LETTERE A MIO FRATELLO QUINTO
Il terzo gruppo è quello delle epistulae ad quintumfratrem, raccolto in 3 libri e divisi in 27 lettere, in un periodo che va dal 59 a.C. al 54 a.C. Sono indirizzate a mio fratello Quinto, il quale ha seguito le mie orme e ha ricoperto le cariche di questore, edile, pretore e proconsole. Ha supportato la mia candidatura, e a mia volta gli ho scritto una lettera per impartirgli consigli su come governare bene la provincia d’Asia. Il tono che ho usato con mio fratello è simile a quello usato con il mio amico Attico, ovvero libero e schietto ma allo stesso tempo elevato e solenne. Importante è l’epistola II,9, che ho scritto nel febbraio 54 a.C. Alla fine della breve epistola ho menzionato Il poeta Lucrezio: “ Lucreti poemata, ut scribis, ita sunt, multisluminibusingeni, multaetamenartis; sedcumveneris. Virum te putabo, si Sallusti Empedocle a legeris, hominem non putabo “ “I versi di Lucrezio sono, come tu scrivi, ricchi di molti sprazzi di ingenium, e tuttavia c'è anche molta ars; ma quando verrai . Se leggerai gli Empedoclea di Sallustio, ti stimerò un eroe, non ti stimerò uomo di gusto.”
LETTERE A MARCO BRUTO
Il quarto e ultimo gruppo sono le epistulae ad MarcumBrutum, concentrate nell’anno 43 a.C. divise in due libri. Sono lettere di dubbia autenticità di Bruto a me e mie a Bruto quando quest’ultimo era in Illiria e in Epiro e si preparava alla guerra contro i triumviri. Nell’epistola I,3 sottolineo che la popolarità e bella se conseguita con la salvezza del popolo “quodpopularem me esse in populi salute praeclarum est”. Invece nell’epistola I,12 in risposta alla lettere inviatemi da Bruto avanzo il mio disappunto verso Marco Lepido “Id accidit M. Lepidi scelere et amentia” “Ciò accade per la scelleratezza e la pochezza di marco Lepido” e sottolinea l’importanza di Bruto per lo stato, sebbene sia un giovane, “Cum ad rei publicaesummamtum ad gloriam et dignitatem tuam vehementer pertinet te, ut ante scripsi, in Italiam venire quamprimum” “Conviene tanto al bene dello stato quanto alla tua gloria e dignità che tu, come ti scrissi prima, venga in Italia quanto prima.” In questa epistola viene fuori la mia morale etica; non sono infatti d’accordo sul fatto che se il genitore viene condannato anche i figli di questo devono subirne le conseguenze: “ nec vero me fugitquam sit acerbum parentum scelera filiorum poenis lui; sed hoc praeclare legibus comparatum est, ut caritas liberorum amiciores parentis rei publicae redderet” “ Non mi sfugge di certo quanto sia ingiusto far scontare i delitti dei padri con le pene dei figli; ma alle leggi si sottintende chiaramente questo, che l’amore dei figli renda i genitori più amici dello stato.”