Nei tempi più duri della Roma repubblicana che ha lasciato lo Stato sul punto di affondare colpendola da ogni lato con alleanze, corruzione ...proprio in quel tempo io ho vissuto cercando di restare aggrappato al timone e guidare la nave verso la salvezza. Ricordo la congiura orchestrata dalla personificazione del male, Catilina, che riuscii a sventare, quando Clodio mi privò non solo della patria ma fece in modo che non avessi più un luogo da chiamare casa e del primo triumvirato, con Cesare alla cui dittatura fui costretto a piegarmi; vi mostrerò questo e molto altro.
Nacqui il 3 gennaio dell’anno 106 a.c. sotto il cielo di Arpino, un luogo ameno, pianeggiante, un giardino nel quale zuzzerellavo da giovane e che ancora oggi visito d’estate per sfuggire al caldo della città. Anche quando ero solo un ragazzo la lettura e l’arte della parola mi sono sempre piaciute molto, tanto che decisi sin da subito di dedicarmi allo studio della retorica. Studiando mi imbattei nella filosofia, la quale rimase al mio fianco lungo il mio cammino costellato da luoghi, volti, incontri. Più volte infatti mi recai ad Atene e in Asia Minore, dove conobbi il grande Apollonio Molone, verso il quale nutro ancora oggi molta stima, per approfondire i miei saperi. Una volta completati i miei studi, anche se di imparare non si finisce mai, decisi di mettere in pratica le nozioni che avevo imparato dedicandomi ad una carriera politica e in quegli stessi anni mi occupai di comporre numerose orazioni che pronunciai sia in senato sia nel foro. Il mio primo lavoro, o almeno il primo di cui avete testimonianza, fu l'orazione Pro Quinctio che tenni nell'81 a.C. con la quale difesi il povero Publio Quinzio al quale Nevio si rifiutava di restituire i beni che gli spettavano di diritto dopo la morte del fratello. In seguito affrontai svariati altri processi tra cui spicca quello contro Verre (vado particolarmente fiero della vittoria che ottenni in questo caso). Tenni le orazioni In Verrem nel 70 a.C. dopo che Verre si era macchiato del reato di concussione durante il suo propretorato in Sicilia (dal 73 al 71 a.C.). A quel punto della mia vita ero oramai sposato da ben sette anni con Terenzia, quell’ingrata, pensate che una volta rientrato a casa dopo la guerra non mi è neanche venuta incontro! Se devo essere sincero l’unica cosa di cui le sono veramente grato è di aver generato nostra figlia Tullia. Non potevo desiderare una ragazza più affettuosa, più modesta e intelligente di lei; tutt’altro elemento è invece nostro figlio Marco Tullio, che nacque parecchi anni dopo, che, mannaggia a lui, ha preferito una carriera militare ad una politica come il papà.
Intanto stavo conquistando una ad una le cariche politiche; iniziai nel 76 a.C. con la questura, nel 69 venni eletto edile curule, nel 66 pretore, e nel 63 divenni finalmente console. Non fu affatto un anno semplice infatti mi dovetti scontrare non solo in campagna elettorale ma anche in tribunale contro la personificazione del male: Catilina. Costui difatti, pur non avendo vinto per ben due volte le elezioni per il consolato, non riusciva ad accettare la sconfitta e pertanto tentò di mettere in atto una congiura contro lo Stato al fine di appropriarsi del potere con la violenza. Catilina era però meno scaltro di quel che credeva e infatti io, grazie anche all'aiuto di Fulvia, feci in modo di sventare tale congiura e ristabilire un po' di giustizia. Fino a quel momento non avevo mai conosciuto una persona tanto malvagia e scellerata come lui e così supponente. Una volta sventato il suo malefico piano decidemmo così di dare un taglio alla follia di un uomo tanto malevolo e pronunciai le mie orazioni contro di lui, le catilinarie, con tale violenza che egli si ritrovò costretto a fuggire. Riuscimmo però ad acchiappare alcuni congiurati che, meno furbi, erano rimasti a Roma, soli nella tana del lupo. Ci furono alcuni dissapori in Senato quel giorno, io ero favorevole alla pena capitale e non ne feci mistero ma Cesare no. Alla fine venne riacquistato un po’ di buonsenso e la maggioranza votò a favore di essa e i congiurati vennero uccisi. Neppure Catilina andò tanto lontano e venne ucciso mentre era a capo delle truppe che aveva raccolto in Etruria. Ma anche dopo la sua morte infatti la sua ombra continuava a spingermi sempre più vicino al precipizio che avrebbe segnato la mia fine.
Negli anni che seguirono mi resi conto che stavo perdendo pian piano la mia influenza politica e andai quindi in cerca di conoscenze a cui mi sarei potuto aggrappare in caso di bisogno: mi avvicinai al caro Pompeo, con il quale ho sempre condiviso la stessa linea politica, e agli iuvenes, sui quali riponevo le mie speranze per il futuro dello Stato. Ma tutto ciò a quando pare non fu abbastanza. Nel 60 a.C. venne costituito il primo triumvirato: un’alleanza politica privata tra Pompeo, Crasso e per mia sfortuna, Cesare, che appoggiava i populares, il quale mi preoccupava assai per le sue ambizioni quasi monarchiche e ben lontane dalle mie. Il suo partito voleva difendere gli interessi della plebe e era favorevole al rinnovamento ma ciò andava a discapito mio e di noi optimate: io combattevo e ancora oggi lo faccio per una politica conservatrice, per la repubblica e per il bene del mio Stato che mi sta tanto a cuore. E la batosta finale arrivò due anni dopo, nel 58 a.C, quando Clodio venne eletto come tribuno della plebe, sempre sostenuto da quel surrogato di re che voleva diventare Cesare, deciso a mettermi i bastoni tra le ruote e con le spalle al muro. Dovete sapere che tra me e Clodio non scorreva buon sangue dopo quello che era stato lo “ scandalo della Bona Dea “ . Infatti nel 62 a.C. i riti d’onore della Bona Dea, i cosiddetti Damia, come diciamo noi di Roma, si erano svolti a casa di Cesare, presieduti da sua moglie Pompea e alla presenza di sole donne, come d’altronde era tradizione. Ma della matrona Pompea si era invaghito Clodio, all’epoca ancora giovane ma già di carattere violento e impetuoso. Egli ritenne sarebbe stata una buona idea introdursi a casa di Cesare vestito con abito e acconciatura tipici di una suonatrice di cetra, approfittando dell’assenza degli uomini e della complicità di un’ancella. Ma venne scoperto per la sua voce mascolina da un’altra serva, che non era a conoscenza della trama e fu costretto a scappare a gambe levate. Fu un comportamento oltraggioso, che mi lascio esterrefatto, come scrissi al mio amico Attico: "P. Clodium Appi f., credo te audisse cum veste muliebri deprehensum domi C. Caesaris cum pro populo fieret, eumque per manus servulae servatum et eductum; rem esse insigni infamia. quod te moleste ferre certo scio". "Publio Clodio, figlio di Appio, è stato colto in casa di Gaio Cesare mentre si compiva il sacrificio rituale per il popolo, in abito da donna, ed è riuscito a fuggire via solo per l'aiuto di una servetta; grave scandalo; sono sicuro che anche tu ne sarai indignato". ( Epistulae Ad Atticum I, 12, 3 )
Egli infatti non offese solo Cesare e le donne presenti ai riti sacri ma anche gli dei!
Io testimoniai contro di lui nel lontano 61 a.C. e dissi di averlo incontrato a Roma il giorno del misfatto mentre Clodio sosteneva di essere fuori città. Ma purtroppo venne assolto perché Cesare, quale essere debole che era, scaricò la colpa su Pompea e non accusò invece il vero colpevole. Egli, non appena riuscì a strappare la carica di tribuno della plebe mi condannò all’esilio e, non contento di ciò, confiscò i miei beni, demolì la mia dimora sul Palatino e dichiarò sacro quel terreno, vendette tutti i miei schiavi e condannò a morte me e chiunque mi avesse ospitato se fossi stato trovato in un raggio di 740 Km dall’Italia. E allora, affranto e furente me ne tornati in Grecia, la terra che mi aveva donato tanta cultura e mi aveva avvicinato alla mia cara filosofia, passai così sedici lunghissimi mesi da esiliato e temevo sempre di più per il futuro della mia amata patria. Quando tornai a Roma, lo sguardo basso, capii di trovarmi costretto a sottomettermi a chi, in quegli anni, deteneva più potere e quindi appoggiai, mesto, i triumviri e i loro compari: nel 56 a.C. aiutai Cesare con l’Orazione De provinciis consularibus e, grazie al mio intervento, egli ottenne la priorità del suo comando nelle Gallie. Nel 52 la fortuna girò finalmente dalla mia parte: Clodio venne ucciso dalle bande armate di Milone, un tribuno della plebe che tra l’altro mi aveva anche aiutato ad accorciare il tempo previsto per il mio esilio. Decisi naturalmente di difenderlo durante il processo ma, causa di circostanze avverse, non riuscii a tenere la mia orazione. Però avevo ottenuto giustizia: il mio antico nemico aveva trovato la giusta punizione e così anche Roma si era finalmente liberata da un uomo che la stava solamente danneggiando.
Mi venne offerto nel 51 a. C. un posticino come proconsole nella provincia della Cilicia che esercitai in maniera efficiente e operosa, anche se non sta a me affermarlo. Ma bastò che mi allontanassi per qualche mese che, una volta tornato a Roma, era scoppiata una guerra civile tra Cesare e Pompeo. Non ebbi dubbi su chi appoggiare anche se, in un primo momento, cercai di farli riappacificare, dichiarando la mia neutralità: nulla. Oramai dovetti accettare il fatto che politicamente valevo poco niente.
Me ne tornai in Grecia, non più in solitudine ma per raggiungere i pompeiani che si erano schierati laggiù. Loro vennero sconfitti a Farsalo, in Tessaglia nel 48 a.C . Loro, io non c’ero, a quel punto mi ero già pentito e disimpegnato nei confronti di Pompeo ed ero tornato in Italia, portandomi appresso il mio figlioletto Marco, a cui i conflitti non giovavano e non facevano bene neanche alla mia salute, un po’ cagionevole.
L’anno dopo fui costretto e riconciliarmi con Cesare e abbassare ancora una volta il capo davanti al grande vincitore.
Ormai mi sentivo sempre più invisibile e stanco, mi allontanai gradualmente dai riflettori e dalla vita politica e decisi di dedicarmi a colei che ricerca la virtù ed elimina i vizi: la filosofia. Gli unici miei interventi pubblici furono dei discorsi in cui fui obbligato ad elogiare la clemenza di Cesare e la sua volontà di riconciliazione: fu un vero e proprio tormento per me ma d’altronde era lui il burattinaio e tirava lui i fili ormai e io ero poco più che un burattino in mano all’autorità, e quindi proprio per questo scrissi la Pro Marcello e la Pro Ligario.
Nella Pro Marcello ringraziai Cesare ( Ah mi cadesse la mano !) per aver concesso al mio caro amico Marcello di tornare dall’esilio. Inoltre dovetti sottolineare l’enorme magnanimità di Cesare nei confronti degli sconfitti. Poi come se la mia vita non fosse già abbastanza alla deriva andai incontro a due anni terribili; nel 46 a.c. divorziai da mia moglie Terenzia e questo fu una grazia concessa dal cielo ma, trovandomi in gravi difficoltà economiche, arrivai a sposarmi con Publia una ragazza davvero molto graziosa e altrettanto ricca. Ma purtroppo la differenza d’età fu patita molto da entrambi e poco dopo mi ritrovai di nuovo senza moglie e squattrinato. Ma ciò non fu niente a confronto alla disgrazia che mi capitò nel 45 a. c.: la mia dolcissima Tullia morì dando alla luce mio nipote, si spense davanti a me e mi privò della mia bambina troppo presto...Questo fu senza alcun dubbio un grave colpo che mi fu davvero difficile superare, ero afflitto dal dolore causato dalla perdita e non riuscivo a capacitarmi del fatto che un fiore così giovane fosse appassito prima di uno vecchio e grinzoso... Mi ritrovai ad essere distante da casa e dallo Stato, poiché né la casa potè consolare quel dolore che stavo ricevendo dalla vita pubblica, né lo Stato quello familiare.
Nel 44 a.c. Cesare fu ucciso e io senza esitare mi schierai dalla parte del cesaricidi, pur non avendo partecipato di persona alla sua congiura. Subito si aprì una disputa per il potere, emersero due figure in particolare: Antonio ed Ottaviano. Io decisi di appoggiare il giovane Ottaviano, illudendomi di diventare la sua guida e di indurlo a restaurare l’autorità del Senato, ma egli si servì di me, come con uno zerbino, per togliere dalla piazza il suo rivale politico contro il quale io scrissi le Filippiche.
Adesso io mi trovo nella mia villa a Formia circondato da mille timori; solo recentemente mi è giunta la notizia che Antonio e Ottaviano si sono riavvicinati per fronteggiare i cesaricidi. Tremo e ogni mattina mi sveglio temendo il peggio, aspettando la mia ora...non so quando arriverà ma oramai io sono pronto.
Sitografia e bibliografia:
Giovanna Garbarino, Luminis orae, 1B. Milano - Torino, Pearson Italia ( 2015 ), p. 194 e seguenti.
https://www.romanoimpero.com/2010/07/tullio-cicerone-63-ac.html
https://www.romanoimpero.com/2010/12/culto-di-bona-dea.html
https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_Tullio_Cicerone
Robert Harris, Conspirata - Trilogia Cicerone. Mondadori ( 2009 ).