l’estatevola

L’estate vola

di Andrea Caccia

(BETACAM SP – 18')

Una visione mattutina, un.idea improvvisa che svolazza nella testa: filmare Milano in Agosto. Un specie di geografia del vuoto, per conoscere meglio il proprio territorio. Come un antropologo in cerca di civiltà mai viste, come uno spazzino che raccoglie lo sporco dalle strade, come il giornalista che non ha notizie o come lo stratega che costruisce le proprie imprese con pazienza, intuito e cuore. Senza percorso, senza sceneggiatura, senza guida, camminando in giro per la città in cerca di una risposta che non c’è.

La differenza dello sguardo: qualcosa di difficile da comunicare, la sua alterità rispetto alla realtà che lo circonda, lo spostamento che si mette in atto quando si guarda da fuori, lo scentramento dell'occhio che non si piazza sul proprio baricentro. E' quello che riesce a raccontare Andrea Caccia in questo suo lavoro: cronaca di un’estate milanese vissuta attraverso gli occhi di un alieno che attraversa la città in cerca del fratello scomparso mesi prima su quella terra inospitale. In realtà, come si scopre alla fine, con un ironico detour, storia di un extracomunitario destinato alla dispersione nella difficile realtà di un cosiddetto "mondo civilizzato", narrata da Caccia con la sensibilità di chi filma ombre di realtà con lo sguardo stupito di chi scopre bagliori di verità da raccontare in ogni immagine. < xml="true" ns="urn:schemas-microsoft-com:office:office" prefix="o" namespace="">

Piace di questo cortometraggio lo spiazzamento continuo che cerca tra il quadro e la scena, ma anche tra la scena e il narrato. L’effetto distorto della voce fuori campo impone alla forma narrativa il suo punto di vista, senza che tuttavia la rivelazione finale tradisca mai lo spirito complessivo dell'impianto: è solo una deviazione quella che si oppone nel finale alla comprensione del testo, senza che nulla di quello che si è visto e compreso prima resti fuori. Lo sguardo riecheggia nel teso offrendo risonanze da Chris Marker e alla fine ci si sorprende commossi non tanto dal retrogusto mélo che questa storia di "ricerca e smarrimento in un altro mondo" pur comunica, quanto dallo spiazzamento che lo sguardo subisce ad opera del racconto nel segno di una affabulazione tutta visiva.