Curia Iulia :
foro romano
Curia Iulia :
foro romano
Contesto storico
La denominazione di “Philippicae” venne attribuita dallo stesso Cicerone alle sue orazioni, tra il serio e il faceto, in una lettera a Bruto con lo scopo di omaggiare il grande oratore greco Demostene, suo grande modello, non solo dal punto di vista oratorio, ma anche morale e patriottico.
Il 17 marzo, a pochi giorni dalla triste morte di Cesare, quando ancora le due parti si studiano, il senato è convocato nel tempio della dea Tellus e io, sempre fedele al mio ideale della concordia ordinum, mi feci sostenitore di una politica di conciliazione, anzi di transazione, in base alla quale, mentre si doveva concede l'amnistia ai congiurati, si doveva anche riconosce la validità degli atti di Cesare. In realtà Antonio mirava soltanto a prendere tempo per farsi unico erede e vero continuatore dell'opera di Cesare, mentre i conservatori s'illudevano che fosse miracolosamente rinata la res publica degli avi: le ambizioni di un soldato privo di scrupoli sono perciò destinate a scontrarsi con le illusioni dei liberatores. Cosa che avviene immediatamente: Antonio approfitta dei funerali di Cesare per conquistarsi la piazza, che diviene la vera padrona della città, e i congiurati sono costretti a lasciare Roma per salvaguardare la loro sicurezza personale. Così feci pure ai primi di aprile io stesso, Marco Tullio Cicerone, che, in una ludicissima lettera ad Attico, esaltai sì l'atto magnifico dei cesaricidi, novelli eroes , ma lamentai pure la mancanza di qualunque mezzo indispensabile per portare avanti la lotta intrapresa, perché «il suo cruccio è che, cosa mai avvenuta, non si sia riconquistato, insieme con la libertà, lo stato». Infatti Antonio prese saldamente nelle mani la direzione del governo facendosi assegnare la Gallia Cisalpina", promulgando una nuova legge agraria, una nuova legge giudiziaria e un'altra ancora che concedeva l'appello al popolo nei processi de vi e maiestatis. Facendosi poi depositario di tutte le carte di Cesare, cominciò a manipolarle a suo piacimento per consolidare le basi del suo potere e per farsi passare come il vero erede di Cesare e della sua politica. Io non cessai però di illudermi e il ricordo delle idi di marzo costituì per me il conforto dell'amarezza che produce l'apatia dei boni.
Intanto sperai che le cose potessero cambiare quando col 1° gennaio del 43 sarebbero entrati in carica i nuovi consoli Irzio e Pansa, cesariani sì, ma miei amici e antiantoniani.
Poiché Antonio continuò imperterrito a calunniarmi pubblicamente, mi sentii in dovere di pronunciare la prima Filippica nel Tempio della Concordia il 2 settembre.
Secondo Arnaldo Marcone, dell’Università di Roma Tre, queste mie orazioni pur composte in un clima difficile e incerto, divennero comunque molto presto uno dei principali testi di utilizzazione didattica nelle scuole grammaticali e retoriche latine, anche se in una posizione meno rilevata rispetto alle Verrine e le Catilinarie. Ciò potrebbe essere legato all’immagine ‘tirannica’ che io fornii di Antonio, che poteva essere sottoposta a censure e divenire anche pericolosa in tempi, come quelli seguenti, di progressiva affermazione del potere autocratico dell’imperatore.