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Piero Bottoni e l’Ina-Casa: un rapporto complesso

L. Montedoro Piero Bottoni e l’Ina-Casa: un rapporto complesso, in P. Di Biagi (a cura di), La grande ricostruzione. Il piano Ina-Casa e l’Italia degli anni ‘50, Donzelli, Roma, 2001, pp. 321-334.

Anno 1949, italiani alla ricerca di un tetto

Per molti professionisti è stata la prima grande occasione di lavoro del Dopoguerra.

Ricostruzione: un libro ripercorre la storia del Piano voluto da Fanfani per offrire alloggi e occupazione. L'Ina-Casa, un'esperienza che ha cambiato vita e architettura del Paese

di Stefano Bucci

da Corriere della Sera, 18/11/2001, TERZA PAGINA, pag.31

L'illusione di un tetto, e di un lavoro, per tutti gli italiani comincerà a prendere forma il 24 febbraio del 1949. Con l'approvazione, da parte del Parlamento, di un «Progetto di legge per incrementare l'occupazione operaia, agevolando la costruzione di case per i lavoratori». Grande artefice di questa illusione, che si tradurrà nel Piano Ina-Casa, sarà il ministro del Lavoro e della Previdenza sociale del governo De Gasperi, il democristiano Amintore Fanfani. Turbato, come raccontarono i suoi più stretti collaboratori di allora, «dalla visione del disagio di tante migliaia di disoccupati, colpiti non solo nel fisico per la mancanza del pane quotidiano ma anche nello spirito perché privati di un'occupazione come completamento della propria personalità». Questo progetto, che qualcuno vedrà come un eccellente volano di consenso e di voti, diventerà realtà in tempi brevissimi. Il 7 luglio 1949 si inaugurerà il primo cantiere, il 31 ottobre dello stesso anno ne saranno in funzione 649, mentre settimanalmente verranno realizzati 2.800 alloggi e verranno assegnate abitazioni a 560 famiglie. E, quando quattordici anni più tardi il Piano Ina-Casa decadrà, i suoi 20 mila cantieri avranno impegnato «in occupazione stabile» 40 mila lavoratori edili all'anno. Dando vita a un universo di 1.920.000 vani, pari a 355 mila alloggi. Il libro curato da Paola Di Biagi traccia con estrema precisione, attraverso contributi e immagini, soprattutto i contorni architettonici di questa Grande Ricostruzione durata dal 1949 al 1963. Una ricostruzione che non soltanto ha dato la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita a migliaia di famiglie, ma che è servita ad accrescere la qualità della nostra edilizia popolare. Allontanandola dai modelli razionalisti del Ventennio fascista e avvicinandola a modelli di respiro internazionale: il Karl Marx-Hof di Vienna (lo stesso che farà da sfondo al Portiere di notte della Cavani), le case gemelle di Hoek von Holland nei dintorni di Rotterdam, l'Interbau di Berlino, il Neubühl di Zurigo. Così gli architetti e gli ingegneri, delusi dalle occasioni perdute nella prima fase della rinascita italiana, poterono trovare nel Piano Ina-Casa una grande opportunità «per dare forma all'espansione delle città». Tanto che, sui 17 mila attivi nel nostro Paese durante quegli anni, circa un terzo verrà coinvolto nel Piano Ina-Casa. «Per alcuni professionisti di mezza età - scrive Leonardo Benevolo nella sua Storia dell'architettura - gli incarichi Ina-Casa sono stati la prima occasione di una certa importanza offerta dal Dopoguerra; per molti giovani, la prima possibilità professionale». Accanto a Fanfani nella vicenda del Piano Ina-Casa ci saranno, oltre agli alti prelati che assiduamente benediranno i nuovi edifici, Filiberto Guala come presidente del comitato di attuazione e Arnaldo Foschini come architetto committente degli architetti. Sarà invece Adalberto Libera a stabilire i confini progettuali del Piano e saranno i confini di una urbanizzazione all'insegna della bassa densità di popolazione, del verde e di forme lontane dal razionalismo «realizzate nel rispetto delle tradizioni e dei materiali locali». Nel Piano Ina-Casa si coniugarono, dunque, solidarietà sociale ed evoluzione architettonica. Nel segno del basso costo e delle teorie già esposte da Gio Ponti nella sua Casa esatta e per tutti. Quello stesso Ponti che il 25 agosto del 1948, proprio quando il disegno di legge stava approdando al Senato, aveva stigmatizzato sul Corriere della Sera «le finestre tutte uguali delle case del Piano Fanfani». Gli edifici di via Pessina a Cagliari, i palazzi a stella e a schiera del Tiburtino a Roma, il Complesso residenziale di Forte Quezzi a Genova, il quartiere di via Harrar di Milano sono state forse le espressioni più significative di questo Piano. A cui si sono affiancati altri episodi più o meno riusciti, ma comunque innovativi, come le case di Corso Sebastopoli a Torino, di Borgo Panigale a Bologna, dell'Isolotto a Firenze. Progettate da Albini o Aymonino, dallo studio Bbpr o Castiglioni, da Gardella o Daneri, da Figini e Pollini o Sottsass. Mentre Gregotti realizzerà, per la Triennale di Milano del 1954, un arredamento tipo che coniugherà spazi limitati e qualità dell'arredo. Più tardi quell'illusione, che voleva allontanare gli italiani dall'incubo di case malsane e senza speranza, assunse per molti i contorni di un incubo. Tanto che di volta in volta il Piano Ina-Casa diventerà prodotto di una politica conservatrice, fattore di marginalizzazione dei ceti più deboli, sinonimo di malessere urbano e sociale. L'intenzione più recente è invece quella di riqualificare e di non disperdere il patrimonio architettonico (spesso degradato) contenuto in questa Grande Ricostruzione. Che ai suoi inizi venne celebrata persino dal cinema: con documentari voluti dal Ministero e sceneggiati addirittura da Ennio Flaiano o con film che parlavano di frenetiche «cacce alla casa», come Il Tetto di Vittorio De Sica o Auguri e figli maschi di Simonelli. Anche se l'icona più incredibile dell'intero Piano rimane Mamma Roma di Pasolini, dove Anna Magnani tenta di reinventare la propria vita in una Roma piccolo-borghese modello Ina-Casa, quella del Quartiere Cecafumo. Davanti a uno scenario che il regista friulano definì «caramelloso e apocalittico». Come un'illusione.