La lingua napoletana
La lingua napoletana
ovvero
‘a lengua ‘e Pulecenella
La maschera di Pulcinella, come la conosciamo oggi, nasce nel Seicento, mentre la “parlata napoletana” ha origine in tempi assai precedenti. Tuttavia si può ben dire che Pulcinella è, in Italia e all’estero, l’ambasciatore della “parlata napoletana”.
Ci rivolgeremo, quindi, proprio a Pulcinella facendogli delle domande per conoscere la storia e la situazione attuale della “parlata napoletana”.
1) Ciao Pulcinella, ti possiamo chiedere informazioni sulla “parlata napoletana”?
Pulcinella: buongiorno a voi, certo, ma lasciate prima che mi presenti. Sono nato ad Acerra e vissuto a Napoli. Conoscono tutti la maschera e il vestito che indosso. Non sono andato a scuola ma ho fatto scuola per i quartieri, nelle osterie e nei teatri napoletani, imparando dai miei amici “sturiosi” anche questa nuova lingua, l’italiano. Penso di avere le informazioni che vi servono.
2) D’accordo. Allora cominciamo. Che cos’è la “parlata napoletana”?
Pulcinella: per “parlata napoletana” si intende il dialetto napoletano, parlato a Napoli e in aree della Campania non molto distanti dal capoluogo, come l’agro aversano e l’agro nocerino-sarnese.
Il dialetto napoletano è una variante locale della lingua napoletana che è l’insieme dei dialetti alto meridionali parlati in buona parte del sud Italia, come il pugliese, il lucano e il calabrese.
Il territorio della lingua napoletana
L’area metropolitana di Napoli
Agro nocerino – sarnese (SA)
Agro aversano (CE)
La popolazione che parla il dialetto napoletano è assai numerosa, anche se in forme assai diverse. Queste forme diverse prendono il nome di “vernacoli”, cioè parlate caratteristiche di zone limitate, talvolta con notevoli differenze rispetto al dialetto napoletano.
3) Perché, allora, lingua napoletana?
Pulcinella: il nome di lingua napoletana è legato sia alla tradizione letteraria e musicale della città di Napoli, sia ai lunghi secoli in cui il Sud dell’Italia era governato dal Regno di Napoli. Oggi la lingua napoletana è considerata una lingua regionale, come il siciliano.
4) Quali sono le origini del dialetto napoletano?
Pulcinella: sicuramente il dialetto napoletano, almeno quello parlato, trae la sua origine dall’osco, la lingua degli Osci, vissuti in Campania già dal VII secolo a.C. Ne sono testimonianza alcune trasformazioni di suoni come:
la trasformazione del suono “d” nel suono “r”
Es.: madonna - maronna, nudo - annuro, piede - pere
la trasformazione da “bj” a “ggj”
Es.: ho - habjo - aggio
la trasformazione del suono di “mb” in “mm”
Es.: piombo - chiummo
La trasformazione del suono di “ns” in “nz”
Es.: mansueto, calmo - manze, Alfonso - Fonze
insieme - ʹnzieme, insalata - ʹnzalata
La Campania vide poi la colonizzazione dei greci e la conquista dei romani, quindi la lingua greca e il latino (quello volgare, parlato dal popolo) hanno lasciato una traccia profonda, come si vede dai seguenti esempi:
italiano - napoletano - lingua greca
giocare - pazziare - pàizein
schiaffo - paccaro - pasa cheir (tutta la mano, a mano aperta)
bottega - puteca - apoteche
italiano - napoletano - latino
all’improvviso - a’ ʹntrasatta - intras acta
piccolo foro - pertuso - pertusum
prezzemolo - pretusino - petroselinum
In seguito la lingua subì l’influenza di altre civiltà e altri dominatori come Spagnoli e Angioini, che arricchirono il napoletano di numerosi termini:
Spagnoli
gonfiare - abbuffà - bofar
fazzoletto per il naso - maccaturo - mocador
colomba - palomma - paloma
Angioini
illuminare - allumma’ - allumer
subito - ambressa - empresse
scatola - buatta - boite
5) Quali sono le prime testimonianze scritte della lingua napoletana?
Pulcinella: le prime testimonianze scritte della lingua napoletana risalgono al 960, quando venne redatto il Placito di Capua, scritto in volgare pugliese, una lingua parlata, all’epoca, soprattutto in Campania. All'inizio del Trecento Guido delle Colonne tradusse dal latino in volgare la Storia della distruzione di Troia. I Diurnali, una cronaca degli avvenimenti più importanti del Regno di Sicilia, sono la prima opera in prosa. Nel 1442 il napoletano divenne la lingua ufficiale del Regno di Napoli grazie ad un decreto del re Alfonso V d’Aragona. La lingua napoletana dal XVIII secolo in poi andò in disuso a livello ufficiale, tuttavia essa è rimasta popolare e ancora oggi è molto parlata. Dopo anni di lavoro l’Accademia della Crusca ha elaborato un vocabolario del dialetto napoletano a dimostrazione di come la lingua napoletana sia ancora oggi un idioma da studiare e approfondire.
6) Cosa ci dici dell’ortografia napoletana?
Pulcinella: Il primo testo di letteratura in dialetto napoletano è l’Epistola napoletana scritta da Boccaccio. Più tardi viene stampata la prima raccolta di Villanelle napoletane, canzoni in dialetto che si diffusero in tutta Europa.
Più importanti ancora sono la raccolta di fiabe Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile e il poema eroicomico La Vaiasseide di Giulio Cesare Cortese (le vaiasse sono le domestiche napoletane). Francesco Oliva, infine, scrisse la prima Grammatica della lingua napoletana. Ma il napoletano si è diffuso in tutto il mondo grazie soprattutto alla canzone classica napoletana scritta dai migliori poeti e musicisti come Salvatore Di Giacomo, Libero Bovio, E.A. Mario.
Concluso il Festival della canzone napoletana, la lingua trova nuova diffusione grazie alle sceneggiate di Merola, alle opere teatrali di Eduardo De Filippo e a grandi personaggi dello spettacolo come il principe Antonio de Curtis in arte Totò.
L’uso limitato del dialetto e la differenziazione in ortografie e grammatiche diverse hanno spinto l’UNESCO, nel 2005, a certificare che la lingua napoletana è lingua vulnerabile. Non è, cioè, a rischio di estinzione in quanto viene tramandata allo stesso modo di usi e costumi, però non è oggetto di insegnamento e mancano appropriati studi accademici.
7) Degli autori che hai citato ricordi qualche opera?
Pulcinella: sicuro, di Basile il cunto La Gatta cenerentola, che comincia così:
Zezolla, ’nmezziata da la maiestra ad accidere la matreia e credenno co farele avere lo patre pe marito d’essere tenuta cara, è posta a la cucina. Ma, pe vertute de le fate, dapò varie fortune, se guadagna no re pe marito (Zezolla, istigata dalla maestra a uccidere la matrigna e credendo che quella, divenuta, per opera sua, moglie di suo padre, la tenga cara, è posta invece alla cucina. Ma, per virtù delle fate, dopo varie fortune, si guadagna per marito un re)
e poi una poesia di Salvatore Di Giacomo, Nu pianefforte ‘e notte
Nu pianefforte ‘e notte
sona luntanamente,
e ‘a museca se sente
pe ll’aria suspirà.
È ll’una: dorme ‘o vico
ncopp’a sta nonna nonna
‘e nu mutivo antico
‘e tanto tiempo fa.
Dio, quanta stelle ‘n cielo!
Che luna! E c’aria doce!
Quanto na bella voce
vurria sentì cantà!
Ma sulitario e lento
more ‘o mutivo antico;
se fa cchiù cupo ‘o vico
dint’a ll’oscurità.
Ll’anema mia surtanto
rummane a sta fenesta.
Aspetta ancora. E resta,
ncantannese, a pensà.
Ricordo, infine, Eduardo De Filippo, grande attore e autore di opere teatrali. Nelle sue opere si alternano frasi in italiano e frasi in napoletano. Ti recito un piccolo pezzo da “Natale in casa Cupiello”.
E pedalini ca cumpraste tu, che dicesti: “sono di lana pura”, qua lana pura… Conce’,
quella non è lana, t’hanno mbrugliata. È tutta na mistificazione. Tengo i piedi gelati. E
poi, la lana pura quando si lava si restringe… Questi più si lavano più si allargano, si
allungano … so’ addiventate ddoje barche, tutta la notte a correr a press e pedalin rint
o’ liett. ‘O ccafè, Cunce’
8) Ci puoi dare un aiuto per i suoni e per la grammatica?
Pulcinella: preferisco, vista la mia età, la versione storica, con qualche “aggiornamento”, sia per la parlata sia per il napoletano scritto. Per la parlata dobbiamo prestare attenzione agli accenti e ai “suoni” delle vocali e delle consonanti, soprattutto perché spesso i napoletani “mangiano” la fine delle parole. Per la grammatica gli amici “sturiusi” mi hanno fornito anche un piccolo vocabolario ma anche voi potete dare una mano con il vostro compiuterre. Per quanto riguarda la parlata o pronuncia vediamo come si comportano le vocali e alcune consonanti.
Le vocali
a: Non si pronuncia se non è accentata o è posta in fine di parola
Es. fatata - affatata - affatat(a)
e: Non si pronuncia se non è accentata o è posta alla fine o nel corpo della parola
Es. tua madre - mammeta - mamm(e)t(a)
i: Ha un suono naturale. Nei dittonghi è semimuta.
Es. occhio - uocchio - uocch(io)
o: Non si pronuncia se non è accentata o è posta alla fine o nel corpo della parola
Es. trottola - strummolo - strumm(o)l(o)
u: Ha un suono naturale
Nota dello sturius(o): il suono indistinto – quasi muto, un sospiro – è chiamato dai linguisti schwa e viene indicato con il simbolo /ə/, o anche con la vocale semimuta in parentesi: (e), (o). Questo suono particolare è una caratteristica sia del dialetto napoletano sia di quello pugliese (più precisamente barese).
Gli accenti
Possiamo distinguere tre tipi di accento:
aperto o grave: suono largo: à, è, ò
chiuso o acuto: suono stretto: é, í, ó, ú
circonflesso: indica contrazione di più vocali: â, ê, î, ô
Le consonanti
b: Ha un suono forte all’inizio della parola.
Es. ballatoio - ballaturo - bballatur(o)
Si pronuncia spesso come “v”: Es. bacio - baso - vas(o)
d: È frequente il suo rotacismo. Es. domani - rimane - riman(e)
g: Seguita da vocale si legge quasi “gv”. Es. guerra - guerra - gvuerr(a)
Seguita da “u”, “r” quasi non si legge. Es. grattare - grattà - ‘rattà
j: A inizio parola si legge come “gghi”.
Es. iettatura - jettatura - gghiettatur(a)
s: Se è seguita da consonante (tranne d, t) assume il suono strisciato “sh”
Es. sbagliare - sgarrà - shgarrà
v: Si pronuncia spesso come “b”. Es. vedere - vedé - bedé
Se si trova tra la “u” e un’altra vocale spesso diviene muta.
Es. trovare - truvà - tru(v)à
Nota: tutte le altre consonanti hanno suono naturale
Per la scrittura, infine, occorre seguire le regole grammaticali e imparare un buon numero di vocaboli, compresa naturalmente la coniugazione dei verbi. Vediamo alcune parti del discorso.
I nomi
Nomi alterati
accrescitivi: cammara - cammarone, spitale - spitale gruosso
diminutivi e vezzeggiativi: vari suffissi. Es. nennillo, aucelluzzo, marchesella
dispregiativi: vari suffissi o il prefisso malo/a. Es. pellecchia, addoraccio, malaparola
Plurale e singolare
Maschile
Se termina in a/o, al plurale termina in e
Non cambia se termina in e
Se termina in co, go al plurale termina in che, ghe
Es. l’omme - ll’uommene, ‘o singo - ‘e singhe
Cambia la vocale accentata:
Es. il cartone - ‘o cartonə - ‘e cartunə
Cambia genere:
Es. ginocchio - ‘o denucchio - ‘e denocchia
Femminile
Se termina in a, al plurale termina in e
Non cambia se termina in e
Se termina in ca, ga al plurale termina in che, ghe
Es. a serenga → ‘e serenghe, a puteca → ‘e puteche
Come già detto, se il nome femminile è preceduto dall’articolo
indeterminativo e inizia per consonante (tranne s impura), al plurale raddoppia la consonante iniziale:
Es. ‘a seggia – ‘e ssegge
Gli aggettivi
Gli aggettivi qualificativi: cambia la desinenza dell’aggettivo in base alla posizione - se sta davanti, al maschile; al femminile la cambia solo al plurale.
Es. nu bellu guaglione – nu guaglione bello, bona mugliera – mugliera bona; buoni guagliune – guagliune buone, bbelli femmene – ffemmene bbelle
Gli aggettivi qualificativi possono essere anche di grado comparativo o superlativo.
Es. ‘E patane so’ meno care d’‘e puparuole (comparativo)
Es. ‘O cane è ‘o cchiù ferele ‘e ll’animale (sup. relativo)
Es. ‘O nennillo stà tutto ‘nfuso (sup. assoluto)
Gli aggettivi possessivi
maschile s.: mio, tujo, sujo, nuosto, vuosto, lloro
maschile p.: mieje, tuoje, suoje, nuoste, vuoste, lloro
femminile s.: mia, toja, soja, nosta, vosta, lloro
femminile p.: meje, toje, soje, noste, voste, lloro
Vanno posti sempre dopo il nome a cui si riferiscono.
Se gli aggettivi possessivi mio/mia e tujo/toja si riferiscono ad un parente si possono unire al nome posponendo i suffissi mo/ma e to/ta: patemo, mammeta
Gli aggettivi dimostrativi
questo: chisto (u)/chesta, chisti/cheste – ‘stu/’sta, ‘sti/’ste
Davanti a un nome: chistu vico
Raddoppio: chistu lloco
quello: chillo (u)/chella, chilli/chelle
Davanti a un nome: chillu vico
Raddoppio: chillu lloco
Aggettivi numerali
cardinali: uno, doje (duje), tre, quatto, cinco, seje, sette, otto, nove, diece/riece, unnece, durece/rurece, trirece, …
ordinali: primmo, sicondo, uttavo, decemo, unnicesimo…
modi di dire: nu paro, na pareglia, n’ambo = 2
na decina, nu migliaro = circa dieci, circa mille
I verbi ausiliari
Il verbo essere: in napoletano al suo posto si usa spesso il verbo “avé”; (come verbo ausiliare) o il verbo “stà”. Spesso il verbo essere viene sostituito dai verbi venire- venì, andare - je:
chillo venette acciso , ‘e ccarte noste so’ ghiute sperze
Modo indicativo: presente: i’ songo/sò, tu sì, isso è, nuie simmo, vuie site, loro songo/sò
Il verbo avere: I tempi composti dei verbi si formano spesso con un unico ausiliare, “avé”. Il verbo avé non ha mai il significato di “possedere”. In tal caso si usa il verbo “tenè”. Ad esempio: ho un asino - tengo a nu ciuccio
Modo indicativo: presente: i’ aggio, tu avaje, isso ave, nuje avimmo, vuje avite, loro aveno
Note per i verbi, sia regolari che irregolari
all'indicativo non si usa quasi mai il futuro (anche se c’è). Si preferisce una locuzione come Dimane vengo addu te;
il passato remoto si trova nella forma in aje e in ette: cantaje, verette;
per il congiuntivo si usa spesso l’imperfetto, mentre il presente è di fatto sostituito nel napoletano dal presente indicativo.
il trapassato remoto non esiste
il condizionale è oggi poco usato e spesso è sostituito dall’imperfetto congiuntivo: Si parlasse cchiù ppoco fosse meglio
per il participio passato, oltre alle forme in ato e ito, è molto diffusa la forma in –uto: aggio fernuto (da fernì “finire”), songo jùto o so’ gghiuto (da je “andare”).
Inoltre sono caratteristiche, e alcune ancora molto usate, le forme “forti” del participio passato, come vìppeto per vevuto (“bevuto”), perzo per perduto .
Per gli avverbi, le preposizioni, le congiunzioni e le esclamazioni vale la pena ricordare le locuzioni:
Locuzioni avverbiali:
all’intrasatto e tutto ‘nzieme ((improvvisamente), ‘a mannese (a portata di mano), ‘a zeffunno (abbondantemente), ‘a smerza (al rovescio), ‘e spighetto (di traverso), ‘ncoppo ‘o fatto (in flagrante)
llà sotto, ccà vicino, ccà nnanze, llà fora, ‘a via ‘e coppa/sotto), ‘a parte ‘e dinto/fora, sotto ‘n coppa (sottosopra), ‘ntrirece (in mezzo), jesce dinto/fora (vieni dentro/fuori)
Locuzioni prepositive: primma ‘e accummincià; doppo all’ate; sotto a nu pergulato; ‘nnanze a ‘o vico; fora a ‘o vascio; addereto a ‘o purtone; ’nzieme cu ttico; luntano a Napule; vicino a ‘o mare.
Locuzioni congiuntive: visto ca, p’ ‘o fatto ca, pe’ via ca, addò ca, mente ca, cu tutto ca
Locuzioni esclamative: Uh anema d’‘o priatorio.
Un esempio di scrittura è dato da questa piccola raccolta di detti e proverbi:
‘E figlie so’ ppiezz’ ‘e còre
I figli sono pezzi del proprio cuore
Ogni scarrafone è bello ‘a mamma soja
Chiunque è bello agli occhi della propria madre
‘O pesce fète d’a capa
Il pesce puzza dalla testa
(Quando c’è un problema la colpa è di chi comanda)
Sul’à morte nu’ ‘nc’è rimedio
Soltanto alla morte non c’è rimedio
‘A cunferenza è padrona d’ ‘a malacrianza
Troppa confidenza porta alla maleducazione
Chi fatica magna chi nun fatica magna e beve
Chi fatica mangia, chi non fatica mangia e beve
Chi è povero ‘e denaro è ricco ‘e core
Chi è povero di denaro è ricco nel cuore
Tre songo ‘e putiente: ‘o rre, ‘o papa e chi nun tene niente
Tre sono i potenti: il re, il papa e chi non possiede niente
E solde fanno venì ‘a vista ‘e cecate
I soldi fanno tornare la vista ai ciechi (Il denaro può tutto)
‘A meglio parola è chella ca nun se dice
La parola migliore è quella che non si dice (A volte è meglio tacere)
Nisciuno è nato ‘mparato
Nessuno è nato istruito
Adda passà ‘a nuttata
Deve passare la nottata (I guai prima o poi finiranno)
Ogni capa è ‘nu tribunale
Ogni testa è un tribunale (Siamo tutti pronti a giudicare)
E chiacchiere s’ ‘e pporta ‘o viento; ‘e maccarune jengheno ‘a panza
Le chiacchiere se le porta il vento; i maccheroni riempiono la pancia
(Le parole sono inconsistenti)
Ogne bella scarpa cu’ ‘o tiempo addiventa scarpone
Ogni bella scarpa col tempo diventa scarpone
(Anche le cose più belle col tempo peggiorano)
‘O sàzio nun crére a ‘o diùno
Chi è sazio non crede a chi è digiuno
Se poi si va in giro per Napoli:
Durante il Covid
Pascale: ‘O fatto me scuncerta. Veco c’ ‘a ggente s’ammisca sempe ‘e cchiù cu stu riavolo ‘e virùs.
‘Ndonio: A penzà malamente, ce putimmo ammiscà, carè malate e pure arrecettà.
Pascale: Si jammo appriesso i cunzigli ri mierici, nun ce putimmo ammiscà, fuòrze.
‘Ndonio: Però aggia essere cierto, “‘o ciente pe’ ciente”, ca nu succere.
Pascale: Dint’ ‘a vita te pare normale ‘e stà cierto “‘o ciente pe ciente”?
‘Ndonio: Si care malato è firnito ‘o munno.
Pascale: Penzà a sti ccose brutte assaje nu’ serve annènti, statte bbuono
‘Ndonio: Haje ragiune, addà passà ‘a nuttata. ‘O sapimmo, cchiù nera ‘ra mezzanotte nun po’ venì.
Allo sportello informazioni
Scusate giovanotto, non sono pratica di Napoli. Qual è il mezzo più comodo e veloce per andare a Posillipo? = Addimanne scusa giuvinotto, nun stongo ‘e casa a Napule. Ce sta nu mezzo assaje commote e beloce pe’ j’ a Pusellepo?
Devo andare alla stazione, quale strada devo prendere? = Aggia j’ a stazione ro treno, qua’ via aggia piglià?
Se volete qualcosa al bar
Vorrei un caffè e una zeppola con la crema = Vurria (vulesse) nu cafè e na’ zeppula ca crema
Mi portate un gelato a fragola? = Me purtate nu gelatu c’ o’ sapure e’ fravula?
Vorrei un bel bicchiere d’acqua, freschissima = Vurria (vulesse) nu bellu becchiere r’accua, frisca frisca.
Se vi occorre una riparazione artigianale
Chiedo scusa, c’è nei pressi un calzolaio? = Addimanne scusa, ce sta abbicino nu solachianiello?
Si è scucita la gonna, qualcuno sa dove posso trovare un sarto? = ‘A vunnella s’è scusuta. Quaccuno ossape addò pozzo truvà a nu cusetore?
Acquistare in un magazzino
A quanto vendete questo cappello, dieci euro o tredici euro? E quella camicetta? = A quante vinnite sto cappiello, riece o trirece euro? E chella cammisella?
Sto cercando una camicia bianca e una cravatta a righe, e pure un paio di guanti. = Stongo a cercà na cammisa janca e na scrodda cu ‘e rrighe, e ppure nu paro e’ uante.
Posso provare questi pantaloni? Mi sembrano proprio giusti di gamba. = Pozzo ammesurà sti pantalune? Me pareno propete justu e’ gamma.
Bibliografia (consigliata)
Una lingua gentile: storia e grafia del napoletano
Autori: N. De Blasi, F. Montuori
Cronopio 2020
Il Pentamerone sarnese
Autore: A. Carrella
Ripostes 2006
Parlare e scrivere in dialetto napoletano
Autore: A. Iandolo
TempoLungo 2001
Sitografia (consigliata)
La lingua napoletana:
Dialetto napoletano – Wikipedia (origini e storia, fonetica, testimonianze scritte, prestito da altre lingue)
Dialetto napoletano – napoli-turistica.com (storia)
Dialetto napoletano – cosedinapoli.com (storia e prestito da altre lingue)
Dialetto napoletano – openstarts.units.it (francesismi)
Dialetto napoletano – contrastiva.it (ispanismi)
Dialetto napoletano – rivistastudio.it (il fenomeno dello schwa)
Lingua napoletana – napolilike.it (origine ed evoluzione della lingua)
Lingua napoletana – patrimonilinguistici.it (decisione UNESCO)
Lingua napoletana – duepuntotre.it (proverbi e detti napoletani)
La grammatica
Grammatica essenziale – angeloxg1.altervista.org
Grammatica minima – balbruno.altervista.org
Grafia e grammatica napoletana – vesuvioweb.com
Il lessico
Nuovo vocabolario tascabile – nap.wikisource.org
Il dialetto napoletano – scoprinapoli.com
Vocabolario dialettale – liberoricercatore.it
Vocabolario napoletano/italiano – ‘ndonio.it
Scritto da Alienato Lunizanna, Sintichro Fafici e Misone Annam.
Un ringraziamento per la sua collaborazione al nonno Paolo
Pulecenella ve saluta!