Archivio Dialogico della Cultura Canavesana

UN NUOVO PROGETTO CULTURALE DEL G-K CULTURAL SERVICES

"A partire dal 2012 il G-K Cultural Services si è fatto carico, nell'ambito delle sue iniziative locali, di rilanciare una delle più interessanti e promettenti iniziative culturali piemontesi, rappresentata dall'Archivio Dialogico della Cultura Canavesana, avendo trovato in questa associazione culturale una perfetta identità nella concezione della cultura e nelle modalità di realizzarla. Per entrambi, infatti, un progetto culturale è sempre un qualcosa che si vuole lanciare in avanti, mai correndo basso per non incontrare subito insignificanti ostacoli materiali; e lo si vuole lanciare anche  in alto così che esso vada persino oltre le aspettative e oltre le miopie e lo scetticismo del presente."

Ogni buon lancio va calibrato, soppesato alle forze del lanciatore, ben diretto verso obiettivi raggiungibili e, infine, saggiamente equilibrato alle capacità di coloro che lo devono poi ricevere, perché esso non può mai essere fine a se stesso ma finalizzato a un bene comune.

Se mai uno sbilancio (nato dal cuore non meno che dall’entusiasmo intellettuale) ci dovesse essere nel pro-gettare, nel gettare la proposta oltre, allora che esso sia nel farlo volare tanto in alto da superare per un attimo la comprensione del presente e dei presenti, in modo che esso divenga sia monito a pensare sempre in grande (poiché già di per sé sovente ogni attuazione di un’idea  costituisce una sua mortificante riduzione al contingente), sia coraggioso invito a proseguire concretamente e a credere ancor di più nella realizzabilità delle proposte culturali serie e fondate.                                  

L’idea di sottoporre alla discussione di tutti gli operatori culturali del Canavese, associati o singoli, e all’Ente pubblico (e per esso ai cittadini) il Progetto culturale globale, denominato, “ARCHIVIO DIALETTICO DELLA CULTURA CANAVESANA” nasce, appunto, dalla precisa consapevolezza che la Cultura è forse il primo dei Servizi Pubblici che un Comune o un qualsiasi Ente pubblico (imprimis la Regione) dovrebbe offrire ai suoi amministrati, consapevoli che l’Ente pubblico è, fuori di ogni scusante, l’interlocutore più prossimo di questi cittadini e pertanto l’istituzione più qualificata a valutare meglio le loro esigenze e i loro desideri. Ne consegue che l'Ente pubblico in ispecie comunale dovrebbe, di fatto, rappresentare il punto focale e il momento ispiratore di attività culturali e, per qualche verso, persino il nuovo modo d’interpretare e realizzare il “ruolo” e la “missione” di un amministratore, chiamato a occuparsi non solo dei beni e delle opere materiali del suo territorio, ma di badare anche ai beni culturali di altri luoghi della antica terra nella fattispecie Canavesana. Questo, si badi, mai però distogliendosi dalla considerazione fondamentale di quello che è e deve essere un reale, incontrovertibile bene pubblico, il quale potrebbe anche consistere in un valore non pienamente percepito subito dal suo destinatario (come sovente succede per i fatti di natura ed essenza veramente culturali e per molte cose che sono legate allo spirito e all’intelletto), per  mere ragioni contingenti, dovute assai spesso a cattiva educazione personale quanto sociale, operata dal  crescente mal uso dei mezzi d’informazione.                   

Grande è pertanto il dovere (anche superiore ai limiti delle sue risorse finanziarie) che, nel campo della Cultura, potrebbe avvertire l’Ente pubblico locale come quello, per esempio, di intervenire a supplire alle carenze, alle inevitabili generalizzazioni e alla scarsa pertinenza che sovente comportano i mezzi e i contenuti culturali forniti dallo Stato, il quale, quasi per definizione, è lontano dalle più concrete  esigenze e dal vissuto storico delle singole comunità locali. Distanza e mancanza di concretezza che possono essere proprie anche di altri Enti amministrativi.

Appare corretto, procedendo con il parlare di Cultura, darne anche una sua semantica definizione; dire, in buona sostanza, che cosa qui s’intende per e con il fare Cultura.

Fare cultura significa semplicemente produrre e trasmettere “identità”. Identità di sentire, di eredità, di patrimonio comune esistente o esistito; identità di dialetto (o quantomeno comunanza di un dialetto molto più affine di quanto non lo siano altre parlate vicine o lontane. Comunanza di quelle che i linguisti chiamano isoglosse o identità di linee, ancorché virtuali, che delimitano una stessa parlata); identità anche di diritti e di doveri verso questo ‘sentire’, questa ‘eredità’, questo ‘patrimonio’ e questa ‘parlata’.

Certo, esistono delle ‘procedure’ per aiutare a conservare e accrescere questa identità; procedure che si articolano in momenti,  in atti fra loro coerenti e concatenati, che definiamo culturali già per il fatto stesso di porsi come procedure o proposte di metodo. Tali proposte o ‘procedure’ non devono, ovviamente, difettare di corretta visione e spassionata interpretazione della realtà umana e sociale su cui si vogliono calare.

Ebbene, sono esattamente questi i valori che danno senso alle “procedure” prima elencate. Non è possibile rappresentare o interpretare una realtà oppure sottoporla a critica se non si assumono precisi punti di riferimento, se non si utilizzano determinate griglie intellettuali attraverso le quali la realtà viene “ordinata” e, quindi, rappresentata o giudicata. Tali punti di riferimento culturali, per un servizio pubblico, non possono che essere quelli posti a base della civiltà in cui esso opera

Cultura è anche la storia, la rappresentazione, raffigurazione e narrazione dell’essere umano e della società, sia essa minimale come in un borgo, sia essa complessa e caotica come in una metropoli.

Cultura è l’esposizione di paradigmi di critica sociale, di volontà e capacità di dare una cornice coerente ai fatti del passato e del presente in tutte le loro quotidiane manifestazioni, siano esse micro- siano esse macro-storie.

Cultura è, soprattutto, capacità di spiegare la speranza e il costante progresso per l’uomo, sia rapportandolo al suo passato, sia stimolandolo e aiutandolo nel suo presente per accompagnarlo e aiutarlo  a meglio configurarsi gli scenari futuri.

Cultura è, infine, tutto quello che l’uomo e la comunità in cui egli vive e opera hanno saputo e dimenticato, ma da questa dimenticanza e l’uno e l’altra si sono formati.

Si badi, Cultura non è soltanto “procedura”, non è soltanto il modo attraverso cui si trasmettono e si producono valori, ma è anche il “contenuto”, ed è il contenuto dei valori che è stato trasmesso e si deve trasmettere. perché solo esso è formante.

La Cultura non è mai cosa astratta, un sapere astratto: essa è parte concreta di una qualsiasi ma reale storia umana.

Ancora una avvertenza che vuole togliere scusanti  e pretesti di non intervento. Una politica governativa anche se ancora troppo poco attenta alle esigenze finanziarie degli Enti locali, e particolarmente a quelle dei piccoli comuni, ma anche delle stesse Regioni, non può e non deve, tuttavia, essere il comodo pretesto per giustificare ogni assenza di idee e di creatività nella proposta culturale che viene operata dagli amministratori locali. 

Indubbiamente, la società, anche quella più conservativa dei centri meno urbanizzati, è oggi profondamente cambiata nelle sue istanze e nelle sue esigenze e, sebbene continui ad essere attraversata da un costante e ancora incompiuto processo di modernizzazione, essa conserva in sé ben ancorati modelli e bisogni culturali che solo a un approccio superficiale alla loro reale essenza possono apparire ormai obsoleti e inadeguati.

Del resto, l’insieme dei “contenuti di valore” sui quali si basa la nostra civiltà sono pure il patrimonio culturale comune, la koiné che rende possibile il formarsi di un’identità collettiva e, quindi, il sentirsi parte di un medesimo destino. La condivisione di valori culturali fondamentali è la fonte dei doveri di solidarietà sociale e dei sottostanti legami che tengono unita una collettività e fanno di una molteplicità una comunità di vita. La difesa di tali valori e la prevenzione di fronte all’opera distruttiva o erosiva dei fattori di identità collettiva che ci uniscono sono il contenuto essenziale della etica pubblica e dell’impegno civile.

La domanda è sintetizzabile come segue: che cosa è veramente stato, nella Storia materiale e dello spirito il Canavese e che cosa esso è oggi davvero. Detto altrimenti, è chiedersi che cosa ha significato essere Canavesani in passato e che cosa vuole dire oggi, al di là di una mera appartenenza a denominazione toponomastica, a una sub-regione della provincia torinese dai confini persino incerti, priva di una reale coincidenza tra i ‘domini’ laico e religioso, in cui si hanno parlate piemontesi ben distinte tra loro e dialetti appartenenti a una lingua neolatina, com’è il franco-provenzale.

Eppure, a dispetto d’ogni domanda esplicitata, un abitante indigeno di Bollengo o di Valperga ‘sente’ di essere canavese prima che ‘torinese’ o piemontese. Dunque, questa entità ‘la canavesanità’ esiste tuttora come un valore che non si sa bene come gestire, che cosa farne o farsene e, comunque, come conservarlo.

Certo, sono esistiti ed esistono anche ben attivi istituzioni, associazioni, circoli che s’interessano della Storia e del presente del Canavese e delle sue tradizioni; né si può dire che l’Ente pubblico abbia ignorato tali temi.  Il problema non è nel trattarli, ma nel come trattarli e come e perché finalizzarli allo scopo che essi non si esauriscano in una pubblicazione, in un convegno, in un dibattito o in una erudita conferenza. Occorre conservare, salvare quello che si produce, dopo averlo dialetticamente archiviato.

Con questa ultima espressione  siamo già entrati nel cuore della nostra  proposta e procedere , ora, a meglio chiarire che cosa si vuole intendere con perarchivio dialettico della cultura e nelle fattispecie, della cultura canavesana. 

Di suo il termine ‘archivio’, in origine voleva significare la importanza e la predominanza (arché è in greco il ‘comando’) di quanto (documenti o altro) si conservava accuratamente, rispetto a quello che era meno importante e poteva anche essere perso o disperso. Affiancato alla modalità ‘dialettico’, vuol dire che la conservazione e la accettazione stessa del materiale non è da ‘archiviare’, ossia da ritenere importante e predominante così o per ‘tradizione’ (anche se la tradizione ha un enorme peso nella consacrazione dell’importanza e della predominanza di una cosa) o perché lo ha detto o voluto qualcuno d’importante. Il materiale diviene d’archivio dialettico solo perché è stato nuovamente discusso, fatto proprio, capito e introitato nell’animo della Comunità, e per questo esso va e deve essere conservato. Sapendo così che la sua ‘archiviazione’ non è la sua messa in un faldone, lasciato poi al deposito lento e implacabile della polvere, ma  una consacrazione della validità e della conservata attualità di quel bene.

La qualcosa comporta una dinamica di sviluppo e di maturazione che riguarderà processi socio-culturali  che saranno in grado di aiutare, pur nel cambiamento del costume e dei comportamenti in atto, la popolazione di questa parte del Canavese ha conservare criticamente ogni sua tradizione valida, ogni suo patrimonio materiale, intellettuale e spirituale

Insomma, quello che pare mancare ancora nella cultura del Canavese è un centro attivo, dinamico, dialettico appunto, di raccolta dei suoi beni, soprattutto spirituali. Forse, meglio che ‘centro’, che può rievocare un concetto di concentrazione e di primariato, dovremmo dire che quello che manca è una fessura, un pertugio da cui spiri forte l’animo canavesano e da cui sia possibile sentirne il calore, l’autenticità e il valore. 

Per il conseguimento di quanto qui proposto, siamo ben consapevoli, occorrono una riflessione e un ripensamento innovatori, profondi e, soprattutto, coraggiosi riguardo alla reale funzione del Servizio Pubblico. Riflessione e ripensamento che sono però gli unici a poter proiettare e realizzare nel futuro un nuovo modo di avvicinare e conservare quei valori del passato e del presente che, inconsciamente si sentono importanti e persino vitali per un equilibrato futuro del territorio e della sua gente, ma che non si sa come bene evidenziare, meglio coordinare e ancor meglio conservare.