Le Arpie e le isole Strofadi
Le isole Strofadi
Enea e i suoi compagni dopo una tempesta avvistano in lontananza alcune isole che sono dette Strofadi; lì dimorano delle creature chiamate Arpie con il loro capo Celeno. Appena sbarcati vengono accolti da mandrie di buoi e greggi di capre incustoditi; i compagni aggrediscono le bestie per saziarsi ma arrivano le Arpie che li attaccano e il gruppo trova riparo nel bosco. L’isola è caratterizzata da monti e da fitti alberi che serviranno da rifugio a Enea e ai suoi compagni di ventura; il luogo è molto anonimo e si presenta come qualsiasi altra isola che Enea incontra, se non fosse per le orribili creature che la abitano e che si nascondono nella selva. Le isole Strofadi sono due isolette circondate dal Mar Mediterraneo posizionate esattamente a 27 miglia sia dall’isola di Zante che dalla costa del Peloponneso; oggi si chiamano Arpia la più piccola e Stamfani la più grande.
La figura delle Arpie
Enea incontra le Arpie dopo essere approdato sulle Strofadi in seguito ad una tempesta per riposarsi ed approvigionarsi; i guerrieri si imbattono in mandrie di buoi e greggi di pecore che aggrediscono per saziarsi, ma vengono attaccati dalle terribili creature. Enea quindi ordina ai suoi compagni di rifugiarsi sotto una rupe ma le Arpie li attaccano una seconda volta. I compagni fanno pressione ad Enea per impugnare le armi e combattere; una terza volta arrivano le creature e i compagni cercano di difendersi ma senza successo. Celeno, il capo funesto, indovina, si apposta su una rupe per dare una profezia ad Enea prevedendo patimento di una fame funesta una volta approdati sulle coste dell’Italia.
Le Arpie vengono descritte da Virgilio come: “Virginei volucrum voltus, foedissima ventris proluvies uncaeque manus et pallida semper ora fame"(vv 216-218), ossia come volatili con volti umani di ragazze, artigli e ali che durante il volo insozzano tutto con repellenti flussi dal loro ventre. Nella mitologia greca le Arpie erano mostri alati rappresentati con il volto femminile e il corpo di avvoltoio; sono figlie di Taumante ed Elettra anche se per altri autori sono figlie di Poseidone e Gaia o di Echidna e Tifone che generarono anche Cerbero e l’Idra. I loro nomi erano: Podarge, Aello, Ocipite, Tiella e Celeno anche se, nelle varie storie legate a queste creature, alcuni autori riportano solo i nomi di Aello, Ocipite e Celeno (nominata per la prima volta da Virgilio). Il più celebre mito che riguarda le Arpie è legato alla storia di Fineo, un re della Tracia con il dono della divinazione ,e viene narrato nelle Argonautiche di Apollonio Rodio nel terzo libro. Si racconta che Fineo avesse provocato la collera degli dèi che incaricarono le Arpie di punirlo. Le creature alate iniziarono a tormentare il re, portando via tutto ciò che egli poneva davanti a sé, soprattutto il cibo,e imbrattando con i loro escrementi quello che non riuscivano a portare via. Quando gli Argonauti e Giasone, prima di intraprendere la spedizione nella Colchide, si recarono presso Fineo per avere indicazioni sul viaggio, questi si dichiarò disponibile a profetizzare loro il futuro purché venisse liberato dal flagello delle Arpie; quindi Zeto e Calai che facevano parte della spedizione di Giasone, inseguirono queste orrende creature ad un gruppo di isole del mar Ionio chiamate Echinadi. Qui Iride, la messagera degli dèi, li bloccò e li convinse a non ucciderle garantendo loro che se avessero rinunciato a dare la caccia alle Arpie, queste avrebbero smesso di tormentare Fineo. I figli di Borea accettarono e tornarono indietro, e le isole Echinadi, in virtù di questo fatto, da allora si chiamarono Strofadi o “Isole del Ritorno”. Queste figure mitologiche sono citate nell'Odissea di Omero (libro XX): in una preghiera ad Artemide, Penelope ne parla come di procelle e ricorda che rapirono le figlie di Pandareo per asservirle alle Erinni. Esiodo parla di due arpie, Aello e Ocipete: di esse dice che avessero una magnifica capigliatura e che fossero potenti nel volo. Virgilio ne sottolinea l’aspetto rivoltante e schifoso, inoltre nomina per la prima volta Celeno ossia il loro capo che funge anche da indovina infatti pronunzia una profezia che suona quasi come un maleficio a scopo intimidatorio. Alla fine la funesta arpia riceve il risultato sperato in quanto il padre Anchise si piega per pregare o gli Dei o le Arpie stesse affinchè non si avveri. Le Arpie vengono chiamate con molti epiteti come: stirpe funesta (“gente gerendum”) o turpi uccelli del mare (“obscenas pelagi volucres”) ma restano sempre delle creature indefinite.
Un’aspetto da approfondire di queste creature è la natura di ladre: in Virgilio rubano le vivande a Enea e ai compagni; il loro nome, Hàrpyia, significa “ladre”, “rapitrici” per questo erano considerate responsabili di tutto ciò che scompariva ed erano “coloro che strappavano la vita”, tanto da essere raffigurate sulle tombe mentre ghermivano con i loro artigli e portavano via anime e bambini. Più tardi furono considerate creature infernali che rapivano le anime dei morti per trasportarle nell’aria e associate anche alle sirene che attirano i marinai con i loro canti.
Ritroviamo le Arpie anche in Dante che le colloca a custodia del secondo girone del VII Cerchio dell'Inferno, la selva dei suicidi. Le descrive nel Canto XIII, come mostruosi uccelli dalle grandi ali, colli e volti umani, un grosso ventre piumato e zampe artigliate che nidificano tra le piante dove sono imprigionate le anime dei suicidi e si cibano delle loro foglie, provocando dolore ai dannati.
A differenza dei testi classici, le Arpie dantesche non hanno un nome e non è chiaro in base a quale criterio il sommo poeta le associ al peccato del suicidio. Si ipotizza che derivi dall'etimologia greca infatti esse nel mondo afferravano e strappavano via, proprio come i suicidi hanno strappato violentemente l'anima dal proprio corpo; un'ulteriore ipotesi può essere che nello stesso racconto virgiliano si possono vedere le Arpie mentre imbrattano ogni cosa senza trarne alcun vantaggio, per il solo desiderio di renderla inutilizzabile e distrutta; si può notare il contrappasso in ciò, in quanto i suicidi gettando via la propria vita vengono lasciati in preda a quei mostri che rappresentano l'inutile distruzione, secondo alcuni autori trecenteschi.
Riletture moderne
Oggi il termine “arpie” è diventato comune per indicare individui di genere femminile, talvolta anziane, che sparlano della gente con fine malevolo, vengono viste di cattivo occhio dalle altre persone e reputate brutte nella concezione comune.
La figura delle Arpie viene persino associata al ruolo di antagonista in un libro per bambini di Del Sordo Barbara intitolato: “Le arpie delle panchine verdi – Le indagini di Bia”.
Nell’ambito televisivo e degli anime non si può poi non citare l’Arpia Silen, antagonista di Devilman negli omonimi manga e anime, la sua somiglianza con le arpie del mito è minima, ma trattandosi di una donna artigliata con grandi ali al posto delle orecchie, è facile notare l’assonanza del suo nome con quello di Celeno, la cui nascita, secondo il mito, deriva dalla fecondazione del vento dell’ovest Zefiro.