L’epistolario che ho scritto può essere diviso in 4 gruppi. Quello ad Attico contiene la bellezza di 424 lettere che il mio amico ha gentilmente pubblicato tra le altre. Le ho scritte in un periodo di tempo molto vasto, che va dal 68 al 44 a.C. Le ho scritte perché ne ho sentito la necessità, il bisogno, ho sentito il dovere di esporre i miei pensieri e le mie riflessioni ad un così caro amico. Come lui, ho reso partecipi anche i miei familiari, che compongono il secondo gruppo, e i miei amici attraverso all’incirca 426 lettere, in un periodo di tempo anch’esso molto lungo che va dal 62 al 43 a.C. In queste epistole ho trattato dei più svariati argomenti, dalla vita pubblica alla vita privata, dall’argomento politico alle più intime riflessioni.
Per quanto riguarda la mia vita pubblica ho espresso i miei pareri e le mie riflessioni non solo al mio caro amico Attico, ma anche ai miei familiari, sia in merito alla situazione politica a Roma, sia in merito al mio esilio, del quale non è necessario che spieghi il perché avvenne, dal momento che penso che tutti sappiano da chi e come fui costretto ad abbandonare la mia cara città natale.
Nelle lettere rivolte al mio amico Attico sono passato spesso da un argomento all’altro, come d’abitudine; non mi sono fatto problemi a raccontargli dei miei fatti personali, come la nascita di mio figlio, e delle mie intenzioni di difendere Catilina. Chissà cosa mi era passato per la testa… :” Iulio Caesare, C. Marcio Figulo consulibus filiolo me auctum scito salva Terentia. abs te tam diu nihil litterarum! ego de meis ad te rationibus scripsi antea diligenter. hoc tempore Catilinam competitorem nostrum defendere cogitamus. iudices habemus quos voluimus, summa accusatoris voluntate. spero, si absolutus erit, coniunctiorem illum nobis fore in ratione petitionis; sin aliter acciderit, humaniter feremus.” “La presente per informarti che, correndo felicemente l'anno 689 di Roma, mi è nato un erede; la madre gode ottima salute. Da te niente lettere da un bel pezzo! Io invece ti ho già ragguagliato sulle mie questioni. In questo periodo sto meditando di assumere la difesa di Catilina, che si candida insieme con me. II collegio giudicante è come lo vogliamo noi e da parte dell'accusa c'è la massima buona disposizione. Se sarà assolto, spero di averlo al mio fianco nella campagna elettorale; se andrà altrimenti, non ne farà un dramma.”. (Ad Attico I, 2)
L’esilio
é una delle opere più toccanti e straordinarie di Oscar Wilde, ovvero il “De Profundis”. É una sorta di lettera epistolare che il poeta dedica al suo amato compagno di allora Alfred Douglas,(proprio come é a me caro Attico) mentre si trovava in carcere nella prigione di Reading, dopo essere stato processato per il reato di omosessualità.Durante tale periodo, Oscar Wilde esterna in modo evidente le proprie emozioni, i propri pensieri, le sue ossessioni ed evoluzioni intellettuali che lo accompagnarono durante il suo triste periodo di prigionia, esattamente come ho fatto io durante l'esilio… Sarò forse stato la sua musa?
Non so se ho meditato ciò per errore o per un abbaglio, ma sicuramente le cose sono andate diversamente, e dopo aver deliberato contro colui che ho pensato anche solo per un istante di difendere, sono stato mandato in esilio, e lì, sì proprio lì, la necessità di parlare con qualcuno e di sentirmi meno solo è aumentata. In quel periodo ho dovuto affrontare numerose difficoltà e ho chiesto a mia moglie Terenzia di aiutarmi esaminando con me il da farsi e di rinnovare il nostro rapporto:”Terentia tibi et saepe et maximas agit gratias; id est mihi gratissimum. Ego uiuo miserrimus et maximo dolore conficior. Ad te quid scribam nescio; si enim es Romae, iam me adsequi non potes; sin es in uia, cum eris me adsecutus, coram agemus quae erunt agenda. Tantum te oro ut, quoniam me ipsum semper amasti, ut eodem amore sis; ego enim idem sum. Inimici mei mea mihi, non me ipsum ademerunt. Cura ut ualeas. Data †VIII† Id. Apr. Thuri.” “Terenzia ti ringrazia spesso e massimamente. Questo mi è tanto ben accetto. Io vivo molto infelicemente, e sono avvilito da massimo dolore. Non so cosa scriverti. Difatti, se sei a Roma, oramai non puoi raggiungermi; ma se sei in viaggio, quando mi raggiungerai, esamineremo insieme ciò che dovremo fare. Pertanto ti chiedo, difatti, a me che hai sempre tenuto bene, di avere il medesimo sentimento; io dunque sono lo stesso. I miei nemici mi hanno privato delle mie cose, non di me stesso. Prenditi cura di te. Consegnata il 10 aprile a Turi” (Ad Atticum III, 5)
L’esilio per me non è stato solo un’umiliazione, ma anche un momento di grande riflessione...
Mi ero comportato nel modo giusto? Ho fatto bene ad ascoltare chi non meritava la mia attenzione? Ho dovuto riporre tutte le mie speranze sui tribuni della plebe e su Pompeo, non ho potuto fare altro:”Quod si nostris consiliis usi essemus neque apud nos tantum valuisset sermo aut stultorum amicorum aut improborum, beatissimi viveremus . Nunc quoniam sperare nos amici iubent, dabo operam ne mea valetudo tuo labori desit. Res quanta sit intellego quantoque fuerit facilius manere domi quam redire; sed tamen si omnis tribunos plebis habemus, si Lentulum tam studiosum quam videtur, si vero etiam Pompeium et Caesarem, non est desperandum.” “Se avessi ascoltato soltanto me stesso, e se le parole di amici stolti o perfidi non avessero avuto tanto peso su di me, vivrei più che felice . Ora, poiché gli amici mi chiedono di sperare, mi preoccuperò di far sì che la mia salute non tradisca i tuoi sforzi. Mi rendo conto quale sia la gravità del compito e come sia più facile rimanere che ritornare alla propria casa; tuttavia se tutti i tribuni della plebe saranno dalla mia parte, se Lentulo sarà tanto amico quanto pare, e poi anche Pompeo e Cesare, non si dovrebbe disperare.” (Ad familiares XIV,1 1-2)
Sulla via del ritorno
Come dicevo prima gli anni dell’esilio sono stati per me i più difficili, sia per l’assenza dei miei amici e parenti, sia per la lontananza dalla mia città. Ricordo come se fosse ieri il momento in cui mi è arrivata la lettera di Quinto nella quale mi diceva che la legge era stata approvata e che finalmente sarei potuto tornare a Roma, ma soprattutto ho bene impresso nella mente la gioia che ho provato a vedere i miei concittadini rallegrarsi del mio arrivo:
“Nunc etsi omnia aut scripta esse a tuis arbitror aut etiam nuntiis ac rumore perlata, tamen ea scribam breui quae te puto potissimum ex meis litteris uelle cognoscere. Prid. Non. Sext. Dyrrachio sum profectus, ipso illo die quo lex est lata de nobis. Brundisium ueni Non. Sext. Ibi mihi Tulliola mea fuit praesto natali suo ipso die, qui casu idem natalis erat et Brundisinae coloniae et tuae uicinae Salutis; quae res animaduersa a multitudine summa Brundisinorum gratulatione celebrata est. A. d. III Id. Sext. cognoui, cum Brundisi essem, litteris Quinti fratris mirifico studio omnium aetatum atque ordinum, incredibili concursu Italiae, legem comitiis centuriatis esse perlatam. Inde a Brundisinis honestissime ornatus iter ita feci ut undique ad me cum gratulatione legati conuenerint. Ad urbem ita ueni ut nemo ullius ordinis homo nomenclatori notus fuerit qui mihi obuiam non uenerit, praeter eos inimicos quibus id ipsum, se inimicos esse, non liceret aut dissimulare aut negare. Cum uenissem ad portam Capenam, gradus templorum ab infima plebe completi erant; a qua plausu maximo cum esset mihi gratulatio significata, similis et frequentia et plausus me usque ad Capitolium celebrauit in foroque et in ipso Capitolio miranda multitudo fuit.”“ Ora, benché pensi che su tutto o ti sia stato scritto dai tuoi o anche ti siano arrivate notizie e voci, ti scriverò succintamente quel che credo ti interessi specialmente sapere da una mia lettera. Sono partito da Durazzo il 4 di agosto, il giorno stesso in cui fu presentata la legge che mi riguardava; il 5 sono giunto a Brindisi. lì c'era in attesa la mia Tulliola, il giorno stesso del suo compleanno che per caso coincideva con l'anniversario della fondazione sia della colonia di Brindisi, sia del tempio della Salute, presso la tua dimora; venutasi a sapere la cosa, fu celebrata con molte felicitazioni da una gran folla di cittadini. L'8 agosto, mentre ero a Brindisi, ho saputo per lettera da Quinto che la legge era passata ai comizi centuriati, fra lo straordinario entusiasmo di giovani e meno giovani d'ogni ceto e una stupefacente partecipazione dalle regioni d'Italia. Sono quindi partito colmato di onori dai cittadini più ragguardevoli di Brindisi e durante il viaggio non ho fatto che ricevere delegazioni da ogni parte che si rallegravano con me. 5 Avvicinandomi alla città, non c'era nessuno fra quanti d'ogni ceto fossero noti al mio segretario che non mi venisse incontro, a parte quei tali nemici a cui non era possibile o dissimulare o negare la propria inimicizia. Arrivato alla Porta Capena, i gradini dei templi erano stracolmi di gente umile, che mi dimostrò con fragorosi applausi il suo compiacimento. e successivamente un'analoga dimostrazione di popolo in festa mi seguì passo passo fino al Campidoglio; e nel foro e sullo stesso Campidoglio c'era una folla strepitosa. “ ( Ad Atticum IV, 1 4-5)
Alle porte della guerra civile
Dopo l’esilio mi sono occupato di diverse questioni giudiziarie e governative, l’ultima delle quali è stata nel 51 a.C la nomina di governatore in Cilicia. Sono tornato a Roma l’anno successivo, alla vigilia della guerra civile, della quale nelle mie lettere ho accennato qualcosa ancor prima che scoppiasse, per esempio a proposito della lettera minacciosa di Cesare: “Omnino et ipse Caesar, amicus noster, minacis ad senatum et acerbas litteras miserat et erat adhuc impudens, qui exercitum et prouinciam inuito senatu teneret, et Curio meus illum incitabat.” “A dire il vero sia lo stesso Cesare, il nostro amico, aveva inviato al senato una lettera minacciosa ed aspra ed è tuttora sfrontato, in quanto ha il comando di un esercito ed è a capo di una provincia contro la volontà del senato, sia il mio Curione istigava allo stesso.” (Ad familiares XVI, 11 2), esponendo sin da subito i miei timori a riguardo: “Numquam maiore in periculo ciuitas fuit, numquam improbi ciues habuerunt paratiorem ducem.” “Mai Roma fu in un
pericolo più grave, mai dei cittadini immorali ebbero un comandante più pronto” ( Ad familiares XVI, 11 3)
Mi trovavo a Brindisi, eravamo ormai alle porte della guerra civile ma ero ancora indeciso se appoggiare Cesare o no, quando egli mi ha scritto lettere così cortesi che volli perciò informare mia moglie Terenzia, poiché sapevo che sarebbe stata al mio fianco sempre ed avevo un forte bisogno di parlarne con qualcuno di fidato: “ Redditae mihi tandem sunt a Caesare litterae satis liberales, et ipse opinione celerius venturus esse dicitur; cui utrum obviam procedam, an hic eum exspectem, cum constituero, faciam te certiorem. Tabellarios mihi velim quam primum remittas. Valetudinem tuam cura diligenter. Vale. D. pr. Id. Sext.” “Se stai bene, me ne compiaccio, io sto bene. Finalmente mi è stata consegnata una lettera da parte di Cesare abbastanza cordiale e che si dice che arriverà più presto di quanto si possa pensare; ti informerò se gli andrò incontro o se lo aspetterò qui. Vorrei che mi rimandassi i corrieri quanto prima. Cura con attenzione la tua salute. Stammi bene. Consegnata il 12 agosto.” (Ad familiares XIV,23)
Decisi poi di seguire Pompeo, e tornato in Italia Cesare mi perdonò. E’ stato un atto di enorme clemenza, peccato che l’ho tradito pochi anni più tardi …