Virgilio, Eneide, III - Andromaca
La figura di Andromaca appare precedentemente a quest'edpisodio in Eneide Libro II v. 455-57 e libro III versi 294-505, già sposa di Ettore e ora di Eleno, e madre di Astianatte. Nel libro II Enea descrive il palazzo regale e menziona le visite che Andromaca era solita fare a Priamo e ad Ecuba, accompagnando il fanciullo; nel terzo libro la donna assume un ruolo dominante nell'incontro con Enea durante il soggiorno dei Troiani a Budtroto da Eleno.
V.293
[...] Buthroti [...]
[...] Butroti [...]
V. 297
[...] Et patrio Andromachen iterum cessisse marito [...]
[...] “Andromaca è andata in sposa ad un suo compatriota”[...]
V. 300
[...] Progredior portu classes et litora linquens [...]
[...] mi allontano dal porto lasciando il lido e la flotta [...]
V.302
[...] in luco [...]
[...] “nel bosco sacro” [...]
V. 307
[...] amens [...]
[...] “fuori di se” [...]
V.307
[...] monstris [...]
[...] mostro [...]:
V. 312
[...] “Hector ubi est? [...]
[...] “Dov’è Ettore?” [...]
V. 329
[...] me fammelo famulamque Heleno transimit habendam [...]
[...] me schiava cedette in possesso ad Eleno, anch’egli suo schiavo[...]
V.349
[...] parva Troiam [...]
[...] piccola Troia [...]
V. 486-489
[...] Accipe et haec…mei super Astyanactis imago [...]
[...] “Prendi anche questi…sola immagine a me del mio Astianatte rimasta” [...]
AMENS
Andromaca, già presentata da Omero nell’Iliade nel canto VI viene descritta attraverso il verbo µαίνω, “folle”, talvolta addirittura associata alle Menadi (Le Menadi, i n g r e c o : µ α ι ν ά ς [ - ά δ ο ς, ἡ ] ; d a l g r e c o : µ α ί ν ο µ α ι « e s s e r e f o l l e » , d e t t e anche Baccanti, Bassaridi, Tiadi o Mimallonidi, erano donne in preda alla frenesia estatica e invasate da Dioniso, il dio della forza vitale). Compare una volta nel libro III.
BUTHROTI
Città di Butroto, come fonte del Timavo. Città dell’Epiro, parte della quale è Caonia, che prima era detta Molassia. Compare 1 volta nel libro III.
HECTOR
Con queste sole tre parole Virgilio mette in evidenza l’amore di una donna per il marito ormai perduto e la speranza incessante di poterlo rivedere anche dopo la morte di costui; Andromaca è una donna che, come da tradizione, resta fedele al marito e lo ama moltissimo.
IMAGO
In questi versi Andromaca investe Ascanio, figlio nato non da Ettore, di essere erede porgendo nelle sue mani una veste istoriata di filo dorato e una clamide frigia (La clamide era un tipo di mantello corto e leggero, orlato d’oro).
ITERUM CESSISSE MARITO
Nel III libro delle Eneide compare questa complessa figura, ovvero quella di Andromaca, nome parlante dal greco Ἄνδρος e µάχη “colei che combatte gli uomini”: la prima scena in cui compare Andromaca si svolge nel bosco del Butroto in cui la donna sta facendo una parentatio (libagioni per i defunti). Omero fu il primo a parlarci di Andromaca dipingendola come una donna che è l’incarnazione della sofferenza e del dolore (simbolo della società in cui vive), come una donna che da consigli militari al marito, come colei che è spesso fuori casa (cosa che non si addiceva ad una donna). Andromaca è in definitiva la donna perfetta: innamorata follemente del marito, Ettore, a cui resterà fedele per sempre.
LUCO
In esso abitano le anime morte degli uomini pii, che sono Viali Lari
MONSTRIS
"Come un mostro", è evidente che la cosa è inaspettata; qui viene riportato ad Andromaca che viene considerata un mostro: o certamente “mostro” poiché in quel momento era giunto Enea, mentre lei invocava i Mani e credeva che lui fosse morto. Compare 1 volta nel libro III.
PARVA TROIAM
Dopo la morte di Ettore, Andromaca si è sposata con Eleno, la persona forse più vicina al defunto marito, ha ricostruito la città, ha avuto un altro figlio ed è nuovamente regina eppure non è felice, Virgilio ci dice che lei fundebat lacrimas “effondeva fra lacrime” perché Andromaca ama solo Ettore, non altre copie. Allo stesso tempo Andromaca, nella fondazione di una piccola Troia dimostra che da sposa e madre vive esclusivamente per il passato mentre Eleno, ed è qui che si accentua il distacco tra i due, separa dalla parva Troiam la città che Enea sta per fondare (Vade are et ingente factis fer ad aethera Troiam, v. 462). Molti inoltre ritenevano che Enea fosse venuto da Troia all’Epiro e qui avesse inventato questi luoghi per licenza poetica. Varrone andò nell’Epiro e disse di aver visto tutti i luoghi commemorati dal poeta
PROGREDIOR
[...] locuz. lat. [traslitt. del gr. ὕστερον πρότερον «posteriore anteriore»], figura retorica (dagli antichi retori chiamata isterologia), per la quale l’ordine delle parole è invertito rispetto all’ordine naturale delle azioni.
TRANSIMIT HABENDAM
Poco prima Enea si rivolge alla donna dicendole “Ahi, te quali rovesci, strappata da un tale marito, colsero, o quale fortuna s’è volta a guardarti, poi, degna quanto si può dell’Andromaca di Ettore? Ti ha in moglie Pirro?”, e da questo punto Andromaca inizia a raccontare le sue avventure dopo la morte del tanto amato Ettore: prigioniera di letto prima, poi ceduta come schiava ad Eleno per volontà del padrono. I due quindi non sono coniugi per legge.
Virgilio, Eneide, III - La Profezia di Eleno
La terza grande profezia che incontriamo nel terzo libro dell’ Eneide è la profezia di Eleno, il quale risponde alla richiesta di Enea (vv. 367-368, quae prima pericula vito?/ quidve sequens tantos possim superare labores?), preoccupato per la sorte propria e quella dei compagni in seguito alla maledizione di Celeno, regina delle Arpie, di concedergli indicazioni sul viaggio. Eleno, dopo un’invocazione rituale a Febo, invasato, risponde, indicandogli la via verso le coste italiane nei vv. 384-386. Qui fa riferimento ai mari di Sicilia e alla parte del Mar Tirreno compresa tra la Sicilia e il Lazio e allude alla necessità di raggiungere il lago Averno (‘Infernique lacus’), nei pressi di Cuma, dove si crede fosse situato l’accesso per l'oltretomba. Gli rivela poi, nei vv. 388-393, i segni (un fiume remoto, una grande scrofa bianca con i maialini) che lo aiuteranno a identificare il luogo dove fondare la città. Particolare è il contrasto con la profezia malevola di Celeno, la quale gli prevede che, all’arrivo in Italia, sarebbero stati colti da una ‘dira fames’ (una fame funesta, terribile, una penuria di cibo) che gli avrebbe portati a consumare le ‘mensas’. Celeno non preannuncia la consumazione delle sole focacce ma, per un doppio senso proprio della parola, anche i piatti stessi delle offerte ai Penati (vv. 255-257). Rivediamo un concetto simile nell’ultima parola del v. 393 ‘laborum’, in cui Eleno prefigura l’arrivo di un tempo difficile. La traduzione di Alessandro Fo utilizza la parola ‘penare’ per riflettere sulla sofferenza e le fatiche che Enea e il suo popolo affronteranno. Ma nonostante la promessa di sofferenza, a differenza di Celeno, Eleno rincuora Enea e promette una protezione da parte sia del Fato che di Apollo stesso. Poi lo avverte di stare lontano dalle terre abitate dai ‘perfidi’ greci e gli indica di effettuare un sacrificio propiziatorio, evidenziando la modalità, ossia a capo coperto (a differenza dei Greci che li facevano a capo scoperto) e gli consiglia di tramandarla ai nipoti. Gli dice di evitare lo stretto di Messina, perché assediato da Scilla e Cariddi, e circumnavigare la Sicilia. Qui si sofferma a raccontare l’origine dello stretto e a descrivere i due mostri (vv. 414-428), riprendendo il modello omerico presentato nell’Odissea XII, vv. 85 e sgg. e 235 e sgg. Gli raccomanda poi di pregare e venerare la dea Giunone, con suppliche e offerte, per placarla e raggiungere vittorioso il luogo promesso. Gli racconta che incontreranno una ‘insanam vatem’, la Sibilla Cumana, e procede a spiegare come gli verrà offerto un vaticinio (Virgilio replica la tipica modalità enciclopedica omerica che riappare anche ai vv. 359-362, quando Enea richiede l’aiuto di Eleno ed elenca i metodi che i profeti utilizzano per interpretare il volere degli dei). Il profeta indica con particolare accuratezza di cosa tratterà questo vaticinio, come se ci trovassimo davanti ad una profezia all’interno di un’altra profezia. Curioso è come sottolinei il limite umano posto dagli dei alla conoscenza profetica (ripreso ai vv. 380 e 461). Ancora più rilevante è l’ultima frase pronunciata da Eleno nella sua profezia “Vade age et ingentem factis fer ad aethera Troiam.” (v.462), che possiede un tono inequivocabilmente solenne, come a sottolineare ulteriormente che il Fato è stato ormai scritto e incancellabile. Enea è destinato a fondare la grande Roma. Sarà capostipite di questa straordinaria popolazione, la quale sarà ricoperta di gloria grazie alle proprie imprese e fatiche. Alla fine della profezia (v.470) compare uno dei versi lasciati incompleti da Virgilio, uno dei cosiddetti tibicines, mentre Eleno riempie la compagnia troiana di doni, ricchezze e attrezzi vari, utili al viaggio in mare.