Andromaca ed Eleno a Butrinto
Butroto (Butrinto)
Butroto, corrispondente all’odierna Butrinto in Albania meridionale, è una città dell'Epiro nella regione della Caonia, area che deve il nome a Caone figlio di Priamo e fratello o amico di Eleno. Virgilio nel terzo libro dell’Eneide la descrive accostandola fin da subito al nome del suo fondatore Eleno: “protinus aerias Phaeacum abscondimus arces/litoraque Epiri legimus portuque subimus/Chaonio et celsam Buthroti accedimus urbem./Hic incredibilis rerum fama occupat auris,/Priamiden Helenum Graias regnare per urbis” (vv291-295).
Butrinto si colloca su una collina al confine con la Grecia, il nome della città significa “bue ferito”, perché secondo la leggenda al momento della fondazione era stato sacrificato un bue che arrivò sulla spiaggia ai piedi dell’acropoli e spirò.
Giuntovi, Enea scorge due are cui Andromaca rivolge il proprio pianto evocando il passato e cercando di ristabilire un contatto con Ettore e Astianatte. In tal senso emerge dunque la concezione di Butroto come una "parva Troia", come sottolineato in modo enfatico nel verso 336 (Pergamaque Iliacamque iugis hans addidit arcem), Enea crede per un attimo di essere tornato ad Ilio. La città, dunque, rappresenta il legame che permane, soprattutto per quanto concerne la figura di Andromaca, con Ilio ma al contempo si pone per Enea come un modello da cui distaccarsi con il fine di fondare una città più grande dell’antica Troia. Butroto infatti, descritta come città alta, appare essenzialmente come un’imitazione imperfetta e in miniatura di Ilio, tantochè Virgilio la descrive come una “socia urbs”, una “parvam Troiam simulataque magnis Pergama” (vv. 349-350), cui si accede mediante le Porte Scee “in amplis porticibus” (ricordo della reggia di Priamo) e su cui scorre un falso Simoenta e un arido ruscello dal nome di Xanto. Nella città rimane il ricordo di Troia anche per la presenza del tumulo di Ettore.
Enea, tuttavia, ripone delle speranze in questa nuova città poiché si auspica che sia stata fondata prendendo auspici favorevoli in modo che possa essere meno accessibile ai Greci rispetto alla prima e vera Troia (“effigiem Xanthi Troiamque videtis/ quam vestrae fecere manus, melioribus, opto,/auspiciis, et quae fuerit minus obvia Grais” vv. 497-499).
Butrinto - cenni archeologici
L’esistenza della città è datata nel X secolo a.C. e originariamente era costituita da una fortezza e da un santuario. La sua importanza è dovuta ai rapporti commerciali instaurati con la colonia greca di Corfù, resi possibili dalla posizione geografica vantaggiosa. Nel VI secolo a.C. si arricchì di un’agorà e di un teatro greco. Il tempio dedicato ad Asclepio, dio della medicina, rendeva la città un importante centro di attrazione per le proprietà di guarigione attribuite alle acque della fonte interna. Butrinto fu un’importante apoikia greca in età ellenistica, poi conquistata dai Romani nel 228 a.C. e trasformata in una colonia di veterani, su un’iniziale proposta di Cesare, solo durante l’età augustea. Qui furono costruiti un acquedotto, le terme e il foro. Nel III secolo la città fu distrutta quasi completamente da un terremoto. Ricostruita, all’inizio del VI secolo Butrinto diventò sede episcopale e furono costruiti nuovi edifici che ne testimoniano l’importanza in epoca paleocristiana, in particolare il battistero a pianta circolare e la basilica bizantina. In seguito alla dominazione veneziana, in età medievale la città subì un completo abbandono.
I primi scavi archeologici a Butrinto iniziarono nel 1928 quando Mussolini, aspirando ad estendere il controllo del regime italiano fino a questi territori, vi inviò una spedizione, condotta da Luigi Maria Ugolini, che riportò alla luce molteplici resti della città romana ed ellenistica. In seguito, con la presa di potere del governo comunista, le missioni archeologiche vennero proseguite unicamente da archeologi albanesi che riportarono alla luce i resti di Triconch Palace e di molti cimiteri urbani.
Complessivamente dagli scavi emersero il battistero, la basilica, le latrine pubbliche, il ginnasio, il tempio di Minerva e i due portoni delle antiche mura del castello. Importante risulta inoltre la riscoperta delle monumentali e perfettamente conservate Porte Scee nonché del santuario di Esculapio dove i fedeli ricercavano cure e miracoli. Degno di nota è anche il rinvenimento del teatro che, collocato sul pendio dell’acropoli, si caratterizza per la tipica struttura comprendente la cavea, l’orchestra e il proscenio. Qui sono state portate alla luce le statue della Dea di Butrinto, del ritratto di Agrippa, della testa di Livia e molti epigrafi in latino e greco.
La figura di Andromaca
Andromaca è figlia di Eezione, re di Tebe in Misia. Sposò Ettore, figlio di Priamo, da cui ebbe un unico figlio, Astianatte. Nell’Iliade è presentata come una moglie fedele e innamorata del marito. Durante la guerra di Troia per mano di Achille, furono uccisi il padre, i sette fratelli e lo sposo. Quando Troia cadde in mano agli Achei, Andromaca passò in sorte, come bottino di guerra, a Neottolemo, figlio di Achille, che uccise il piccolo Astianatte e la portò in Epiro, dove egli era re. Da Neottolemo ebbe tre figli, Molosso, Pielo e Pergamo. Quando a Delfi Neottolemo fu assassinato, Eleno, fratello di Ettore, ereditò il regno e la moglie Andromaca. La donna, una volta morto Eleno, si stabilì in Misia con il figlio Pergamo e fondò la città di Pergamo che porta il suo nome.
Il mito di Andromaca compare per la prima volta in ambito letterario nell’Iliade. Omero, in un contesto di guerra e di valori eroici legati alle figure maschili, mette in evidenza una figura femminile come Andromaca, portatrice di virtù e valori, in tre scene diverse. Anche se Andromaca è descritta come una donna modello per la società greca, caratterizzata dalla fedeltà coniugale e dall’amore materno, quello che si evince dal testo è una donna troiana “non convenzionale”.
Già dalla prima apparizione, nel libro VI dell’Iliade durante il celebre addio al marito presso le porte Scee, Omero racconta che la donna, consapevole della sorte del marito, si precipita fuori di casa come una Menade. Questa espressione di solito è utilizzata dall’autore per indicare gli uomini che sono presi dal furore per la battaglia. Le Menadi erano le sacerdotesse di Bacco invasate dal dio il cui nome deriva dal verbo greco μαίνομαι, “essere folle”. Questo comportamento perciò era insolito per una donna greca, la quale doveva trovarsi in casa dedita ad accudire il figlio e a tessere. Invece Andromaca si trova fuori di casa, intenta a dissuadere Ettore dal combattere e dando consigli di guerra. Durante il suo discorso la donna riporta alla memoria tutte le perdite che quella guerra le aveva già procurato e il destino che avrebbe atteso lei e il piccolo Astianatte se il marito fosse morto. Ettore, però, la esorta a rispettare il suo ruolo di donna e di madre e le ricorda che lui, in quanto uomo, doveva combattere per la sua città e per il suo onore.
Nella seconda apparizione nel libro XXII, alla morte di Ettore, Andromaca si precipita nuovamente fuori di casa e vedendo il corpo dell’amato marito essere trascinato da Achille, si abbandona a un pianto disperato.
L’ultima apparizione corrisponde al momento in cui compiange la morte di Ettore. Omero rappresenta Andromaca come una donna senza controllo che segue gli istinti e le emozioni. Il grido di dolore di Andromaca rappresenta quello di tutti i greci; in questo modo Omero fa intuire il suo pensiero riguardo la guerra.
Andromaca rappresenta la fragilità della società che si sente inerme di fronte al conflitto. La donna, rispettando i valori della società, non può fare altro che piangere; nonostante i tentativi di dissuadere il marito dal campo di battaglia, in quanto donna non può intervenire nella guerra ed è pedina del fato.
Nella letteratura la figura di Andromaca è sempre stata associata a immagini di sofferenza e di dolore, in autori come Omero e Virgilio la donna è descritta con termini appartenenti al campo semantico della tristezza e del lutto. Fa eccezione un’ode di Saffo, Nozze di Ettore e Andromaca, in cui la poetessa descrive Andromaca in un clima gioioso: quello del suo arrivo a Troia in occasione delle nozze. Si tratta di un argomento inusuale in quanto trattato solo dalla poetessa di Lesbo e mai più ripreso. Andromaca viene presentata come una donna appena sposata che è felice e non vede l’ora di trascorrere il resto della sua vita con l’amato marito.
Nella tragedia “Andromaca”, Euripide racconta i fatti avvenuti dopo la guerra di Troia. Dopo la sconfitta dei Troiani, Andromaca diventa concubina di Neottolemo, figlio di Achille, che uccise Astianatte gettandolo dalle mura, poiché da grande avrebbe potuto rivendicare la morte del padre. Andromaca da Neottolemo ha un figlio, Molosso. In continuità con la tradizione omerica, Euripide presenta Andromaca come una moglie fedele al marito defunto e una madre infelice per la morte del figlio.
Nell’Eneide, libri II e III , Virgilio cita il personaggio di Andromaca in episodi che la descrivono devota alla famiglia. Nel libro II Virgilio scrive pochi versi su Andromaca, dicendo che la donna era solita usare un passaggio segreto da casa sua alla reggia di Priamo per portare Astianatte dai genitori di Ettore. Nel libro III viene descritto l’incontro di Andromaca con Enea durante il soggiorno dei Troiani a Butroto. Enea, dopo essere sbarcato nel porto della città, si addentra in un bosco e per caso incontra Andromaca che sta facendo libagioni con vivande e tristi doni nella tomba vuota di Ettore. Quando la donna si accorge della presenza dei Troiani, sembra perdere la ragione (amens), è intimorita da ciò che vede, dal momento che stava facendo un rituale per mettersi in contatto con il mondo dei morti, barcolla e rischia di svenire. Dopo un po’ di tempo Andromaca riesce a parlare con Enea, credendolo un fantasma giunto dal mondo dei morti, e gli chiede dove sia Ettore.
Durante il congedo e la consegna dei doni ospitali agli esuli troiani, Andromaca si rivolge ad Ascanio con parole dolci che rievocano l’immagine di Astianatte e gli offre una veste destinata al figlio che non aveva potuto seppellire. “Ricevi anche queste, o fanciullo, che ti siano ricordo delle mie mani, e attestino il lungo amore di Andromaca, sposa di Ettore. Prendi gli estremi doni dei tuoi, o unica superstite a me immagine del mio Astianatte. Così aveva il volto, così gli occhi e le mani; e ora crescerebbe con te, uguale d’anni”. Questi comportamenti rinforzano l’immagine di una donna fedele ed innamorata di Ettore e di una madre legata al ricordo del suo primo figlio. Infatti nella descrizione di Virgilio, la donna non parla mai del figlio Molosso avuto da Neottolemo, come se volesse nasconderne l’esistenza.
In questi versi Andromaca non sembra felice, nonostante sia di nuovo regina, abbia un figlio e una nuova patria. Lei ama solo Ettore e la nuova città Butroto non è Troia che ricorda con malinconia. Si comprende che il matrimonio con Eleno non è un legame d’amore, poiché tra i due sposi non c’è dialogo e non ci sono caratteristiche in comune; Eleno è un indovino e guarda al futuro, Andromaca è nostalgica e guarda al passato con i suoi ricordi. Anche quando Eleno e Andromaca incontrano Enea i due piangono, ma quello della donna è un pianto nostalgico indirizzato alla memoria di Ettore, quello dell’indovino è di gioia per i compatrioti sopravvissuti; lui è orgoglioso della fondazione della nuova Troia, Andromaca no.
Nell’Eneide il personaggio di Andromaca è caratterizzato da una forte emotività che, a differenza degli altri personaggi femminili, non sfocia però in gesti estremi come nel caso di Didone che si suicida per la partenza dell’amato. La moglie di Ettore è una donna triste e malinconica di un passato che non potrà più rivivere, rassegnata a vivere nell’illusione come in attesa della morte.
Riletture moderne della figura di Andromaca
Il mito di Andromaca continua a esistere e a diffondersi anche dopo l’età classica.
Quinto Smirneo, nelle Postomeriche, narra gli avvenimenti successivi all’Iliade e presenta Andromaca come una donna forte e combattiva che sa rispettare il suo ruolo sociale, controllare i suoi comportamenti e le sue parole. È devota al marito defunto e vive come un’eterna infelice.
Nell’Ephemeris Belli Troiani, l’autore Ditti Cretese propone un’Andromaca che riprende le caratteristiche dalla tradizione omerica. È una sposa infelice devota ancora al marito defunto; in quest’opera emerge il suo coraggio, tanto che si reca nell’accampamento greco insieme a Priamo per chiedere il corpo di Ettore. È considerata un bottino prestigioso perché destinata solo a chi si è particolarmente distinto in guerra. Inoltre è presentata come una donna con un particolare senso materno perché compare sempre con i figli.
Nell’Andromaque di Racine è ritratta un’Andromaca ancora legata al ricordo dello sposo defunto e del figlio, che pur essendo infelice non vive in modo rassegnato e in un’atmosfera luttuosa come nel personaggio virgiliano, ma agisce in un mondo reale, quello di Butroto, regno di cui è diventata regina dopo aver sposato Pirro.
Nel XVII secolo compare il personaggio di Andromaca nei drammi in musica composti da Aurelio Aureli: “Gli amori infruttuosi di Pirro”, “Gli scherzi di Fortuna: subordinato al Pirro” ed “Ermione raquistata”.
Nel XVIII secolo Andromaca è il soggetto tragico più popolare dei drammi in musica e le sono state dedicate circa una quarantina di opere, perché in questo periodo storico si prediligono trame riguardanti il sentimento umano.
Nella poesia Le Cygne di Charles Baudelaire (inserita ne Le Fleurs du Mal), Andromaca diventa simbolo dell’esule insieme al cigno. L’autore esprime la sofferenza dei due personaggi che, dopo un periodo di prigionia, ottengono la libertà, ma a loro si presenta una realtà trasformata rispetto a quella che avevano lasciato. Per la donna infatti il falso Simoenta di Butroto è diverso dall’autentico fiume di Troia. Nella poesia emerge il dolore per la lontananza dalla patria che accomuna tutti gli esuli.
La figura di Eleno
Eleno, figlio di Priamo e di Ecuba, è un indovino che, secondo il mito, ottiene il dono della profezia assieme alla sorella Cassandra nel giorno del compleanno del padre. Durante i festeggiamenti, infatti, presso il santuario di Apollo i due fratelli cadono in un profondo sonno e i genitori rientrano in casa senza curarsi dei fanciulli. Una volta tornata presso il tempio, la madre si atterrisce alla vista di alcuni serpenti sulle orecchie e sulla bocca dei figli. I rettili, quindi, fuggono strisciando verso dei cespugli di alloro dopo aver conferito ai due giovani il dono della veggenza.
Oltre che un indovino, tuttavia, Eleno è anche un guerriero valoroso che combatte coraggiosamente durante la guerra disastrosa provocata dal suo viaggio a Sparta, infliggendo la morte a Depiro, a Tolomeo Efestione e ferendo il Pelide Achille. In seguito alla morte di Paride per mano di Filottete, Eleno mira a prendere in sposa Elena, la quale tuttavia viene assegnata al fratello Deifobo in quanto considerato da Priamo più valoroso in battaglia. Adirato, Eleno abbandona la città e parte alla volta di Irtaco e di Arisbe ma viene presto richiamato da Odisseo per rivelare i segreti oracoli che proteggono Troia. Catturato dal Laerziade, Eleno rivela dunque ai Greci che per ottenere la vittoria devono in primo luogo portare un osso di Pelope nel campo acheo, in seguito far in modo che Neottolemo prenda parte alla guerra, e infine sia far tornare Filottete con l’arco di Eracle sia sottrarre il Palladio di Atena ai Troiani. Soprattutto però fu egli stesso ad escogitare e suggerire per primo lo stratagemma del cavallo che avrebbe poi provocato la caduta di Troia.
In seguito alla distruzione di Ilio, secondo la più comune leggenda, Eleno assieme ad Andromaca viene assegnato come bottino di guerra a Neottolemo ma riesce a stabilire un buon rapporto con quest’ultimo grazie ai consigli che gli rivolge per salvaguardare la propria vita durante il ritorno in patria. Alla morte avvenuta presso Delfi, Neottolemo lascia a Eleno anzitutto il regno dell’Epiro, dove viene costruita la città di Butroto presso cui giunge Enea, ma anche Andromaca con cui si sposa dando al mondo Cestrino.
Sul punto di morte Eleno decide di trasmettere il proprio regno a Molosso, figlio di Neottolemo.