Della mia vita privata invece ho scritto sempre ad Attico e ai miei familiari, poiché ritengo che l’epistola sia il miglior modo per esprimere non solo i propri pensieri ma anche i propri sentimenti. Mi sono rivolto loro soprattutto nei momenti di grande difficoltà, come durante la malattia di mia figlia Tullia:“in maximis meis doloribus excruciat me valetudo Tulliae nostrae, de qua nihil est quod ad te plura scribam” “Fra i miei acerbissimi dolori mi tormenta la malattia della nostra Tullia, sulla quale non c’è ragione per cui li scriverò di più” ( Ad familiares 14, 19).
Sebbene si parli di epistolario di Cicerone ancora oggi questo "stile" viene utilizzato per strutturare opere letterarie, soprattutto quando si trattano temi profondi come la sofferenza per la morte di un figlio, anche se questo non è mai nato...
Interessi personali … arte e scrittura
Purtroppo però la malattia è andata peggiorando e la mia adorata figlia è morta. Questo è stato per me un periodo di grande tristezza e sembrava che nulla potesse alleviare il mio dolore. Mi è venuta in mente una cosa, che nessuno prima di me aveva mai fatto: scrivere a me stesso lettere consolatorie. Scrivere è stata la mia salvezza, la mia luce in fondo al tunnel: “Nihil enim de maerore minuendo scriptum ab ullo est quod ego non domi tuae legerim. Sed omnem consolationem uincit dolor. Quin etiam feci, quod profecto ante me nemo, ut ipse me per litteras consolarer. Quem librum ad te mittam, si descripserint librarii. Adfirmo tibi nullam consolationem esse talem. Totos dies scribo, non quo proficiam quid sed tantisper impedior…” “Infatti non c’è cosa scritta da chicchessia per alleviare le tristezze, che io non l’abbia letta in casa tua; ma il dolore vince ogni consolazione. Anzi ho fatto quello che nessuno certo aveva fatto prima di me; scrissi a me stesso lettere consolatorie, libro che ti manderò, come i copisti lo avranno trascritto. Ti posso assicurare che nessuna consolazione assomiglia a questa. Scrivo tutto il giorno; non che io ne ricavi alcun profitto, ma mi distraggo un poco…” (Ad Atticum XII, 14)
Scrivere per me non è stato solo un modo per informare sugli avvenimenti o per condividere pensieri o persino per superare il dolore, grazie alla scrittura, oltre che alle mie abili doti da oratore e politico, sono diventato ciò che voi oggi conoscete, ma che già all’epoca avevano capito; un dotto:
“Haec igitur est nunc uita nostra. Mane domi et bonos uiros multos, sed tristis, et hos laetos uictores, qui me quidem perofficiose et peramanter obseruant. Vbi salutatio defluxit, litteris me inuoluo, aut scribo aut lego; ueniunt etiam qui me audiunt quasi doctum hominem quia paulo sum quam ipsi doctior. Inde corpori omne tempus datur” “ Questa dunque è la mia giornata: la mattina a casa salutiamo molti uomini dabbene, ma tristi, e codesti vincitori lieti, che invero mi riveriscono con molti riguardi; terminate le visite, sprofondo nelle lettere: o scrivo o leggo: vengono anche alcuni a sentirmi come fossi un dotto, poiché sono un po’ più colto di loro; poi ogni attenzione è dedicata al corpo.” ( Ad familiares IX, 20)
Quella di cui ho parlato poco fa era la mia giornata tipica, ma tra i miei interessi personali non c’era solo la lettura e la scrittura, ma ho avuto una certa passione per l’arte. Per questo sono stato un importante mecenate e mi sono fatto portare bassorilievi e statue, come ad esempio quella di Ermes in figura:
” Signa nostra et Hermeraclas, ut scribis, cum commodissime poteris velim imponas, et si quod aliud oi)kei=on eius loci quem non ignoras reperies et maxime quae tibi palaestrae gymnasique videbuntur esse. Etenim ibi sedens haec ad te scribebam ut me locus ipse admoneret. Praeterea typos tibi mando quos in tectorio atrioli possim includere et putealia sigillata duo.” “Fammi spedire, te ne prego, quando la cosa non ti procurerà affatto disturbo, le statue acquistate per me e i doppi busti di Ermes ed Eracle, come mi scrivi. Aggiungi pure ogni altro oggetto artistico che troverai, il quale sia adatto all’ambiente che tu ben conosci, specialmente i pezzi che ti sembrerà che vadano bene per una palestra ed un ginnasio, ove appunto me ne sto seduto mentre ti scrivo, sì che proprio il luogo ha il potere di farmici pensare. Non ho ancora finito: ti incarico di procurarmi dei bassorilievi che io possa opportunamente assicurare al rivestimento di stucco dell’atrio secondario e due parapetti scolpiti” (Ad Atticum I, 10)
Come ho detto prima ritengo che l’epistola sia il miglior modo per essere se stessi ed esporre i propri sentimenti e pensieri e nella lettera Ad familiares V,12, da datare tra il 63 e il 60 a.C. sottolineo l’importanza e la superiorità della lettera sulle parole “epistula enim non erubescit”. In questa epistola mi sono rivolto allo storico Lucceio, che ritengo un ottimo scrittore, affinchè mi scrivesse una monografia encomiastica sul mio consolato, il quale però non ha accettato e perciò me la sono dovuta scrivere di mio pugno. Qui potete vedermi in una versione piú impaziente “ardeo cupiditate incredibili” e pieno di vitalità : “Coram me tecum eadem haec agere saepe conantem deterruit pudor quidam paene subrusticus, quae nunc expromam absens audacius, epistula enim non erubescit. Ardeo cupiditate incredibili neque, ut ego arbitror, reprehendenda, nomen ut nostrum scriptis illustretur et celebretur tuis; quod etsi mihi saepe ostendisti te esse facturum, tamen ignoscas velim huic festinationi meae; genus enim scriptorum tuorum etsi erat semper a me vehementer exspectatum, tamen vicit opinionem meam meque ita vel cepit vel incendit, ut cuperem quam celerrime res nostras monumentis commendari tuis; neque enim me solum commemoratio posteritatis ad spem quandam immortalitatis rapit, sed etiam illa cupiditas, ut vel auctoritate testimonii tui vel indicio benevolentiae vel suavitate ingenii vivi perfruamur.” “Ho tentato spesso di affrontare con te a viva voce l’ argomento che ora ti dirò, ma me ne ha distolto un certo ritegno alquanto rusticano: adesso che ti sono lontano, cercherò di tirar fuori quello che ho dentro con un po’ più di ardire. Le lettere non sanno arrossire. Ho l’ambizione vivissima, che non mi pare riprovevole, di vedere illustrato e celebrato il mio nome per opera della tua penna. Benché tu, in più d’una occasione, mi faccia capire di essere disponibile, io ardo di impazienza: della qual cosa spero che vorrai scusarmi. ~ infatti la tua maniera di. Scrivere, per quanto io sempre ne abbia concepito grandi speranze, che ha superato ogni mia aspettativa e mi ha talmente preso, o diciamo pure esaltato, che il mio più grande desiderio è quello di vedere affidata – nel più breve tempo possibile – alle tue pagine la memoria delle mie vicende. E non è solo quella specifica consapevolezza che solo al ricordo dei posteri è affidata la speranza dell’immortalità a lusingarmi, ma anche la natura la ambizione di poter godere da vivo sia dell’autorevolezza della tua testimonianza, sia della prova di stima che mi offriresti, sia del fascino del tuo genio di scrittore.”
Amicizia con Attico
Questa è una canzone di Lucio Dalla che rappresenta appieno la mia amicizia con Attico e ciò che lui rappresenta per me
Per quanto riguarda la mia amicizia con Attico, essa è stata sempre profonda e cara; egli infatti è stato mio amico sin dall’infanzia e addirittura fin dopo la mia morte, in quanto è stato proprio lui a pubblicare le mie epistole. Nell’epistola I, 18 ho espresso tutto il mio affetto per lui, dicendo quanto è forte il mio bisogno di avere una persona come lui nella mia vita, che mi voglia bene, che sappia darmi buoni consigli, e che sia per me un fratello sincero, oltre che qualcuno con cui condividere tutto: “Nihil mihi nunc scito tam deesse quam hominem eum, quocum omnia, que me cura aliqua adficiunt, uno communicem, qui me amet, qui sapiat, quicum ego cum loquar, nihil fingam, nihil dissimulem, nihil obtegam. Abest enim frater aphelestatos et amantissimus. Metellus non homo, sed “litus atque aer et solitudo mera”. Tu autem, qui saepissime curam et angorem animi mei sermone et consilio levasti tuo, qui mihi et in publica re socius et in privatis omnibus conscius et omnium meorum sermonum et consiliorum particeps esse soles, ubinam es?.” “Sappi che ora niente mi manca tanto quanto una persona con cui poter condividere tutto ciò che mi procura una qualche inquietudine, che mi voglia bene, che sia saggia, con cui io possa, quando parlo, nulla dire falsamente, nulla fingere, nulla nascondere. Mi manca infatti un fratello tanto sincero e affezionato. Metello non è uomo ma “spiaggia e aria e pura solitudine”. Ma tu che molto spesso con le tue parole e la tua saggezza nel darmi consigli hai risollevato l’inquietudine e l’angoscia del mio animo, che sei solito essermi compagno nella politica, confidente della mia vita privata e complice di tutte le mie orazioni e decisioni, dove sei mai? (Ad attico I,18)