La proposta di Sel: l'azienda delocalizza? Restituisca i contributi pubblici

Data pubblicazione: Nov 11, 2014 1:55:49 PM

all’estero delle aziende italiane in Romania

Si parte dalla «A» di A.S. Merloni: elettrodomestici e componentistica, 3.500 dipendenti tra Marche, Umbria ed Emilia Romagna. Si chiude con la «V» di Villaggio Pollina: settore turismo, 100 lavoratori, con sede in Sicilia.

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In mezzo l’Alcoa e l’Ansaldo Breda, la Irisbus e laNatuzzi, la Nokia-Siemens e la Richard Ginori, la Riva Acciaio e la Valtur. Aziende grandi, come St Microelectronics (8.000 lavoratori), Electrolux (7.000) eSelex (6.000). Altre più piccole, dall’Agfa in Lombardia (meno di 100 dipendenti) alla Italcables in Campania (66). Una mappa, in sostanza, delle decine di migliaia di posti a rischio che fanno da corollario all’iniziativa di Sinistra ecologia e libertà. delocalizzazione in romania

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Nel mirino del partito di opposizione ci sono le disposizioni contenute nella Legge di stabilità 2014 (approvata il 27 dicembre 2013) che si occupano del fenomeno, sempre più diffuso, della delocalizzazione delle attività produttive dall’Italia all’estero. In particolare la norma che prevede l’obbligo, per le imprese (italiane ed estere) che abbiano beneficiato di contributi pubblici in conto capitale e che entro tre anni dalla loro concessione trasferiscano la produzione in «uno Stato non appartenente all’Unione europea» con «conseguente riduzione del personale di almeno il 50 per cento», di restituire i contributi ricevuti dalla data di entrata in vigore della legge. Misure che, secondo i deputati di Sel, sarebbero in buona sostanza da riscrivere. Perché viziate da due limiti che ne restringono oltremodo l’ambito di applicazione. commercialista in romania lingua italiana

Primo: l’obbligo di restituire i contributi scatta solo in caso di delocalizzazione in un Paese extra-Ue, ma non se il «trasloco» ha come meta finale un altro Stato dell’Unione Europea. Eppure, rileva il gruppo Sel alla Camera nella relazione introduttiva che accompagna la proposta di legge, la destinazione preferita è proprio «l’oriente europeo» in particolare «Bulgaria, Polonia, Romania e Ungheria», meta dell’80 per cento delle imprese italiane che hanno intrapreso la via della delocalizzazione».

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Secondo: il limite della riduzione del personale di almeno il 50 per cento come conseguenza della delocalizzazione che non assicura, secondo Sel, adeguata «salvaguardia e protezione sociale dei livelli di occupazione dell’impresa» che ha scelto di delocalizzare.

Ecco allora la nuova formulazione della norma targata Sel, con cui il partito di opposizione punta a superare i limiti della disciplina vigente. La decadenza dal beneficio e l’obbligo di restituzione dei contributi in conto capitale ricevuti scatterebbe per tutte le imprese che, entro tre anni dalla concessione del contributo stesso, decidessero di delocalizzare non solo in uno stato extra Ue ma anche in un Paese «appartenente all’Unione Europea», con conseguente «riduzione o messa in mobilità del personale» senza alcun tetto minimo, previsto invece nella misura del 50 per cento dalla Legge di stabilità.

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Restrizioni ancora più pesanti vengono, inoltre, previste per le imprese italiane ed estere con almeno 1.000 dipendenti: non potranno, in ogni caso, delocalizzare «prima di aver trovato un nuovo acquirente che garantisca la continuità aziendale e produttiva, nonché i livelli occupazionali dell’impresa stessa». In caso di violazione di questo obbligo, l’azienda dovrà restituire in conto capitale ricevuti non solo dalla data di entrata in vigore della legge ma incamerati negli ultimi cinque anni, gravati degli interessi legali, oltre a pagare una sanzione amministrativa pari al 2 per cento del fatturato dell’ultimo quinquennio. Insomma, un vero e proprio giro di vite, rispetto alla disciplina attualmente vigente, che scatterebbe se la proposta di legge targata Sel venisse approvata.

«Per troppo tempo la politica industriale del Paese è rimasta inerme dinanzi al fenomeno della delocalizzazione», spiega a “l’Espresso” la deputata di Sel, Lara Ricciatti, prima firmataria della proposta: «Con questa iniziativa vogliamo lanciare un messaggio chiaro: l’Italia non è un Paese che spalanca le porte alle imprese che decidono di delocalizzare per inseguire guadagni e profitti facili». Un testo, intorno al quale, i parlamentari di Sinistra ecologia e libertà hanno già raccolto disponibilità e numerose adesioni tra i colleghi della sinistra Pd (tra loro c'è anche Pippo Civati). E il capogruppo alla Camera, Arturo Scotto, sottolinea un altro aspetto: «Puntiamo a rimettere al centro del dibattito , con questa e altre proposte, il nodo della delocalizzazione che mette in discussione la capacità produttiva e a rischio i livelli occupazionali del Paese. L’obiettivo della nostra pdl è l’introduzione di un meccanismo di premi: stop agli incentivi per chi delocalizza, sostegno invece a quelle imprese che, nonostante la crisi, pur facendo sacrifici, hanno scelto di restare, investire e continuare a produrre in Italia

Nel piazzale c’è anche un buco, ricoperto di calcestruzzo e ghiaina, dove vennero fatte le perizie e i carotaggi per l’inchiesta giudiziaria dopo i crolli, che fa venire i brividi: «Ecco, è in questo punto che abbiamo trovato Gerardo Cesaro: quella mattina abbiano sperato fino all’ultimo momento che si fosse salvato...» e mentre lo dice, il tono della voce di Enzo Dondi quasi si spegne. Perchè Gerardo è diventato una delle tante vittime sul lavoro la notte del sisma del 20 e poi del 29 maggio 2012 tra Ferrara e il Modenese. E perchè per Enzo Dondi, 77 anni portati niente male, titolare di Tecopress, fonderia di leghe speciali di alluminio, uomo d’altri tempi e selfmademan padano che ha costruito questa azienda nel 1971, i suoi operai sono la sua Grande famiglia.

Oggi però deve pensare a tutti quelli che sono rimasti, 180 dipendenti, «al 50% sono donne, siamo nelle loro mani e siamo fortunati per questo», perchè il futuro nonostante le tante commesse, un fatturato in crescita e segnali di ripresa del settore automobilistico per cui l’azienda lavora, il futuro è incerto. «Stiamo aspettando l’omologa del concordato preventivo in continuità aziendale che abbiamo presentato e depositato in tribunale». Manca solo questa: «Ma per averla, all’assemblea dell’11 novembre prossimo, le banche creditrici dovranno dare l’assenso al nostro piano».

Un piano lanciato verso il futuro, con un nuovo stabilimento, capannoni e macchinari all’avanguardia, il mantenimento di tutti i posti di lavoro e soprattutto «l’assunzione di 20 tecnici di altissimo livello, specializzati, tutti ingegneri per migliorare sempre più la nostra offerta sul mercato», spiega con orgoglio Dondi. Un piano che abbandonerà per sempre l’idea e il progetto pensato nel lontano 2007, prima della crisi e mai partito, di portare in Romania una parte delle lavorazioni per catturare commesse dalle fabbriche di auto low-cost e dal settore elettrodomestici, perchè allora importanti costruttori italiani stavano delocalizzando all’est: «Ora siamo qui e qui vogliano restare, per garantire un futuro ai nostri dipendenti e a un indotto che in tutto fa 400 famiglie».trasferire attivita azienda in romania

Il futuro però è nelle mani delle banche, locali e nazionali. Tutte che possono vantare 23 milioni di crediti, accumulati dal lontano 2008: «E’ vero, siamo nelle loro mani, ma possiamo dire che in questi 6 anni la loro paziente attesa ci ha consentito di sopravvivere». Ossia, non hanno mai bussato alle porte di Tecopres per pretendere il rientro dei crediti. E questo ha permesso all’azienda di restare sul mercato, e rilanciarsi. Oltre la crisi, infatti, ha dovuto fare i conti con il terremoto: «E’ rimasto in piedi solo 1/3 delle nostre strutture, il resto è crollato. E quello che è rimasto dovrà essere abbattuto per far posto ai nuovi capannoni», racconta mentre nel piazzale deserto guarda la sua fabbrica che non c’è e già immagina quella di domani: «Ecco questo è il progetto - e illustra la fotosimulazione dei capannoni - questo è ciò che vogliamo fare se ce lo consentiranno. Noi la nostra parte l’abbiamo fatta, e se mi chiede se sono ottimista rispondo, ‘chi vivrà vedrà’. Per noi conta ciò che abbiano fatto negli ultimi 6 anni, se non ci fosse stato ottimismo da parte di tutti i nostri lavoratori, dal primo all’ultimo, che hanno tirato con noi per resistere, oggi non saremmo qui. E noi vogliamo andare avanti. Non ci consola sapere che tanti altri del nostro settore hanno perso e stanno perdendo e che tanti sono in crisi: credo che i nostri numeri siano il frutto di determinazione e convinzione con cui stiamo portando avanti le nostre idee per restare sul mercato». Un mercato che parla di commesse con grandi marchi: Audi, Volkswagen, General Motors, Vm, Ducati solo per citare i più grandi: «Siamo stati anche fortunati, nel primo dopo-terremoto siamo riusciti a convincere gli americani con i nostri prodotti e ora lavoriamo per Gm». Ma per fare un altro esempio, anche Bmw era pronta a lavorare con Tecopress: «Era un momento difficile, prima del sisma, stavamo proponendo un piano di rientro alle banche, non andato a buon fine, e Bmw che non aveva garanzie ha lasciato perdere: era un’importante commessa per l’Europa, ma quella porta è sempre aperta, nel futuro». E’ questo l’ottimismo di Enzo Dondi che già pensa all’omologa che deciderà il futuro di una azienda che ha come fiore all’occhiello certificazioni ambientale e di sicurezza (non lavori senza, in Europa e nel mondo), che dà pane e speranza a 400 famiglie, che vuole correre e non restare in surplace. «Abbiamo sempre lavorato anche dopo il terremoto, però è come se fossimo sfollati», chiude Enzo Dondi guardando il piazzale deserto, i macchinari e i forni che vogliono riaccendersi a 700 gradi, e che aspettano solo un «sì». hotel alberghi in vendita in romania