I tascabili di Palazzo Lascaris

CONSIGLIO REGIONALE del PIEMONTE

da Parole di Piemonte n° 37

Tèra forta, tèra dura

tèra 'd mas-c robust e san

as destend tra Doira e Stura

la region dij Canavsan

Nino Costa

Che il Piemonte sia una regione dalle mille risorse è palese, che lo sia anche per una questione linguistica forse lo è meno. Riconosciuta sin dal 1981 come Lingua Regionale o Minoritaria dal Consiglio d'Europa, e censita dall'UNESCO tra le lingue meritevoli di tutela, è considerata dagli studiosi, una lingua di transizione tra le parlate gallo-italiche dell'Italia del nord e le lingue gallo-romanze.

Risale già al XII secolo l'utilizzo della lingua scritta piemontese, ma sarà solo il secolo dei Lumi a dare i natali ad una vera e propria letteratura a carattere nazionale. Il Piemontèis è una lingua romanza, di origine neo-latina, radicata nell'idioma celto-ligure, risalente all'occupazione dei territori piemontesi da parte dei Romani. Successivi e distribuiti nel tempo, sono stati gli apporti di vocaboli di lingua franco-provenzale, e di idiomi arabi, germanici ed occitani, tra cui il walser e la lenga d'òc che la fanno una lingua ricca di consonantismo.

Le tre aree linguistiche territoriali sono quelle del Piemontèis occidental (torinese e cuneese), il Piemontèis oriental (alessandrino, vercellese, astigiano, biellese) e il Canavzan o Canavesan.

Il Canavesano non è comunque uno slang unitario per tutti i territori che insieme formano il Canavese, ma son note differenze anche considerevoli tra i diversi comuni dell'area.

Basti pensare alla sola Val Chiusella dove nei suoi 12 comuni sono parlati 12 dialetti diversi. Proprio originario della splendida valle e precisamente di Rueglio, Pietro Corzetto Vignot pubblica, nel 1889, la prima edizione di «Stil Alpin» una silloge poetica in dialetto ruegliese, la cui peculiarità è quella di avere una grafia anomala, una sorta di dialetto parlato, inventato dal suo autore in persona con accenti e fonemi molto particolari richiamanti le lingue germaniche.

Altri autori hanno scritto in canavesano, ma utilizzando spesso grafie eterogenee distanti dalla grafia dialettale normalizzata, stabilita negli 

anni '20 ne «j Brandé» - Arvista 'd Poesìa Piemontèisa e codificata da Camillo Brero. Decano dei giornalisti in Piemontese, egli formula la "Gramàtica dla Lenga Piemontèisa", strumento con cui è possibile scrivere tutti i dialetti piemontesi, canavesano compreso. 

Sono molti quelli che considerano il ricorso alla parlata locale una «diminutio», un segno di abbassamento. Non sono dello stesso avviso gli studiosi e i cultori più appassionati del piemontese, secondo i quali si dovrebbero attuare, da parte delle istituzioni locali, politiche di salvaguardia della parlata dialettale, tra la gente cosiddetta comune, così come tra i letterati. Si dovrebbe pensare a un progetto atto ad instaurare rapporti di influenza reciproca e interazione tra i «parlanti» e i «fautori della dimensione letteraria piemontese». Questo è fattibile. Basti solo pensare che il professor Gianrenzo Clivio, esperto di filologia dialettale e grande conoscitore della lingua piemontese, co-fondatore de «Ca dë Studi sla Lenga e la Literatura Piemontèisa», ha insegnato lingua e letteratura piemontese in Canada, all'Università di Toronto. Attraverso i suoi lavori, lo studioso ha sostenuto la tesi dell'indipendenza della grafia piemontese dalle regole di quella italiana, con la necessità di mantenere il sistema ortografico originale con lo stesso criterio adottato dalla grammatica francese. Questa presa di coscienza ha determinato un'inversione di tendenza tra i boicottatori della parlata piemontese. Consci, anche se gradatamente, dell'importanza della valorizzazione della cultura locale, i giovani hanno ricominciato a parlare un idioma che negli ultimi decenni è stato utilizzato da un numero sempre minore di persone. 

Secondo un'indagine dell' Archivio Dialogico della Cultura Canavesana, su un campione di 5100 studenti delle scuole elementari, oltre la metà comprende perfettamente il canavesano, e il 20% parla abitualmente il dialetto. 

Lo fa tra le mura domestiche, con i genitori e i familiari stretti, ma talvolta lo usa all'interno delle strutture scolastiche come mezzo comunicativo.

Rimproverare un bambino che usa espressioni dialettali può essere visto come un modo per incentivare l'utilizzo corretto della lingua italiana, ma anche per sminuire valori linguistici originari. Soffocare le lingue dialettali vuol dire distruggere dignità e valore a patrimoni destinati ad essere risucchiati dal vortice della globalizzazione. Grazie ad internet, al linguaggio delle nuove tecnologie e ai gerghi metropolitani, la stessa sorte in futuro, potrebbe toccare all'italiano nei confronti dell'inglese. Non coltivare e non diffondere la lingua originaria può far cadere nell'oblio l'identità e la cultura dei popoli.

Lungi da noi il concetto che le parlate dialettali appartengono al passato e la convinzione che abbandonarle, a vantaggio dell'italiano sempre più colmo di neologismi e barbarismi, tuteli il positivo passaggio alla modernità. 

Difendere la diversità linguistica senza dimenticare che la parlata, per il senso di appartenenza che genera è elemento fondamentale per la coesione sociale, vuol dire difendere le nostre origini e la nostra storia, ma anche il nostro futuro.  

Chi ch'a ved ël Canadà

a lo smentia pròpe pa!

Medeòt a l'é chërsujeòt

Miclinòt a l'é nassuje,

Catlinin l'é canadèisa,

parla pej 'd na piemontèisa.

Gianrenzo P. Clivio, Ël Canadà

Lina Pasca 01/06/2010