Tracce di significazione risignificazione del territorio: uno sguardo su Appio Claudio e il Parco dell’Appia Antica

di Daniel Vincenzo Caputo, Marialuigia De Stefano, Lorenzo Dolfi, Enzo Passamonti, Cristiano Tancredi

Da quando furono gettate le fondamenta dei primi palazzi, fino ai giorni nostri, il quartiere Tuscolano è stato preso ad esempio di come non si deve costruire: elevata densità abitativa, speculazione edilizia e fondiaria, assenza di servizi e verde pubblico, quartiere dormitorio, periferia degli immigrati e tanto altro ancora.

Lo stato dell’arte sull’analisi dei quartieri con un’alta densità edilizia, tende a demonizzare gli stessi, non curandosi minimamente del punto di vista delle persone che lo abitano e che lo vivono. Il tentativo di costruire una narrazione storica positiva da parte dei cittadini, tende a permeare questi luoghi di pratiche territoriali al fine di creare un’identificazione simbiontica con il quartiere stesso.

D’altronde, come afferma Carlo Cellamare: “la città non è data dal solo processo costruttivo dei processi fisici, ma è data dal continuo adattamento, attrezzamento e appropriazione di tali spazi per renderli luogo abitabile”[1].

Attraverso le interviste, un’analisi diacronica e sincronica e il lavoro sul campo, la nostra indagine ha avuto come obiettivo quello di non soffermarsi soltanto sulle analisi fatte da storici e urbanisti, ma ha cercato di raccogliere tutti quegli elementi che potessero innescare un processo di risignificazione (ancora in atto) del territorio, al punto tale da identificarsene.

A tal proposito, l’antropologo francese Marc Augè afferma: “Tutti noi abbiamo bisogno di luoghi dove ci riconosciamo, e dove gli altri ci riconoscono. Così, si può osservare come ciò che è un luogo per alcuni sia un non-luogo per altri, durevolmente oppure no. Lo spazio di un aeroporto, per esempio, non ha lo stesso significato per il passeggero che ci si imbarca e per l’impiegato che ci lavora tutti i giorni con i colleghi.”

[1] “Progettualità dell’agire urbano: processi e pratiche urbane”, 2011; p.29

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