Nel 56 a.C ho scritto un'orazione in un momento in cui vi erano numerosi problemi nei rapporti tra potere politico e giuridico. Sono infatti questi a fare da sfondo, offrendomi la possibilità, mediante un discorso apparentemente giuridico, di fare numerose riflessioni sugli episodi più aspri della lotta fra fazioni, condannandone gli aspetti deteriori, per formulare una costruttiva proposta che investe l'intera classe dirigente di nuove responsabilità, offrendole dei modelli di comportamento nei quali credevo di vedere la soluzione della crisi.
In questa orazione giudiaziaria chiamata "Pro Sestio" ho tentato di difendere il tribuno della plebe Sestio che l'anno precendente si era impegnato per farmi tornare dall'esilio. Il mio nel processo fu l'ultimo intervento del collegio di difesa. Avevano già parlato Quinto Ortensio Ortalo, Marco Licinio Crasso e Gaio Licinio Calvo Macro. Questo personaggio era stato accusato di violenza, ovvero de vi, poichè aveva organizzato delle bande armate affinchè queste si opponessero a quelle di Clodio, mio acerrimo nemico. In questo testo ho fatto una dettagliata analisi della situazione riguardo la politica interna di Roma in quel momento alquanto turbolento. Appare anche in parte contraddittorio rispetto alla mia solita posizione legalitaria, poichè ritengo che il ricorso a mezzi illegali sia stato reso necessario proprio per la difesa delle istituzioni, eccessivamente minacciate dai popolari. Inoltre in questa orazione ho lanciato un appello per il consensus omnium bonorum, ovvero un'alleanza tra tutti i cittadini moderati, senza più limitazioni, come era invece la concordia ordinum. Quest'allenza doveva mirare alla salvaguardia degli interessi comuni. Vi é un passo nel quale appare molto evidente la mia propria interpretazione della situazione politica di Roma, contrapponendo il partito dei boni, cioé degli ottimati, a quello dei populares, e chiamando a raccolta i primi contro i disegni sovversivi dei secondi.
Di seguito é riportato il testo:
96] Nimium hoc illud est quod de me potissimum tu in accusatione quaesisti, quae esset nostra ‘natio optimatium’; sic enim dixisti. rem quaeris praeclaram iuventuti ad discendum nec mihi difficilem ad perdocendum; de qua pauca, iudices, dicam, et, ut arbitror, nec ab utilitate eorum qui audient, nec ab officio vestro, nec ab ipsa causa P. Sesti abhorrebit oratio mea. Duo genera semper in hac civitate fuerunt eorum qui versari in re publica atque in ea se
excellentius gerere studuerunt; quibus ex generibus alteri se popularis, alteri optimates et haberi et esse voluerunt. qui ea quae faciebant quaeque dicebant multitudini iucunda volebant esse, populares, qui autem ita se gerebant ut sua consilia optimo cuique probarent, optimates habebantur.
[97] Quis ergo iste optimus quisque? numero, si quaeris, innumerabiles, neque enim aliter stare possemus; sunt principes consili publici, sunt qui eorum sectam sequuntur, sunt maximorum ordinum homines, quibus patet curia, sunt municipales rusticique Romani, sunt negoti gerentes, sunt etiam libertini optimates. numerus, ut dixi, huius generis late et varie diffusus est; sed genus universum, ut tollatur error, brevi circumscribi et definiri potest. omnes optimates sunt qui neque nocentes sunt nec natura improbi nec furiosi nec malis domesticis impediti. esto
igitur ut ii sint, quam tu ‘nationem’ appellasti, qui et integri sunt et sani et bene de rebus domesticis constituti. Horum qui voluntati, commodis, opinionibus in gubernanda re publica serviunt, defensores optimatium ipsique optimates gravissimi et clarissimi cives numerantur et principes civitatis.
[98] Quid est igitur propositum his rei publicae gubernatoribus quod intueri et quo cursum suum derigere debeant? id quod est praestantissimum maximeque optabile omnibus sanis et bonis et beatis, cum dignitate otium. hoc qui volunt, omnes optimates, qui efficiunt, summi viri et conservatores civitatis putantur; neque enim rerum gerendarum dignitate homines ecferri ita convenit ut otio non prospiciant, neque ullum amplexari otium quod abhorreat a dignitate. Huius autem otiosae dignitatis haec fundamenta sunt, haec membra, quae
tuenda principibus et vel capitis periculo defendenda sunt: religiones, auspicia, potestates magistratuum, senatus auctoritas, leges, mos maiorum, iudicia, iuris dictio, fides, provinciae, socii, imperi laus, res militaris, aerarium.
Traduzione
[96] Davvero sorprendente codesta “razza degli ottimati” (così tu stesso hai detto), della quale con particolare insistenza, nella tua accusa, mi hai chiesto che cosa sia! Tu mi chiedi una cosa che è preziosa a sapersi per i giovani, facile per me a spiegare. Brevi parole dirò a riguardo dunque, o giudici: e credo che non saranno fuori luogo, né pel vantaggio di chi ascolta, né per l’ufficio vostro, né per la causa di Sestio. Sempre in Roma ci furono due categorie di persone, fra coloro che si son dati alla vita politica con il proposito di condurvisi nel modo migliore: l’una fu, e volle essere qualificata popolare; l’altra, degli ottimati. Popolari, quelli che attuavano predicavano cose che sapevano gradite alla moltitudine; ottimati, quelli che agivano in modo da provocare sulla propria condotta l’approvazione dei cittadini migliori.
[97] Ma chi sono questi cittadini migliori? Sono, se vuoi saperlo, innumerevoli (senza di che non ci reggeremo in piedi): sono i più autorevoli membri del senato, son coloro che ne seguono l’indirizzo, coloro che appartengono agli ordini maggiori e ai quali è aperto l’accesso alla curia; abbondano tra i cittadini romani dei municipi e delle campagne, tra gli uomini di affari, tra i figli stessi dei liberti. Per la quantità, come dissi, dei suoi appartenenti, questa categoria è ampia e diffusa; qualitativamente, per togliere di mezzo ogni equivoco, può essere rapidamente circoscritta e definita. Sono ottimati tutti coloro che non fanno del male, che non sono per natura disonesti o squilibrati, né impacciati da domestiche difficoltà. Son questi, dunque, coloro che formano quella che tu chiamasti “una razza”; uomini integri, moralmente sani, di benestante famiglia. E coloro che nel governo dello stato secondano la volontà, gli interessi e le opinioni di quelli fautori degli ottimati e ottimati essi stessi, sono considerati fra i cittadini più autorevoli e illustri, e come i maggiorenti della città.
[98] Qual è il fine a cui devono tendere i reggitori della cosa pubblica, qual è l’indirizzo del loro cammino? È quello che appare il più nobile, il più desiderabile per ogni uomo di buon senso, probo, fortunato: una vita tranquilla e dignitosa. Quanti vogliono ciò, sono da considerarsi ottimati; quanti lo realizzano, uomini di primo piano e protettori della città. Non conviene, infatti, esser trascinati, nel gestire gli affari, da un senso tale dell’autorità propria che escluda la quiete dello spirito, né aggrapparsi a un amor di quiete siffatto che ripugni alla dignità.Di questa dignità serena, ecco le fondamenta, ecco gli elementi costitutivi, che le persone più elevate debbono difendere anche con il rischio della vita: i principi religiosi, gli auspici, la funzione dei magistrati, l’autorità del senato, le leggi, la tradizione, i tribunali, la giustizia, la fedeltà agli impegni, le province, gli alleati, il prestigio nazionale, l’esercito, l’erario.
Bisogna prestare particolare attenzione alla formula otium cum dignitate che compendia gli scopi principali che i buoni cittadini devono proporsi, ovvero la tranquillità garantita dalla conservazione dell'ordine costituito.
Alla fine del processi vinse la causa e Sestio fu assolto. In questa orazione ho detto una frase che diverrà molto comune, ovvero "pater patriae", padre della patria