Virgilio, Eneide, III – SCILLA e CARIDDI
vv. 420-424
Dexterum Scylla latus, laevo, inplacata Charybdis 420
obsidet atque imo barathri ter gurgite vastos
sorbet in abruptum fluctus rursusque sub auras
erigit alternos et sidera verberat unda.
Occupa il lato destro Scilla, il sinistro Cariddi
mai placata, e dai gorghi d’abisso tre volte risucchia
vasti flutti già nei dirupi e ai venti di nuovo
con moto alterno li scaglia, e frusta le stelle con l’onda.
vv. 554-559
Tum procul e fluctu Trinacria cernitur Aetna,
et gemitum ingentem pelagi pulsataque saxa 555
audimus longe fractasque ad litora voces
exsultantque vada atque aestu miscentur harenae.
Et pater Anchises: «Nimirum hic illa Charybdis:
hos Helenus scopulos, haec saxa horrenda canebat».
Quindi lontano si scorge fra i flutti l’Etna trinacrio
e sentiamo del mare il gemito ingente, e percossi
in distanza gli scogli e voci spezzate alle spiagge,
e il fondo si sommuove e nel flusso si mischiano sabbie.
E il padre Anchise: «Di certo, qui è la famosa Cariddi:
Eleno queste rocce e scogliere tremende annunciava».
LAEVO
È un aggettivo che indica una ripartizione dello spazio, e compare spesso in diversi contesti virgiliani senza particolare rilievo. In alcuni casi invece, assume il valore di “funesto”, “avverso”, come nel laevum lumen in Aen. X, vv. 270-75.
INPLACATA
Virgilio conia l'epiteto che rende il ribollire senza sosta delle acque, tuttavia il poeta non descrive Cariddi come una presenza concreta, riservando la rappresentazione agli effetti naturali che essa riproduce sul mare. Rispetto alla descrizione omerica, è presente in Virgilio una tendenza all'uso di espressioni iperboliche, ad esempio sidera verberat unda, (v.423). Si potrebbe pensare che l'autore abbia voluto compensare con una rappresentazione enfatica e straniata Cariddi, che, ben lontana dall'essere il terribile mostro quale perfino Scilla è preferibile, non provoca il minimo danno alle navi di Enea.
CHARYBDIS
Per la prima volta qui nominata, Cariddi (dal greco Χάρυβδις) è un mostro marino tradizionalmente collocato in corrispondenza dello stretto di Messina, più precisamente nel lato siciliano. Cariddi non viene specificatamente descritta: si dice solo che tre volte al giorno risucchia in modo letale l’acqua per poi rivomitarla.
GURGITE
Da gurges, gurgitis, indica propriamente acqua in movimento vorticoso, roteante, risucchiante, in connessione con una voragine o simili.
GEMITUM INGENTEM PELAGI
Significa letteralmente “il gemito ingente del mare”, e mostra una partecipazione del poeta al narrato: il gemitus pelagi, pur con il suo realismo sonoro, si colora infatti di una personale interpretatio, e contribuisce al processo di umanizzazione del mare.
SCILLA
Scilla (in greco antico: Σκύλλα, Skýlla) è un mostro marino della mitologia greca. Secondo la versione più comune, Scilla è figlia del dio Forco (o Forcide) e di Ceto. Secondo la tradizione riportata dall'Odissea, invece, è figlia della ninfa Crateide. Altre leggende la dicono nata da Forbate e da Ecate, oppure da quest'ultima e Forco. Scilla viene descritta da Omero nell'Odissea, XII, 112, da Ovidio nei libri XIII-XIV delle Metamorfosi e da Virgilio nell'Eneide, III.
-V. 420 Dextrum Scylla latus “il lato destro Scilla”: secondo la tradizione Scilla occupa la costa
calabrese dello stretto di Messina.
-V. 424-428 At Scyllam caesis cohibet spelunca latebris ora extertantem et navis in saxa trahentem.
Prima hominis facies et pulchro pectore virgo pube tenus, postrema immani corpore pistrix
delphinum caudas utero commossa luporum “una spelonca, invece, racchiude in cieche latebre
Scilla, che sporge il suo volto e attira le navi agli scogli. E’ umano il suo primo aspetto, di vergine
dal seno splendido fino all'inguine; in basso è un mostro immenso nel corpo, con code di delfini a
ventri di lupi connesse.”
secondo la mitologia Scilla, originariamente una ninfa, fu trasformata dalla maga Circe in un orrido mostro dalle sembianze umane dalla testa al petto, e in basso fece spuntare sette teste di cane, per l’orrore che essa stessa provava si gettò in mare e si nascose nella spelonca della costa calabrese in attesa di marinai da divorare.
-V.432 Scyllam et caerululeis canibus resonantia saxa “Scilla una volta, e gli scogli sonanti di cani
cerulei” anche qui si allude alle sette teste di cane di cui è dotata Scilla
-V. 685-686 discrimine parvo ni teneat cursus “dove breve spazio separa da morte” Eleno indica
ad Enea di non passare per lo stretto di Messina poiché in ambo i lati sono annidati due mostri
marini, Scilla e Cariddi.