio Lelio Minore e Publio Cornelio Scipione Emiliano. Per aiutarvi ad avere una visione completa di quello che sto scrivendo sono ricorso a numerosi aneddoti e personaggi sia della cultura greca che quella romana, i quali rendono più chiara la mia opera.
Dopo la dedica che ho fatto a Tito, il dialogo inizia con lo stupore di Scipione e Lelio dovuto alla serenità con cui Catone vive la vecchiaia, infatti Catone in questa mia opera è considerato un illustre esempio di semplicità e dedizione alla patria, tipico del mos maiorum.
Catone inizia ad elaborare la sua tesi, volta a demolire e a confutare quattro critiche mosse contro la vecchiaia: molti pensano che l’attività politica sia preclusa agli anziani, ma anzi lui afferma il contrario valorizzando l’esperienza di una vita passata in questo campo; e per spiegare ciò cita se stesso e Appio Claudio sottolineando la loro forte partecipazione in Senato.
La seconda critica affermata anche da Milone è quella che agli anziani manca il vigore fisico e Catone osserva che non è un male così grande poiché questo può esser vero solo per gli oratori che hanno bisogno di vigore polmonare e vocale. Lui aggiunge anche che il vigore fisico è sostituito da una maggiore saggezza, infatti per Catone il vigore corporeo è passeggero e non assicura una superiorità. Invece ciò che assicura superiorità è l’ingegno e l’uomo deve affidarsi unicamente a quello.
Prosegue poi confutando la terza critica, ovvero quella in cui si pensa che nella vecchiaia vengano meno i piaceri dei sensi, e per fare ciò menziona un discorso di Archita di Taranto nel quale sottolineava la superficialità del piacere.
“Nullam capitaliorem pestem quam voluptatem corporis hominibus dicebat a natura datam, cuius voluptatis avidae libidines temere et ecfrende ad potiendum incitarentur”
“Egli diceva che nessuna peste è stata data agli uomini, da parte della natura, più funesta del piacere dei sensi e le passioni, avide di tale piacere, vengono spinti a goderne in modo cieco e avventato”
Lui inoltre aggiunge che in realtà in vecchiaia si raggiunge una maggiore serenità e ci si può dedicare alla filosofia, per la ricerca della reale felicità e del sapere, poiché afferma che il piacere ostacola il senno.
Infine l’ultima critica riguarda l’approssimarsi della morte, che costituisce il principale motivo d’angoscia in questa fase dell’esistenza. La visione di Catone riguardo la morte è una visione epicurea, infatti mette in considerazione che non ci sia nessuna alcuna forma di vita ultraterrena, oppure che questa sia una realtà felice per coloro che hanno fatto del bene in vita. Inoltre dice che associare la morte solo al periodo di vecchiaia è sbagliato perché non solo muoiono gli anziani bensì anche i giovani.
“Quid igitur timeam, si aut non miser post mortem aut beatu etiam futurus sum? Quamquam quis est tam stultus, quamvis sit adulescens, cui sit exploratum se ad vesperum esse victurum? Quin etiam aetas illa multo pluris quam nostra casus mortis habet; facilius in morbos incidunt adulescentes, gravius aegrotant, tristius curantur. Itaque pauci veniunt ad senectutem”
“Di cosa dunque devo aver paura, se dopo la morte sarò o non infelice o addirittura beato? D'altronde chi è tanto stupido, benché sia giovane, da essere certo di vivere fino a sera? Anzi proprio quella età, la gioventù, ha molte più occasioni di morte della nostra: i giovani contraggono le malattie più facilmente, più gravemente si ammalano, più difficilmente si curano: e così pochi giungono fino alla vecchiaia”
Infine, Catone passa al tema dell'immortalità dell'anima. Richiama per sommi capi le dottrine pitagoriche e platoniche sull'anima; quindi espone altri argomenti a favore di tale dottrina. Conclude che è proprio degli spiriti nobili e saggi attendere la morte con animo sereno, costituendo così un esempio per la maggioranza degli uomini; augura infine agli amici di poter raggiungere l'età avanzata e quindi di provare per esperienza ciò che hanno appena appreso dalle sue parole.